mercoledì 3 dicembre 2008

ruffolo: il futuro del pd in 4 mosse

IL FUTURO DEL PD IN QUATTRO MOSSE la Repubblica

mercoledì, 03 dicembre 2008



di GIORGIO RUFFOLO


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Vorrei dire due parole sulle vicende del partito democratico. Alfredo Reichlin ha scritto sull’argomento cose che condivido pienamente. Non è la prima volta. Che i problemi del Pd si riducano a una partita tra Veltroni e D’Alema è una loro rappresentazione caricaturale. La tentazione di giocare ai guelfi e ghibellini credo sia più viva in alcuni dei loro «seguaci». Ma quella tentazione diventa forte quando nel partito langue il discorso sui veri problemi della politica.
La novità del partito democratico è consistita nella vittoriosa intuizione di Walter Veltroni sull’esistenza di una vasta domanda politica riformista liberata dalle pastoie di una sinistra paralizzante. Il grande popolo del Circo Massimo l’ha resa evidente. Il problema del Pd sta tutto nella risposta.

Diceva Joseph Schumpeter che ogni seria analisi è subordinata a una «visione», a una interpretazione del mondo in cui ci si muove: del presente come storia. Senza visione non si sa dove si va. Si rischia di perdersi. Di diventare, realmente, «visionari».
Purtroppo, a me pare che nel partito democratico difettino e la visione e l’analisi. Il che rischia di rendere la sua funzione di opposizione inefficace. Di contestare puntigliosamente anche le cose buone proposte dal governo e di non essere capace di opporgli un progetto che le trascenda, appiattendosi su una solidarietà incondizionata anche alle reazioni corporative e conservatrici. Come mi pare avvenga sul problema della scuola, sul quale Mario Pirani ha scritto in modo eccellente.

Un esempio macroscopico di questo comportamento politicamente passivo è la balzana idea di inseguire il successo leghista creando un partito del Nord, e dando così un contributo alla decomposizione di quel poco di unità nazionale che è stato possibile realizzare in questi ultimi centocinquant’anni.

Il partito democratico attraversa una fase che io spero sia di assestamento e che però rischia di diventare di scollamento. Di solito, in questi casi, si invoca ritualmente un Congresso. Come se sia sufficiente radunare il popolo a discutere, senza sapere di che cosa. I leader del partito hanno il dovere di proporre i temi. Poi, ben venga il Congresso e la contrapposizione democratica.

In proposito vorrei sollevarne quattro. Chiamerei il primo il tema del mercatismo compassionevole. Una crisi di grandi proporzioni sta investendo l’economia. Da essa risulta il fallimento clamoroso della pretesa fondamentale del neoliberismo che ha caratterizzato un ciclo trentennale: l’autoregolazione dei mercati. Si pone alla sinistra riformista il compito di una risposta: come quella del riformismo keynesiano e socialdemocratico nella precedente fase di capitalismo ben temperato. È ovvio che le ricette di allora, basate sulla centralità dello Stato nazionale, non possono essere automaticamente applicate in una condizione di globalizzazione mondiale. Un nuovo sistema di regolazione, non di gestione politica dell’economia, va costruito come risposta a una crisi devastante. Qual è la reazione dei cultori del pensiero unico neo liberista? lo Stato paghi i guasti della crisi, e si guardi dall’interferire nel Mercato. Ora, che questa arrogante pretesa sia avanzata dalla destra, non deve sorprendere. Il fatto è che riscuote consensi da neofiti liberisti di sinistra.
Secondo tema. Il modo di fare opposizione. È invalsa tra i cosiddetti liberali, ma anche tra alcuni cosiddetti socialisti, la denuncia dell’antiberlusconismo. Ho ricordato prima l’opportunità che l’opposizione recepisca anche proposte del governo nel quadro di un progetto riformista: ce ne sono. Ma sull’antiberlusconismo si dovrebbe essere intransigenti. Sul gigantesco conflitto d’interesse su cui lo strapotere dell’attuale Premier si fonda. Sullo stile italiota dei frizzi e dei lazzi che arreca danni fatali a un paese che tanti stranieri associano ancora al mito di Pulcinella. Terzo tema. Il governo della cattolicissima Spagna ci sta spiegando la lezione di una politica laica.

Quarto e ultimo punto (per ultimo, non da ultimo). Non so come si chiuderà la tormentosa questione del rapporto tra il Partito democratico e il Partito socialista europeo. Staremo a vedere.

Io per me ho deciso di morire socialista. Data l’età, non si tratta di un impegno di lunga lena. E non gli do una particolare enfasi. Solo un segno di continuità. Non riesco invece a capire l’enfasi con la quale annunciano di non volere morire socialiste persone, per carità, degnissime, che sono morte e risorte più e più volte, sotto diverse bandiere.



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