mercoledì 10 dicembre 2008

diritti umani, diritti quotidiani

dal sito di sd

Diritti Umani, Diritti Quotidiani
1948. Sessant’anni fa la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani venne stilata in seguito a circostanze storico-politiche tanto particolari quanto drammatiche. L’Olocausto, la barbarie nazifascista, la guerra civile, la miseria. Facce di una stessa medaglia che per anni hanno oppresso non solo i popoli d’Europa, ma dell’intero Pianeta. Allora, la speranza di creare un mondo ed una società più giusta e solidale era viva nei cuori di quei leaders che, seppur di diversa provenienza politica, credevano nell’innato valore dell’essere umano e nella sua dignità. L’impulso a scrivere la Dichiarazione del ’48 venne proprio dal secco rifiuto di immaginare, in un futuro, un’umanità dilaniata da se stessa, animata da concezioni criminali del vivere e dal desiderio di reciproca sopraffazione.

2008. Sessant’anni dopo e ritorno. La storia non sempre è maestra di vita. La nostra Italia pare sia ancora in una fase di continua scoperta di sé e dei suoi mali. Una società gerontocratica, dai poteri forti e dallo scarso senso sociale, che fatica a guardare con coraggio e fiducia al proprio avvenire.

Fin dai primi articoli la Dichiarazione stabilisce che ”Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Questo principio è alla base della Democrazia e delle libertà ad essa collegate. Si afferma inoltre che tutti gli uomini devono usufruire di questi diritti a prescindere da qualsiasi differenza di razza, colore, lingua, sesso, religione, stato sociale o di qualsiasi altra condizione. Nell’Italia di oggi individui considerati diversi, sono emarginati e perseguitati da forze politiche e componenti della società, che, invece di essere animate da spirito di solidarietà e fratellanza, demonizzano e seminano odio. Tra questi individui ci sono sicuramente gli immigrati, dei quali si parla nelle cronache di giornali e telegiornali, prevalentemente quando avvengono fatti di cronaca nera, trascurando le motivazioni che li hanno portati a lasciare il proprio Paese di origine: povertà, fame, guerre e la speranza in un futuro migliore. Invece di comprendere, aiutare ed accogliere, alcuni movimenti politici come la Lega Nord ed altri partiti xenofobi di destra, li perseguitano in base al colore della pelle e al credo religioso. Questo è evidenziato da determinate posizioni politiche : le classi differenziate per i bambini immigrati, nonché la proposta di bloccare l’apertura di nuove moschee, considerate non come luoghi di culto bensì come luoghi dove si alimenta il fenomeno del terrorismo internazionale.
Il paradosso intrinseco a questo ragionamento è che da un lato si criticano i Paesi che negano la libertà religiosa mentre si tende, sostanzialmente, a farlo anche all’interno dei confini italiani. Tutto ciò è in palese contrasto col 18° articolo che sancisce la libertà di pensiero e di culto.
Uno Stato realmente democratico dovrebbe condannare questi comportamenti e lavorare affinché il concetto di integrazione non sia semplicemente un principio enunciato ma una realtà di fatto.
Il diritto alla vita e alla sicurezza della propria persona viene espressamente sancito all’articolo tre della Dichiarazione. La tragedia alla Thyssen Krupp di Torino, ma anche altri episodi di morti sul lavoro che ogni giorno si ripetono in Italia, ci fanno capire come nel nostro Paese ancora molto bisogna fare, perché un diritto così fondamentale, sia pienamente rispettato.
Gli articoli 4 e 5 della Dichiarazione recitano: ”Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma” e “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumane o degradanti”. Ma di casi di sfruttamento e trattamenti degradanti dell’uomo sull’uomo la storia ne è piena.
Basta guardare cosa accade quotidianamente nel nostro Paese: mercanti d’uomini, spesso interni alla criminalità organizzata, gestiscono proficui traffici basati sulla schiavizzazione e lo sfruttamento del corpo femminile, facendo giocoforza sullo stato di disperata necessità di ragazze provenienti dai Paesi più poveri dell’Europa e del mondo; oltre al fenomeno della prostituzione, ad oggi, lo sfruttamento si declina anche nelle forme del caporalato e del lavoro nero. Lo si può vedere nei campi agricoli, dove braccianti comunitari ed extracomunitari vengono giornalmente reclutati per strada, per adempiere ad un massacrante lavoro dalle prime ore dell’alba fino a sera; ma è anche evidenziato dallo stato di molti cantieri edili dove immigrati e non lavorano per paghe esigue, senza assicurazione, senza il rispetto delle norme di sicurezza, ovvero senza la tutela di diritti essenziali per ogni uomo.
Sul tema della giustizia la Dichiarazione sancisce , tra gli altri, l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge e il diritto ad un giusto processo. Questi principi nel nostro Paese sono messi in discussione dalla lunghezza dei processi e dalla conseguente dispendiosità dei procedimenti legali, che rendono troppe volte la giustizia “un bene” accessibile a pochi. Ulteriore pericolo di lesione di tali principi è riscontrabile nel Lodo Alfano, che pone al di sopra della legge le quattro principali cariche dello Stato, primo fra tutti il Presidente del Consiglio. In uno Stato democratico la legge è uguale per tutti e non vi può essere disparità di trattamento fra governanti e governati. Il criterio di eguaglianza è rimarcato anche nell’articolo 16, dove è sancito il diritto di fondare una famiglia, senza limitazioni di razza, religione o cittadinanza. Ad oggi ci si interroga raramente sul perché, nell’Italia del ventunesimo secolo, la costruzione del nucleo familiare sia cosa ardua e pressoché impensabile. Inoltre la cultura dominante italiana suggerisce di impedire che coppie omosessuali possano amarsi e fondare una famiglia.
Viene rifiutata l’idea che eterosessuali ed omosessuali possano godere di alcuni diritti intrinsecamente legati alla loro relazione fuori dal matrimonio, come l’assistenza medica e l’eredità dei beni in caso di decesso del coniuge. Come se non bastasse, anche il diritto alla proprietà (Articolo 17) è seriamente compromesso. La proprietà di una casa, fulcro primario della convivenza familiare, appare, in molti casi, un miraggio. Tassi d’interesse sui mutui troppo alti e scarse garanzie da fornire alle banche ne fanno un bene quanto mai proibitivo per i giovani interessati a rendersi indipendenti.
Ovviamente, tutto ciò è legato alla mancanza delle condizioni necessarie per costruire un proprio futuro. Il diritto al lavoro, enunciato dall’articolo 23 della Dichiarazione, è assai di frequente negato ed ostacolato a causa della crescente precarizzazione della prestazione lavorativa e dalla sua conseguente mercificazione. Eccessivo abuso dei contratti a termine previsti dall’odierna normativa giuslavorista costituiscono una non trascurabile faccia dello stato di insicurezza a cui sono soggette le nuove generazioni italiane. E’ evidente che, purtroppo, l’auspicabile rapporto a tempo indeterminato sia divenuto un’eccezione, di certo non la regola. Inoltre, la grave mancanza di un serio studio riguardo gli eventuali vantaggi di una forma, minima, di flessibilità per il mondo del lavoro giovanile si è fatta prepotentemente sentire nella vita quotidiana di tutti noi. E’ dunque giunto il momento di prendere di petto la questione e di modificare tout court le concezioni distorte e destabilizzanti che al giorno d’oggi muovono il mercato del lavoro e dell’impresa.
Il suddetto articolo non può che portare ad analizzare il seguente. L’articolo 25 mette in luce il diritto della persona ad avere un sufficiente tenore di vita per garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, alle cure mediche ed ai servizi sociali. Come potrebbe un giovane, al giorno d’oggi, badare a se stesso indipendentemente dall’ausilio dei propri genitori? Il problema verte sulla drammatica carenza di incentivi, soprattutto economici, che servirebbero a spingere una persona ad allontanarsi definitivamente dall’abitazione e dal mantenimento dei propri cari. Dilemma che diventa ancor più urgente una volta terminato il ciclo di studi superiori od universitari. Durante il percorso formativo, soldi spesi in tasse fin troppo elevate, deficit di servizi allo studente e progressiva erosione dei luoghi culturali pubblici condotti attraverso una sciagurata legislazione fanno del diritto allo studio un bene di lusso, non più aperto a tutti, ma appannaggio di pochi. Non sempre, anzi quasi mai, per i più meritevoli. Ma per i più ricchi.
La Dichiarazione, nell’articolo 26, mette nero su bianco il diritto all’istruzione per ogni individuo e la gratuità delle classi fondamentali. Punto dolente per la situazione italiana, per via della perdurante umiliazione della figura del docente. Accompagnata, inoltre, da rivendicazioni che guardano alla scuola del secolo passato come modello da seguire. Invece di fare un passo indietro avremmo di bisogno di uno slancio in avanti; invece di tagliare in maniera generalizzata i fondi, servirebbero maggiori investimenti finalizzati ad una maggiore qualità dell’Istruzione e ad una effettiva accessibilità a tutti.

L’Italia del 1948 firmò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Sono trascorsi sessant’anni, ma nel nostro Paese non assistiamo ancora ad una completa applicazione dei principi garantiti in questo fondamentale documento .
Anche se la piena applicazione dei diritti è un compito delle istituzioni, ciascuno di noi, ogni giorno, in ogni situazione può dare il suo piccolo, individuale, quotidiano contributo, mettendo in risalto i casi e le storie in cui i diritti sono applicati in modo esemplare oppure denunciando le violazioni a cui assiste segnalandole alle autorità.

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