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mercoledì 14 giugno 2017
Franco Astengo: Critica e autocritica
CRITICA E AUTOCRITICA di Franco Astengo
Scusandomi per il disturbo, ringrazio in anticipo quanti condividendo mi aiuteranno a diffondere questo testo.
L’autocritica , almeno dalle nostre parti (politicamente parlando),è una cosa seria e così viene definita sul piano teorico:
“L'autocritica è esaminare e giudicare il proprio comportamento o il proprio operato. Questo termine originalmente nasce nell'ambito politico e più precisamente in quello del Marxismo. "Fare autocritica", per un uomo politico, un militante o un gruppo di militanti, significa analizzare e riconoscere pubblicamente, rispetto alla dottrina politica riconosciuta o la linea del partito a cui si appartiene, i propri errori o deviazioni. È il risultato di una rigorosa riflessione personale e di gruppo”
Proprio in ragione di questo assunto è parso il caso di non lasciar passare sotto silenzio quanto affermato ieri da Giuliano Amato in un’intervista al Corriere della Sera che di seguito si riporta per stralci:
“… Tra gli anni 80 e gli anni 2000 ci muovemmo nella scia dei cultori della Terza Via (Blair, quello che poi ha rivelato di aver partecipato alla guerra in Iraq sulla base di notizie false, n.d.r.) . Non eravamo noi che cambiavamo in proprio, era la società che stava cambiando: i camici bianchi sostituivano le tute blu, i tecnici sostituivano gli operai. Il mondo che avevamo rappresentato rischiava di non esserci più. Furono gli anni in cui contemporaneamente emersero tutti i nodi sempre più pesanti di quella che chiamammo la crisi fiscale dello Stato”
“.. E il duo Reagan – Tachter diffondeva la magia del mercato come magia che, sconfitto il comunismo, avrebbe conquistato il mondo e sarebbe bastato a far crescere la democrazia..”
“.. Ciò che non vedemmo era che la globalizzazione avrebbe portato nei nostri Paesi crescenti disuguaglianze e perdite di reddito, di patrimonio, di posti di lavoro ..”
“.. Quando questo arrivò , noi avevamo quasi smantellato l’intervento pubblico sul quale si era costruito il secolo socialdemocratico. Io stesso, presidente dell’Antitrust all’inizio degli anni ’90 (Giuliano Amato è stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio durante il governo Craxi 1983- 1987, più volte Ministro e Presidente del Consiglio in due occasioni, tra il 1992 e il 1993 e tra il 2000 e il 2001 succedendo a Massimo D’Alema, n.d.r.) dicevo che ormai la politica della concorrenza era l’unica politica industriale che serviva”
“ Ci siamo accorti dopo che non era così; perché la promozione dell’innovazione tecnologica e il suo trasferimento nell’impresa almeno in taluni Paesi, e di sicuro nel nostro, hanno bisogno di un intervento pubblico”
“Eravamo rimasti senza risposte; e chi prima si era affidato alle nostre risposte, ora si affidava a chi amplificava la sua protesta”
Nell’intervista di Amato c’è anche un giudizio implicito sulla “resistibile ascesa” di Renzi e dei sodali e sulle ragioni del loro impadronirsi del Partito Democratico:
“..C’è stata questa infiltrazione che ha riguardato Europa e antieuropeismo, immigrazione e anti –immigrazione, sicurezza e benessere in primo luogo per i nostri cittadini: l’America first. Non è un sentimento nuovo, ispirava già l’Uomo Qualunque, ma lo spettro sociale di coloro che lo nutrono si è molto allargato”
“Pensi ai giovani che hanno visto disconosciute le ragioni della nostra impostazione: studiate, datevi una competenza, e avrete un posto di lavoro migliore di quelli che non studiano. Non è che questa verità abbia cessato di essere vera, il fatto è che ci sono Paesi in cui non si realizza. Tra cui purtroppo il nostro”.
“ Non ho mai creduto alla favola cinese con cui cominciano quasi tutte le conferenze rotariane, secondo cui l’ideogramma di crisi significa anche opportunità. A parte che sembra non sia vero neppure per i cinesi, vorrei vedere chiunque alle prese con tre crisi: economia e finanza, terrorismo, migranti..”
Fin qui la parte autocritica dell’intervista ad Amato che poi prosegue sulla solita strada anche se ammette che Corbyn ha preso voti perché era rimasto l’unico a poter parlare con ceti cui gli altri non erano neppure in grado di rivolgere la parola.
La parte fin qui riportata dell’intervista all’ex-Presidente del Consiglio è importante perché permette di sviluppare alcune affermazioni che si sintetizzano di seguito in maniera molto “rapsodica”;
1) L’obiettivo vero della furia iconoclasta degli anni’90 era rivolta non tanto e non solo a “sconfiggere il comunismo” (identificato nell’URSS e nel suo sistema di potere) quanto a cancellare la stessa percezione sociale della materialità della contraddizione di classe, che invece ha continuato pesantemente a operare nella società pseudo – globalizzata esasperando ed estendendo i meccanismi dello sfruttamento e trasferendo “lavoro vivo” per far spazio al perverso meccanismo della finanziarizzazione globale;
2) La cancellazione della percezione sociale della contraddizione di classe (meccanismo nel quale hanno avuto una gran parte, gli strumenti della comunicazione di massa rivolti complessivamente a propagandare l’individualismo in senso meramente consumistico e non certo di valorizzazione della persona umana) ha portato allo stravolgimento di natura del soggetto politico che l’aveva storicamente rappresentata: il partito. I partiti si sono trasformati nel senso che abbiamo verificato approdando da soggetti a integrazione di massa a soggetti di proprietà e promozione personale,in mano a lobby e a gruppi di potere (magari non particolarmente trasparenti). Il “caso italiano” a partire dalla metà degli anni’80 si è modificato in questo senso, dando spazio alle istanze più negative fino ad arrivare al delirio di questi giorni;
3) C’è stata una cesura storico – politica di cui l’intervista ad Amato è testimonianza oggettiva anche considerando la provenienza della fonte. La cesura è stata con la tradizione, la storia, il portato politico della sinistra italiana, nell’originalità dei suoi partiti, in quella che era stata la formazione del loro radicamento sociale che, affondando le radici nell’humus gramsciano, rappresentava molto di più che la classe operaia(quella stabile e organizzata) ma per esteso un complesso e articolato universo sociale che disponeva della diffusione della cultura politica come collante.
4) Si è verificata, in quel punto, una separazione molto più netta di quelle “storiche” che si sono presentate via, via nel procedere degli anni (penso a 3 momenti: la divisione tra fermezza e trattativa; la divisione tra maggioritario e proporzionale nel 1993; quella sulla deforma costituzionale del Dicembre scorso) e non è pensabile che chi contribuì a realizzare quella rottura e poi governò il grande abbaglio degli anni’90 (come descritto da Amato) aprendo la strada alla destra di Berlusconi prima e al populismo d’accatto di Renzi poi, possa riproporsi alla guida di uno schieramento alternativo sia pure in chiave neo-socialdemocratica alla Corbyn o alla Sanders;
5) Serve una riflessione più profonda e la ricostituzione di un ragionamento politico complessivo partendo dalla necessità di recuperare elementi che stanno dentro all’identità storica di quelle che furono le forze del movimento operaio. Un necessario richiamo al passato assolutamente non nostalgico perché orientato alla promozione di una nuova leva politica. Ci pensino quanti hanno già aderito all’appello lanciato da Anna Falcone e Tommaso Montanari , frettolosamente orientato verso la costruzione di una lista elettorale al riguardo della quale sarebbe necessario un chiarimento di fondo dal punto di vista dell’orientamento complessivo: tattica e strategia.
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