venerdì 28 marzo 2014

Nadia Urbinati: I doveri della sinistra

La Repubblica - 07 novembre 2013 I doveri della sinistra Il liberismo ha convinto per anni le maggioranze politiche che la sua ideologia fosse la strada migliore per realizzare la promessa di libertà. È il momento di riportare al centro la battaglia contro un pensiero che ci ha inculcato l'abitudine a leggere gli squilibri di potere come malasorte di NADIA URBINATI Come si può pensare di fare a meno della Sinistra in una società nella quale il tasso di disoccupazione ha superato il 12 per cento, la soglia di povertà è sempre più alta, e il senso di impotenza dei giovani e meno giovani ha effetti deprimenti sull'intera società? La domanda dovrebbe sembrare retorica e invece non lo è perché la Sinistra incontra difficoltà straordinarie a convincere i cittadini che di essa c'è bisogno. Non solo in Italia. L'ostacolo è prima di tutto ideologico; non dipende dal fatto che la Sinistra non può dimostrare di avere una storia di successo: la costruzione dello stato sociale è avvenuta anche grazie alla Sinistra ed è stata una storia di successo. Dopo di che, però, le idee che erano della Sinistra - la liberazione dal bisogno, la dignità e la libertà individuale, e perfino l'eguaglianza delle opportunità - sono state per anni rappresentate dalla Destra; e fino allo scoppio di questa crisi, sembravano meglio realizzate dal liberismo la cui potente ideologia - "meno stato più mercato" - ha convinto per anni le maggioranze politiche, un poco dovunque, che questa fosse la strada migliore per realizzare la promessa di libertà. Quella della Sinistra è stata una sconfitta ideologica dunque, che dura da molti anni. Aggravata dalla crisi di legittimità dei partiti politici che sta cambiando la faccia della democrazia rappresentativa e che alimenta l'insoddisfazione per la politica praticata la quale a sua volta dà ossigeno ai populismi e al mito della politica anti-partititica. Un mito che appartiene sia ai demagoghi sia agli esperti di economia che sognano di liberare la politica dall'ideologia e di portare la competenza tecnica al potere. Se non che le sorti possono cambiare - questo ha detto il nuovo sindaco di New York, Bill de Blasio. Possono cambiare se sappiamo spiegare di chi sono le responsabilità di questa crisi devastante: sono della Destra non della Sinistra, del giacobinismo liberistico che ha conquistato il palazzo d'Inverno prima a Londra e a Washington per poi mettere al bando in pochi anni la social-democrazia del vecchio Continente e dimostrare che al benessere diffuso si arrivava meglio e prima scatenando il capitale invece di responsabilizzarlo e regolarlo. Si tratta ora di deviare da questo percorso: la sfida non è facile, ma non utopistica come la vittoria del progressista de Blasio dimostra. Certo, ci vuole coraggio. Ci vuole la determinazione a recuperare il linguaggio e gli ideali che danno senso a questa sfida, la giustificano e, soprattutto, richiedono un soggetto politico che operi nel solco della tradizione social-democratica. Gli ideali sono gli stessi che erano alla base della costruzione delle democrazie europee nel secondo dopoguerra, e che la reazione neo-liberista ha sminuito; tre in particolare: 1) l'eguaglianza, non solo delle opportunità legali ma anche delle condizioni sociali che consentono ai cittadini di intraprendere le loro scelte di vita con responsabilità; 2) il senso di sé delle persone, la fiducia nelle proprie forze progettuali che nasce dalla libertà dal bisogno; e 3) la dignità delle persone per ciò che sono, comunque esse siano. Tre ideali sono contenuti nella nostra Costituzione e hanno spesso avuto come protagonisti attivi i cittadini che stanno ai margini, le minoranze morali e culturali appunto; coloro che hanno sperimentato e mostrato il valore del movimento e della partecipazione politica, spesso spontanea e non rappresentata dai partiti parlamentari: i movimenti femminili contro la violenza, per il lavoro e la non discriminazione nella carriera; quei cittadini che comprendono l'importanza di difendere beni comuni fondamentali, come la scuola e l'ambiente; gli omosessuali o chi ha differenze di stili di vita e di fede rispetto alla maggioranza - tutti questi protagonisti interpellano la collettività e la politica istituzionale nel nome di ciò che la democrazia promette: eguaglianza di considerazione e delle condizioni di partenza per poter esprimere se stessi; libertà dal bisogno che umilia la responsabilità individuale e rende passivi; libertà dall'offesa e dall'umiliazione che deriva dall'essere penalizzati per non appartenere alla parte giusta o alla maggioranza. Restituire alla Sinistra il significato progressista di emancipazione dalla servitù del bisogno - e per questo riportare al centro l'attenzione alle condizioni sociali della cittadinanza. Il preambolo della nostra Costituzione rende perfettamente il significato di questi valori quando afferma che l'Italia è "una Repubblica fondata sul lavoro". Ci dice infatti che la libertà politica (la repubblica) è possibile perché i cittadini sono socialmente autonomi, non soggetti al dispotismo degli amministratori delegati, ma nemmeno al paternalismo della carità pubblica. La cittadinanza lancia un progetto ambizioso contro la povertà perché la tratta come un male non da lenire ma da sradicare. Alla povertà, la democrazia sociale del dopoguerra ha dato un nome preciso: assenza di lavoro, disoccupazione. Perché questo sistema politico si regge sulla possibilità di ciascuno di pensare a se stesso e alla cura dei figli; di farlo con dignità e per mezzo di un'attività che non umilia: il lavoro in cambio di un salario dignitoso e di diritti ad esso associati, da quello alla scuola, alla salute e alla sicurezza sociale. Mettere il lavoro alla base del sistema politico comporta rivederne il significato, il valore, il senso: significa emanciparlo dallo stigma della sofferenza facendone una condizione di possibilità ed emancipazione. Un'impresa titanica che la democrazia moderna è riuscita a compiere solo molto parzialmente e quando si è legata alla tradizione socialista non quando se ne è distanziata. Perché lavoro dignitoso e fiducia nelle proprie capacità stanno insieme e possono decadere insieme, come vediamo oggi. La cultura politica di una Sinistra democratica dovrebbe riportare al centro la battaglia contro un'ideologia che ci ha inculcato l'abitudine a leggere gli squilibri di potere come malasorte o sfortuna, la diseguaglianza nelle condizioni sociali come meritata sconfitta.

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