mercoledì 5 marzo 2014

Paolo Bagnoli: Un capo giovane e veloce

Un capo giovane e veloce di Paolo Bagnoli Matteo Renzi ha conquistato, in uno stretto giro di tempo, prima il partito e poi il governo facendone “il governo del Pd di Matteo Renzi.” Ecco il punto politico vero che chiude i vent’anni post-Tangentopoli caratterizzati dalla costruzione dello sfascio di sistema di cui Berlusconi è il primo responsabile anche se il Pd non è esente da responsabilità. E’ d’obbligo dire: vedremo cosa riuscirà a combinare il governo Renzi; il quale, al di là delle chiacchiere, ha subito suonato il tasto della tassazione. La cosa non può che destare perplessità. Al comunicatore che annunciava cose che poi non faceva, è succeduto il comunicatore della velocità; colui che ha addirittura calendarizzato i provvedimenti da prendere. Ancora: vedremo. Confessiamo che siamo rimasti molto stupiti dal basso livello del discorso che Renzi ha tenuto in Parlamento. Credevamo, infatti, che, presentandosi come l’iniziatore di una nuova fase storica della vita politica della Repubblica, le cui sorti stanno nelle mani di un personale politico che fa del dato anagrafico la prima indiscutibile qualità, la consapevolezza fosse pari all’intenzione e l’orgoglio alla consapevolezza. Abbiamo avuto, invece, una sequela di comunicazioni e la sostanziale richiesta di un affidamento del Paese, in toto, non alla classe politica del Pd, ma a quella, appunto, "del Pd di Matteo Renzi". Con ciò il presidente del consiglio ha impostato un’equazione politicamente anomala e non scevra di una qualche pericolosità: Pd eguale Renzi e questi eguale governo. Com'era avvenuto con Berlusconi il programma del governo, quindi, è ciò che decide chi lo presiede. La conferma ci viene da più parti. Se prescindiamo da Renzi, come potremmo politicamente definire il governo? Se il precedente era residuale alle grandi intese – e comunque a Letta va riconosciuto il merito di aver spaccato Forza Italia – questo cos’è? Lo si può definire solo declinando le sue componenti principali: un governo del centrosinistra in quanto Renzi e del centrodestra in quanto Alfano. Guarda caso ciò che prevale, traguardando i due lati, è il centro che, però, non è una politica, ma una persona, ossia ancora Matteo Renzi. Dal centro che diviene centralità egli può giocare sulla sinistra, entrando dopo sette anni di inutili discussioni nel Pse – qui si apre un altro problema che riguarda il socialismo europeo che al momento mettiamo da parte – oppure può fare intese parallele, rispetto all’asse del governo, con Silvio Berlusconi. Intendiamoci: che Renzi abbia cercato una sponda nel vecchio leader di FI non ci meraviglia, anche se la situazione nella quale questi si trova avrebbe richiesto almeno accortezza. Ci meraviglia bensì che in due – sì, avete capito bene, in due – abbiano deciso quali sono le riforme da fare, compresa la legge elettorale. Essa, pare di capire, punta a formalizzare un bipolarismo forzato e a impedire la nascita di nuovi soggetti politici. Indigna letteralmente che in tutto ciò non possano essere messe le mani, come più volte ribadito, perché quello è l’accordo tra i due. Qui la natura parlamentare della nostra democrazia, già in ginocchio per tante ragioni, è addirittura stesa a tappeto. Inoltre, siamo convinti che se quell’accordo fosse sottoposto, come sarebbe naturale, a sindacatura da parte delle altre forze politiche, Renzi potrebbe tranquillamente scomporre il suo governo potendo contare sul sostegno parlamentare dell’altro contraente l’accordo. Prevediamo che ciò accadrà poiché, tanto più Renzi cinguetta con Berlusconi, tanto più Alfano si distanzia. E alla fine, riteniamo che, sulla sorte di Alfano, i due siano perfettamente d’accordo poiché ciò porterebbe, inevitabilmente alle elezioni. Così Renzi, che controlla partito e governo, ma non i gruppi parlamentari, tenterebbe il colpaccio. Dopodiché, accanto al partito e al governo, avremmo anche “il Parlamento di Renzi”. Sempre che ce la faccia a vincere; in ogni caso i gruppi parlamentari nascerebbero nel segno dell'indiscussa fedeltà al capo giovane e veloce. "Tutto ciò che c’azzecca?”, direbbe Di Pietro (del quale, peraltro, non si sente la mancanza). La deriva della mancata risoluzione della crisi post-Tangentopoli ha condotto a questo punto che è di assoluto personalismo in quanto il senso, il valore nonché la forma della democrazia sono del tutto spersonalizzati. Da ultimo non rimane che adattare a un sistema amorfo la Costituzione della Repubblica. Probabilmente sarà il prossimo passaggio. Di certo non siamo più nella consequenzialità numerica delle stagioni della Repubblica, ma ormai proprio in un altro tipo di Repubblica.

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