venerdì 10 ottobre 2014

Massimo Gramellini: Un solo partito

Massimo Gramellini, La Stampa, 10 ottobre 2014 In Italia è rimasto un solo partito, e non è di sinistra. Si chiama Pd, ma è la versione moderna, senza tessere né sacrestie, della Democrazia cristiana, la balena interclassista che tutti apertamente criticavano, e di nascosto votavano. Il processo ha raggiunto il suo culmine questa settimaqna con la sconfitta degli ultimi eredi del Pci sull'articolo 18. Renzi ha celebrate il proprio trionfo con una scelta significativa, andando a pontificare negli unici talk shaw che parlano all'ex popolo berlusconiano, quelli capitananti da Porro e da Del Debbio. Con la spregiudicatezza tipica delle persone cresciute in un ambiente familiare sereno, e quindi molto sicure di sé, l'annunciatore fiorentino sta disintegrando i tabù che hanno paralizzato per decenni i suoi predecessori comunisti e pidiessini. Renzi ha cacciato dietro di sé il timore di avere nemici a sinistra e di mettersi contro la Cgil, ma soprattutto l'imbarazzo nel chiedere voti alla base sociale dell'incantatore dì Arcore: liberi professionisti, commercianti, piccoli imprenditori e disoccupati, che secondo Il Sole 24 Ore hanno cambiato verso alle elezioni europee, dirottando per la prima volta i loro consensi sul partito che finora gli aveva procurato solo attacchi di orticaria. La realtà è che oggi chiunque, da Passera a Della Valle, pensi di entrare in politica per rifondare il centrodestra deve prendere atto che al momento non esiste un bacino di voti disponibile. Renzi ha fatto il pìeno, lasciando scoperta solo la zona riservata ai lepenisti italiani magistralmente interpretati dall'altro Matteo, il becero ma efficacissimo Salvini (che raccoglie l’8% secondo i sondaggi). Il resto è un mondo finito e svuotato di consensi, che sopravvive sui giornali per vecchi automatismi, che inducono i cronisti a interessarsi alle ultime convulsioni nelle file di Berlusconi. I voti di Alfano e di Monti sono già tutti in pancia al Pd. E quei pochi che restano a Silvio, finiranno in parti uguali a Matteo uno e Matteo due. L'unica terra di conquista elettorale è dunque quella che un tempo avremmo chiamato Sinistra. Sono i giovani e i precari attratti da Grillo, i pensionati, i nostalgici dello Stato sociale e in genere gli oppositori di un sistema capitalistico che, per un processo apparentemente ingovernabile, sta privilegiando le rendite, disintegrando il ceto medio e creando sacche sempre più ampie di povertà. Il pigliatutto di Palazzo Chigi, naturalmente, si considera di sinistra anche lui. Anticomunista, ma di sinistra. Solo che la sua non è la sinistra europea e statalista dei Palme e dei Mitterrand, ma quella anglosassone e meritocratica dei Clinton e dei Blair. Per chi non vi si riconosce rimarrebbe in teoria uno spazio persino più ampio di quello occupato dagli emuli del greco Tsipras. Manca però, appunto, uno Tsipras. Cioè un leader in grado di indicare un modello sociale alternativo ma praticabile, e di perseguirlo con coerenza. Difficile possa esserlo Civati e meno che mai possono esserlo Bersani e D'Alema, con il sostegno delle truppe ormai poche e brizzolate della Camusso. Se i grandi vecchi non se ne vanno dal Pd, non è certo per fedeltà a un partito che non sarà mai più il loro, ma perché sanno che fuori dal Pd si condannerebbero all'insignificànza di un Gianfranco Fini. Nella settimana in cui comincia ufficialmente l'era del partito unico, bisogna riconoscere che l’Antirenzi potrà nascere solo dentro il nuovo Pd, così come i rivali dei leader democristiani venivano prodotti in serie dalla stessa Dc. Renzi lo sa talmente bene che sta provvedendo a ucciderli tutti nella culla. Resta da vedere se, come accade sempre in politica, prima o poi qualcuno riuscirà a sopravvivergli e a fargli la pelle.

2 commenti:

roberto ha detto...

Io non darei per scontata la vittoria definitiva del renzismo, anche se i media ce la raccontano così, chissà perché (!!??), e non dimentichiamo mai che lo sbandierato 41% si riferirebbe a elezioni europee (e non politiche nazionali) cui ha partecipato solo la metà del corpo elettorale.
Intanto le "riforme" istituzionali e del lavoro per ora le avrebbe approvate solo un ramo del parlamento.
Poi questo governo ha dimostrato incapacità a prendere provvedimenti d' urgenza in campo sociale di cui il paese ha disperatamente bisogno. D' altronde se non rimette in discussione i vincoli europei...
Non è vero che la difesa del lavoro che c'è e dello stato sociale sono residuali battaglie "comuniste", casomai si tratta di indiscutibili pilastri di tutta la sinistra, a cominciare da quella storica del Socialismo italiano.
Il blairismo ha impedito al Socialismo europeo di definire un progetto alternativo al neoliberismo. Ma che andiamo cercando, i risultati di certe politiche pseudoprogressiste sono sotto gli occhi di tutti.
La politica renziana non aiuta certo il ceto medio impoverito, essendo diretta derivazione delle politiche dei precedenti governi gradite ai "mercati".
Casomai il punto è un' alleanza politica di tutti coloro che vivono del proprio lavoro.
Prima vediamo i contenuti, poi eventualmente parliamo di leadership.
Infine, se si deve guardare ai sondaggi, gli ultimi danno Sel al 4,5%, non mi sembra una brutta base di partenza.

martelloni ha detto...

Con tipica tecnica renziana (Renzi ormai fa scuola a tanti ciclostilati e ciclostilanti "dicitori"), Borla non risponde nel merito alle argomentazioni giuridiche e fattuali portate dal giuslavorista nell'articolo seguente: http://www.sindacalmente.org/content/luoghi-comuni-italiani-cosa-si-fa-eu-
fmartelloni-art18

Contributo che, anche comparando varie legislazioni europee sul lavoro, sgonfia luoghi comuni e "sbobbe" ideologiche renzian-padronali (pardon: imprenditoriali), difendendo così l'art. 18 e quanto significa per l'effettivo rapporto capitale/lavoro in Italia. Borla – come troppi altri – scantona, parla d'altro. Ora la butta su Gramellini eludendo le questioni di merito, tecnico-giuridiche e, su questa base, poltiche. Quanto a queste ultime, nel breve periodo Renzi sembra andare all'incasso (avendo definitivamente "scassato" una certa sinistra). Nel medio periodo non credo. La partita sarà tutta aperta soprattutto quando evaporeranno i fumi e le nebbie della propaganda populistico-governativa che cerca di alimentare la guerra tra i poveri. Nel lungo periodo .... saremo tutti morti – come scriveva Keynes –, ma le antiche, presenti, e future questioni del capitale e del lavoro (nelle loro nuove fenomenologie) resteranno sempre sul tappeto. Intanto cominciamo dalla manifestazione del 25 ottobre.