sabato 11 gennaio 2014

Franco Astengo: Stato e mercato

STATO E MERCATO: L’OGGETTO DEL CONTENDERE TRA POLITICA E IDEOLOGIA dal blog: http://sinistrainparlamentoblogspot.it Le pagine culturali di “Repubblica” ospitano oggi, martedì 7 gennaio 2013, una lunga e importante recensione, firmata da Roberto Esposito, del testo di Pierre Dardot e Christian Laval “La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista” appena tradotto per DeriveApprodi. Il tema è ancora una volta il rapporto tra Stato e Mercato: anzi, come recita il titolo della recensione Mercato vs Stato. Un tema che pure è necessario affrontare di nuovo, cecando elementi per una riflessione di fondo che pure s’impone, dopo tanti anni di ascolto di “slogan” senza senso e di imposizione di un’egemonia acriticamente subita. Il sottotitolo dice “Moriremo neoliberisti (nonostante la crisi)” ma è, almeno in apparenza, contraddetto dall’occhiello “Non è solo un pensiero egemone: le società sono ormai plasmate dalla logica del capitale puro, ma il dogma vacilla”. Parole forti, insomma, almeno nell’approccio: parole inusuali come dogma ed egemonia. La tesi di fondo del testo è così riassumibile: la crisi in corso, lungi dal comportare un indebolimento delle politiche neoliberiste, ha portato a un loro brutale rafforzamento attraverso forme di austerità incapaci di invertire la logica speculativa dei mercati finanziari. La facile apparenza di un’inversione di tendenza – prosegue il testo di Esposito – è nata da un’interpretazione inadeguata del liberismo come semplice ritiro dello Stato davanti alla natura del mercato. In questo modo si è confusa l’ideologia della fase eroica del liberismo economico con il modo in cui esso si è concretamente realizzato. Non solo quello che chiamiamo neoliberismo, sia nella versione austriaca di von Hayek sia in quella anglosassone di Friedman, non ha mai immaginato di fare a meno dello Stato, ma ha prodotto esso stesso una pratica di governo (Esposito cita anche Foucault e il suo giudizio circa la “razionalità neoliberale” intesa come eminentemente “governamentale”). Allora, prendendo spunto da queste affermazioni, si può ben dire che ci siamo trovati davanti a scelte ideologiche, frutto di un “pensiero forte” che hanno prodotto – appunto – una sorta di dogmi aprendo la strada a scelte politiche che hanno assunto tratti egemonici di ver a e propria “plasmatura” della società. “Pensiero forte” e ideologia: c’entrano poco la globalizzazione, il versante impervio dell’innovazione tecnologica ed anche il superamento dei riferimenti classici sotto l’aspetto geopolitico, il cedimento di sovranità dello “Stato – Nazione”, financo l’Europa dei banchieri. Il punto risiede nella “contendibilità” delle scelte politiche, della messa in campo di nuovo di un “pensiero forte” da parte di chi pensa di interpretare e rappresentare pensiero ed esigenze delle grandi masse diseredate, portando avanti le proprie istanze nella dimensione reale in cui ci si viene a collocare concretamente nella geografia e nella storia (geografia e storia ormai ancelle dimenticate nell’espressione del pensiero politico e sociale). Il “vacillare del dogma”, come scritto nell’occhiello dell’articolo di Esposito, potrà avvenire soltanto rinunciando alla subalternità e recuperando in pieno la realtà della contraddizione di classe, intesa quale espressione suprema proprio nella concezione del pensiero come ideologia dello sfruttamento. O meglio, del dogma dello sfruttamento imposto dai padroni. Il testo cita Von Hayek, caposcuola del liberismo europeo, grande critico di Keynes: ebbene proprio von Hayek è il fondatore di una “concezione liberale dello Stato” e di critica (come scrive Raimondo Cubeddu) del “costruttivismo razionalistico”, categoria nella quale comprende tanto la democrazia, quanto il socialismo e pure i totalitarismi, nell’idea dell’impossibilità di limitare la libertà individuale. L’esito di questa teoria non ha potuto, alla fine, che essere quella della “liberazione degli spiriti animali del capitalismo”. Di che cosa si tratta, infine, se non di ideologia da porre alla base delle scelte politiche? Ogni pragmatismo, lo si voglia o no, è frutto di una teoria: e noi sinistra che abbiamo voluto comunista, socialista, infine anticapitalista o più riduttivamente antiliberista come si usa adesso per non spaventare i benpensanti, vi abbiamo rinunciato in pieno, oppure l’abbiamo ridotta come concezione fine a se stessa, quasi una camicia di Nesso per impedire alle scelte politiche di venir fuori, rimanendo così in pieno nella condizione della subalternità, insieme ideologica e politica. La proposta, allora, è quella di riprendere la logica del “pensiero forte”, ritornando ai fondamentali nella valutazione del concreto delle scelte che, attraverso di essi, possono essere compiute oggi all’inizio del XXI secolo: altrimenti anche gli stessi tentativi di riattualizzazione del socialismo come del comunismo resteranno sterili o ancorati alla visione delle diverse forme d’inveramento statuale realizzate nel secolo scorso. La necessità è quella di un nuovo inveramento. Del resto il termine ideologia, al momento della sua definizione da parte di Destut de Tracy significava semplicemente “conoscenza delle idee”. E’ stato grazie alle ideologie che larghe masse di umanità nel XX secolo hanno trovato identità e senso dell’agire politico. Da questo punto di vista la presunta fine o morte delle ideologie, cioè del venir meno della tensione politica e delle forti identità costruite intorno a differenti opzioni di valore, costituisce ancora adesso uno degli aspetti più misteriosi degli anni conclusivi del ‘900. E’ vero, infatti, come si è cercato di sostenere anche in questo testo che l’affermazione dell’idea della globalizzazione e della conseguente egemonia neo-liberista è stata dovuta essenzialmente a un impianto di tipo ideologico capace di esprimere punte di vera e propria mistificazione (costruendo, di conseguenza, “falsa coscienza”) sul terreno del ruolo dello Stato e dell’affermazione di una presunta “gestione tecnica” dei processi economici capitalistici, riuscendo a scindere – nell’immaginario collettivo – i meccanismi di gestione del ciclo della sempre imperante logica dello sfruttamento capitalistico. E’ necessario riprendere a controbattere con decisione proprio nel campo della “battaglie delle idee” accompagnando questa ripresa di piena coscienza con una capacità immediata di proposta politica complessiva e di ripresa della forza della strutturazione politica. Franco Astengo

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