L'articolo di Gallino è interessante e come sempre ricco di spunti ampiamente condivisibili. In particolare condivido ciò che dice circa la "lotta di classe al rovescio" che si è verificata negli ultimi 20 anni, togliendo quota di PIL al lavoro, e la necessità di contrattazione nazionale, così come è esemplare il richiamo alla necessità della piena occupazione. Tuttavia è sugli interventi che secondo me c'è un punto sul quale "resta nel guado", mancando forse di un po' di coraggio. Credo che quando Gallino parla di interventi per assunzioni in posti "labour intensive", pur avendo egli sicuramente in mente anche attività legate al consumo di tempo libero e attività culturali, che quindi presuppongono un diverso modo di concepire il lavoro, non dice nulla, esplicitamente, in merito al fatto il lavoro nei settori manifatturieri vada ripensato anch'esso (politiche sugli orari di lavoro) e ciò lo espone a critiche come quelle presenti nei commenti al suo articolo (Claudio Checchi e Vittorio Mollame) che, a parte i toni forse poco diplomatici (Checchi), sicuramente hanno centrato alcuni punti che sono cruciali: il ruolo internazionale dell'Italia e la ridistribuzione del lavoro. Il problema però è che questo tipo di interventi, suggeriti dai due commentatori, sono tutt'altro che pacifici, e portano in primo piano la necessità di una sinistra socialista che non abbassi la testa, nascondendosi dietro il dito del moderatismo e del buon senso: se è vero che la pazienza è sicuramente una virtù rivoluzionaria, è anche vero che essa deve servire per dirigersi con ostinazione (altra virtù rivoluzionaria che sicuramente apparteneva anch'essa al grande Nenni) verso gli obiettivi. Quindi: moderatismo e pragmatismo si, ma nella consapevolezza che dobbiamo togliere a chi ha lucrato e depredato le classi lavoratrici (in senso lato, ci metto anche gli artigiani, le partite IVA, i piccoli imprenditori.... anche se magari questi accostamenti faranno storcere il naso ai puristi delle analisi di classe) per restituire a chi lavora!
La redistribuzione del lavoro è, secondo me, la nuova frontiera della lotta di classe del terzo millennio.
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L'articolo di Gallino è interessante e come sempre ricco di spunti ampiamente condivisibili. In particolare condivido ciò che dice circa la "lotta di classe al rovescio" che si è verificata negli ultimi 20 anni, togliendo quota di PIL al lavoro, e la necessità di contrattazione nazionale, così come è esemplare il richiamo alla necessità della piena occupazione.
Tuttavia è sugli interventi che secondo me c'è un punto sul quale "resta nel guado", mancando forse di un po' di coraggio. Credo che quando Gallino parla di interventi per assunzioni in posti "labour intensive", pur avendo egli sicuramente in mente anche attività legate al consumo di tempo libero e attività culturali, che quindi presuppongono un diverso modo di concepire il lavoro, non dice nulla, esplicitamente, in merito al fatto il lavoro nei settori manifatturieri vada ripensato anch'esso (politiche sugli orari di lavoro) e ciò lo espone a critiche come quelle presenti nei commenti al suo articolo (Claudio Checchi e Vittorio Mollame) che, a parte i toni forse poco diplomatici (Checchi), sicuramente hanno centrato alcuni punti che sono cruciali: il ruolo internazionale dell'Italia e la ridistribuzione del lavoro. Il problema però è che questo tipo di interventi, suggeriti dai due commentatori, sono tutt'altro che pacifici, e portano in primo piano la necessità di una sinistra socialista che non abbassi la testa, nascondendosi dietro il dito del moderatismo e del buon senso: se è vero che la pazienza è sicuramente una virtù rivoluzionaria, è anche vero che essa deve servire per dirigersi con ostinazione (altra virtù rivoluzionaria che sicuramente apparteneva anch'essa al grande Nenni) verso gli obiettivi. Quindi: moderatismo e pragmatismo si, ma nella consapevolezza che dobbiamo togliere a chi ha lucrato e depredato le classi lavoratrici (in senso lato, ci metto anche gli artigiani, le partite IVA, i piccoli imprenditori.... anche se magari questi accostamenti faranno storcere il naso ai puristi delle analisi di classe) per restituire a chi lavora!
La redistribuzione del lavoro è, secondo me, la nuova frontiera della lotta di classe del terzo millennio.
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