martedì 12 febbraio 2013

Nicola Cacace: Redistribuire il lavoro

Segnalo il contributo di Nicola Cacace sul legame tra occupazione e orario di lavoro e la necessità, specie in situazione di crisi come l'attuale, di redistribuire il lavoro per incidere sulla disoccupazione. Insomma la vecchia ricetta tanto critiicata di "lavorare meno per lavorare tutti" e l'obiettivo della riduzione dell'orario di lavoro. Naturalmente l'Italia sta procedendo in direzione opposta aumentando in maniera esagerata l'età pensionabile (l'unico Paese in Europa che nel 2020 obbliga tutti ad andare in pensione a 67 anni!), avendo un orario settimanale di lavoro superiore a quello di Francesi e Tedeschi (che hanno le 35 ore) e facendo pagare lo straordinario meno dell'ora ordinaria. E su quest'ultimo aspetto a decidere è stato, purtroppo, il centrosinistra! Cari saluti Renzo Penna Redistribuire il lavoro la ricetta europea per l’occupazione Nicola Cacace(A e F di "la Repubblica" 11/02/2013) Più di 2 milioni di disoccupati, quasi 3 milioni di inattivi - né occupati né in formazione - più di 1 milione in Cassa integrazione, un tasso di occupazione del 56% rispetto al 64% europeo, questi sono i numeri attuali del dramma occupazionale italiano. Con una situazione simile, che spinge i giovani migliori ad emigrare, le donne a stare a casa ed il Mezzogiorno a languire, ci si aspetterebbero politiche del lavoro più attente ad una redistribuzione del lavoro piuttosto che, al contrario, tese a premiare la concentrazione del lavoro su poche spalle. Purtroppo da anni la politica italiana dell’occupazione va in direzione opposta a quella dei paesi europei più avanzati, Germania e Francia in testa. Ce l’ha ricordato anche Mario Draghi, non tanto timidamente, quando disse ad ottobre “in molti paesi dell’Eurozona la disoccupazione è stata mitigata da forme di flessibilità interne e di part time”. In tutti i paese tranne nel nostro. Come scrive anche l’ultimo rapporto annuale Eurostat sulla forza lavoro “nel 2011 il tasso di occupazione è aumentato in 14 paesi membri, anche in coincidenza con l’aumento di 0,3 punti percentuali della quota di lavoro part time sull’occupazione totale, quota che ha continuato a crescere in tutti i paesi, arrivando al 20,3% nel 2011”. I paesi europei con tasso di occupazione superiore al 70% sono anche tutti paesi con quote di lavoratori part time superiori alle nostre: Olanda 49%, Austria e Germania 26%, Francia, 18% Svezia e Norvegia superiori al 25%, mentre in fondo ci sono Italia e Spagna, con part time del 15%. E questi paesi sono anche quelli con orari annuali più corti dei nostri. Grecia, Italia e Spagna sono i paesi con orari più lunghi e tassi di occupazione più bassi. L’Italia è l’unico paese europeo in cui l’ora di straordinario costa meno dell’ora ordinaria di lavoro. Anche il dato sul lavoro precario che costa meno, non giova alla produttività delle imprese. Aggiungiamo le politiche di allungamento dell’età pensionabile, necessarie per l’allungamento della vita, con l’Italia in testa - nel 2020 saremo l’unico paese europeo con età pensionabile di 67anni - che oggettivamente riducono gli spazi occupazionali. Per concludere, sinché gli attuali ampi divari di costo lavoro con i paesi emergenti non si ridurranno, l’unico modo di competere dei paesi industriali nel mercato globale è quello di puntare sulla qualità di prodotti e servizi più che sulla quantità. E la qualità non ha affatto bisogno di lunghi orari, ma di innovazione, formazione e coooperazione tra lavoratori e imprese. Il saggio Keynes aveva previsto che, a causa del progresso tecnico - la produttività cresce da sempre più della produzione - i nipoti avrebbero lavorato 20 ore la settimana se volevano lavorare tutti. Non invoco le 20 ore di zio Keynes, ma almeno le 35 ore di francesi, tedeschi e paesi nordici. In questa fase dello sviluppo mondiale, con tassi di crescita medi del Pil dei paesi industriali più vicini al 2% che al 3%, senza redistribuzione del lavoro non ci sarà lavoro per tutti e la ripresa, quando verrà, rischia di essere jobless, senza lavoro. (11 febbraio 2013)

1 commento:

roel ha detto...

Purtroppo, ho l'impressione che nessun politico si farebbe sostenitore nelle
sedi istituzionali di una tale proposta. Nè l'orientamento più recente del
capitalismo schiavista, si mostra sensibile verso la centralità dell'uomo nelle
attività produttive, ispirate solo ed esclusivamente al criterio del profitto
massimo possibile. Tale orientamento trova conferma anche nell'ultima riforma
dell'età pensionabile e del corrispettivo trattamento altamente penalizzante.
Le cosiddette "morti bianche"
conseguenti quasi sempre agli insufficienti mezzi di prevenzione nei luoghi di
lavoro , rappresentano un'ulteriore conferma delle scelte di sfruttamento
massimale della forza-lavoro.
Sfruttamento che non si limita solo all'azzeramento della dignità
dell'uomo, anche come persona, ma si estende a tutte le risorse della terra,
con un'aggressione selvaggia e con le conseguenze più nefaste: inquinamento dei
mari, dei fiumi, dell'aria, della terra, dei fondali marini, delle città,
dell'habitat naturale, ecc., ecc.. Tutto legato all'egoismo del capitalismo e
della logica del profitto, per cui, allo sfruttamento dell'uomo si aggiunge
l'utilizzo in proprio dei beni e del patrimonio dell'intera collettività umana.
Fa testo anche la recente vicenda dello stabilimento di Taranto: i lavoratori
costretti a barattare il posto di lavoro col rischio di morte proprio e dei
familiari! Non c'è bisogno di scomodare il pensatore di Treviri per rendersi
conto a quale livello sia giunto il processo di alienazione.
L'uomo, oltre all'attività lavorativa, manuale o intellettuale che sia, per
realizzarsi nell'arricchimento della propria umanità, ha bisogno anche di
momenti di piena libertà, cioè di tempo libero da destinare ai propri interessi
personali, all'interscambio con la realtà che lo circonda, alla cura delle
proprie vocazioni, al potenziamento delle proprie facoltà, alla partecipazione
sociale, ecc., ecc.
Quanto si riscopre oggi ha degli antecedenti illustri. Già presso gli
antichi, " l'Otium" rappresentava, specie per l'elite, un bisogno
irrinunciabile e la produzione di molte opere, diventate patrimonio di tutta
l'umanità, è legata ad esso. Come si possono trascurare il saggio di Lafargue
(genero di Marx) dal titolo "Diritto all'ozio" e lo scritto di Russell dal titolo

"Elogio dell'ozio" ? Le stesse idee nutriva l'americano Galbraith, con

"La società opulenta".
Come si vede l'dea di "lavorare meno", magari con un piccolo ritocco della
retribuzione, produrrebbe un recupero di umanizzazione , un ampliamento della
propria libertà ed un sicuro arricchimento delle proprie potenzialità .Con la
conseguenza pratica di creare anche importanti spazi occupazionali. Un saluto,
Roel