Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
mercoledì 29 febbraio 2012
Vittorio Melandri: Il tempo delle scimmie sta per scadere
Si lamenta di continuo, dalle fonti più diverse ed anche autorevoli, che da molto tempo a sinistra manca un’analisi seria dei mutamenti intervenuti nel cosiddetto mondo moderno, quello che si è sviluppato prima e dopo la caduta del Muro di Berlino.
Or bene, non dispongo di nessuna autorevolezza, ma credo di essere all’altezza di porre qualche domanda, e forte della consapevolezza che se non riesco a cogliere risposte che mi convincano, né tanto meno a formularle di persona, da tempo faccio mio l’ammonimento di Turati e sono sempre più convinto che gli “scorcioni” non portano da nessuna parte, me ne resto a vivere appunto senza risposte e senza adottare succedanei del tipo….. fedi di varia natura.
Una prima domanda che mi sento di sollevare è questa ….
…..è possibile capire qualcosa di utile, utile a formulare anche analisi fertili capaci di concepire nuove scelte politiche, senza … pensare al passato e anche senza misurarsi con le nostalgie di coloro che sono ancora sentimentalmente legati ad esperienze che si considerano superate? ….
….è possibile che lo sguardo rivolto al passato remoto o a quello prossimo, si traduca sempre nell’essere una palla al piede che impedisce di lavorare per un’alternativa di società, seria fondata su solide teorie economiche, (e non economiche), capace di prospettare un miglioramento delle condizioni dei popoli della terra, in grado di mettere in moto speranze e nuova militanza? …. E magari la costruzione sensata di una “società diversamente ricca”??
A me la retorica “passatista” usata per spiegare al volgo che con la testa rivolta all’indietro si cade nella fossa che si apre dinnanzi ai nostri piedi, non mi convince, e se devo adottare una formula retorica, preferisco quella rimanda ad una logica persino banale….. “conoscere per deliberare”, e se il deliberare riguarda il futuro il conoscere non può che riguardare il passato, prossimo e remoto, nella serena consapevolezza che il tutto si congiunge nell’unico luogo spazio temporale che ci è dato di vivere, il presente, dove di continuo siamo.
Sarò banalissimo, non banale, ma in un mondo in cui ci fronteggia «una complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società (che) ci impone un diverso modo di studiare (e ci) chiede un dialogo tra le discipline … e la cooperazione fra campi diversi di conoscenza», per dirla con le parole di Piero Bevilacqua e Angelo D’Orsi, non credo si possa liquidare la parte “comunista” dell’originale pensiero “socialista”, sotto le macerie del muro di Berlino, come ha fatto sbrigativamente la classe dirigente dell’ex PCI, che poi, di “scorcione in scorcione” è approdata all’anemico PD, dove si “rimuove” forse il ricordo dell’essere stati al servizio di Mosca, ma si “rinnova” di continuo il sotterraneo e mai cessato servizio, reso al vero potere capace di incidere sulla nostra vita di italiani, quello dello Stato del Vaticano. (Altro che quello dell’ex URSS).
E sarò più “banalissimo” ancora, recuperando… Charlie Brown che su suggerimento di Charles M. Schulz diceva ….
“ho bisogno di tutti gli amici che ho, non posso permettermi di lasciarne fuori qualcuno”…..
…… se vogliamo sperare che qualcosa a sinistra si rinnovi davvero, non lasciamo perdere il passato, ma rimuoviamo gli effetti disastrosi degli errori che in passato abbiamo commesso, si tratta di conquistare almeno la libertà di commetterne di nuovi e non continuare a ripetere sempre gli stessi.
Anche perché, il tempo delle scimmie sta per scadere, e continua frullarmi in testa la frase che segue di Manuel Castells, che nel libro del 2000 –La nascita della società in rete- cita Lyon e Gorner per ricordare che……
“(…)Noi umani ci siamo evoluti sul piano intellettuale al punto che, relativamente presto, saremo in grado di comprendere la composizione, la funzione e la dinamica del genoma in gran parte della sua intimidatoria complessità. Ma a livello emotivo siamo ancora scimmie (….)”.
vittorio melandri
Or bene, non dispongo di nessuna autorevolezza, ma credo di essere all’altezza di porre qualche domanda, e forte della consapevolezza che se non riesco a cogliere risposte che mi convincano, né tanto meno a formularle di persona, da tempo faccio mio l’ammonimento di Turati e sono sempre più convinto che gli “scorcioni” non portano da nessuna parte, me ne resto a vivere appunto senza risposte e senza adottare succedanei del tipo….. fedi di varia natura.
Una prima domanda che mi sento di sollevare è questa ….
…..è possibile capire qualcosa di utile, utile a formulare anche analisi fertili capaci di concepire nuove scelte politiche, senza … pensare al passato e anche senza misurarsi con le nostalgie di coloro che sono ancora sentimentalmente legati ad esperienze che si considerano superate? ….
….è possibile che lo sguardo rivolto al passato remoto o a quello prossimo, si traduca sempre nell’essere una palla al piede che impedisce di lavorare per un’alternativa di società, seria fondata su solide teorie economiche, (e non economiche), capace di prospettare un miglioramento delle condizioni dei popoli della terra, in grado di mettere in moto speranze e nuova militanza? …. E magari la costruzione sensata di una “società diversamente ricca”??
A me la retorica “passatista” usata per spiegare al volgo che con la testa rivolta all’indietro si cade nella fossa che si apre dinnanzi ai nostri piedi, non mi convince, e se devo adottare una formula retorica, preferisco quella rimanda ad una logica persino banale….. “conoscere per deliberare”, e se il deliberare riguarda il futuro il conoscere non può che riguardare il passato, prossimo e remoto, nella serena consapevolezza che il tutto si congiunge nell’unico luogo spazio temporale che ci è dato di vivere, il presente, dove di continuo siamo.
Sarò banalissimo, non banale, ma in un mondo in cui ci fronteggia «una complessità sempre più interrelata del mondo vivente e della società (che) ci impone un diverso modo di studiare (e ci) chiede un dialogo tra le discipline … e la cooperazione fra campi diversi di conoscenza», per dirla con le parole di Piero Bevilacqua e Angelo D’Orsi, non credo si possa liquidare la parte “comunista” dell’originale pensiero “socialista”, sotto le macerie del muro di Berlino, come ha fatto sbrigativamente la classe dirigente dell’ex PCI, che poi, di “scorcione in scorcione” è approdata all’anemico PD, dove si “rimuove” forse il ricordo dell’essere stati al servizio di Mosca, ma si “rinnova” di continuo il sotterraneo e mai cessato servizio, reso al vero potere capace di incidere sulla nostra vita di italiani, quello dello Stato del Vaticano. (Altro che quello dell’ex URSS).
E sarò più “banalissimo” ancora, recuperando… Charlie Brown che su suggerimento di Charles M. Schulz diceva ….
“ho bisogno di tutti gli amici che ho, non posso permettermi di lasciarne fuori qualcuno”…..
…… se vogliamo sperare che qualcosa a sinistra si rinnovi davvero, non lasciamo perdere il passato, ma rimuoviamo gli effetti disastrosi degli errori che in passato abbiamo commesso, si tratta di conquistare almeno la libertà di commetterne di nuovi e non continuare a ripetere sempre gli stessi.
Anche perché, il tempo delle scimmie sta per scadere, e continua frullarmi in testa la frase che segue di Manuel Castells, che nel libro del 2000 –La nascita della società in rete- cita Lyon e Gorner per ricordare che……
“(…)Noi umani ci siamo evoluti sul piano intellettuale al punto che, relativamente presto, saremo in grado di comprendere la composizione, la funzione e la dinamica del genoma in gran parte della sua intimidatoria complessità. Ma a livello emotivo siamo ancora scimmie (….)”.
vittorio melandri
martedì 28 febbraio 2012
Luciano Belli Paci: Veltroni-Vendola
Vendola ha definito Veltroni "esponente di una destra colta e in loden".
Anch'io trovo sbagliata la definizione.
Non si tratta di destra "colta", bensì di destra confusa.
Una brutta copia della destra sul piano delle politiche economiche, MA ANCHE
un po' di sinistra sul piano dei diritti umani e dell'indignazione civile.
E' un po' di tutto, ma è anche oltre, e altrove, e ben altro.
Ubiquo e gassoso.
L'Africa ancora festeggia lo scampato pericolo.
LBP
DAL SITO DI REPUBBLICA:
LA POLEMICA
Veltroni-Vendola, è scontro
Nichi mi chieda scusa"
Nella sua prima conferenza stampa dal 2009, l'ex segretario del Pd replica
duramente al leader di Sel, che lo ha definito "esponente di una destra
colta e in loden" per la sua posizione sull'art.18. "Nel merito ho detto
meno di Bersani. Ma c'è sempre qualcuno che ti spiega che bisogna essere più
a sinistra di altri"
Lo leggo dopo
Veltroni-Vendola, è scontro Nichi mi chieda scusa"
6-09f04e402fc1.jpg> Walter Veltroni (ansa)
ROMA - Per la
fit-30524991/index.html?ref=search> sua posizione sull'articolo 18 1, Walter
Veltroni si rivela esponente di una destra "colta e con il loden". Ma l'ex
segretario del Pd non si rispecchia nel vestito cucitogli addosso dal leader
di Sinistra ecologia e libertà, Nichi Vendola. E la sua risposta non si fa
attendere. Con una conferenza stampa che lo stesso Veltroni rimarca essere
la prima dal 2009. "Il vecchio vizio di attribuire l'etichetta di traditore
o nemico a chi non la pensa come te è pericoloso e inaccettabile - attacca
l'esponente Pd -. Non è possibile accettare l'idea che chi non la pensa come
Vendola è di destra. Le scuse di Nichi sarebbero gradite".
Sul merito dell'articolo 18, Veltroni afferma di non voler riaprire il
dibattito, limitandosi a ribadire di aver detto "anche meno di quel che ha
detto Bersani. Io dico no a una discussione ideologica, partiamo dalla
realtà della società". Il suo obiettivo è confutare il giudizio che di lui
ha dato Vendola, che deve essergli suonato particolarmente sprezzante.
Veltroni premette di rispettare le persone di destra, ma di ritenere
"inaccettabile attribuire patenti e collocazioni diverse dalla storia di una
vita, è un vecchio e pericoloso vizio". "La mia idea di sinistra - spiega -
è una idea politico-culturale per cui si deve essere portatori di libertà,
opportunità,
diritti e innovazione". "Spero si sia trattato di un incidente - prosegue
Veltroni -, che quelle parole gli siano sfuggite e non siano una linea
politica". Perché, sottolinea, "se quel che ho detto, e che è la posizione
del Pd, non va bene a Vendola, allora c'è un problema, c'è una questione
politica. Sarebbe la spia di qualcosa di più profondo".
Veltroni ricorda la vignetta in cui Forattini ritrasse Berlinguer in
pantofole, nella sua poltrona, sorseggiando un tè mentre fuori, era il 1977,
si svolgeva il corteo dei metalmeccanici. "C'è sempre qualcuno che ti spiega
che bisogna essere più a sinistra di altri" afferma Veltroni, respingendo il
ritratto che di lui ha fatto Vendola. Poi cita la sua frase sull'articolo
18, in cui sollecitava a smetterla con totem e tabù per rivolgersi al
problema dei tanti giovani e donne senza una occupazione. "Se questo per
Nichi significa cancellare cento anni di battaglie operaie, io trasecolo
davvero. C'è strumentalità nella violenza di questo giudizio".
Per l'ex segretario democratico è evidente che ci sono idee diverse tra Pd e
Sel sul governo Monti, "io credo che tirarlo a destra o a sinistra sia un
errore, che sia meglio giudicarlo provvedimento per provvedimento, ma chi ha
un'opinione diversa non può essere definito di destra" rimarca ancora
Veltroni, che poi si toglie un ulteriore sassolino dalla scarpa: "Io non mi
permetterei mai di definire di destra chi votò per far cadere il governo
Prodi nel '98, ma altrettanto chiedo che si rispettino le opinioni di tutti.
Per me non è mai stato un problema se c'è qualcuno più a sinistra di me".
"In tutto il mondo ci sono due sinistre che si devono rispettare - osserva
ancora l'ex segretario dei democratici -. Ma quel che è stato detto è
inaccettabile. Io sono persona umanamente moderata, non sono da facili
rabbie, ma alcune cose non le tollero e una vita spesa in politica non può
essere cancellata da una battuta su un giornale. Per me la sinistra non è un
isolotto, è un arcipelago. E Vendola è un esponente di una sinistra con cui
si può a volte convergere a volte no, ma le cui opinioni rispetto".
(28 febbraio 2012)
Anch'io trovo sbagliata la definizione.
Non si tratta di destra "colta", bensì di destra confusa.
Una brutta copia della destra sul piano delle politiche economiche, MA ANCHE
un po' di sinistra sul piano dei diritti umani e dell'indignazione civile.
E' un po' di tutto, ma è anche oltre, e altrove, e ben altro.
Ubiquo e gassoso.
L'Africa ancora festeggia lo scampato pericolo.
LBP
DAL SITO DI REPUBBLICA:
LA POLEMICA
Veltroni-Vendola, è scontro
Nichi mi chieda scusa"
Nella sua prima conferenza stampa dal 2009, l'ex segretario del Pd replica
duramente al leader di Sel, che lo ha definito "esponente di una destra
colta e in loden" per la sua posizione sull'art.18. "Nel merito ho detto
meno di Bersani. Ma c'è sempre qualcuno che ti spiega che bisogna essere più
a sinistra di altri"
Lo leggo
Veltroni-Vendola, è scontro Nichi mi chieda scusa"
ROMA - Per la
Veltroni si rivela esponente di una destra "colta e con il loden". Ma l'ex
segretario del Pd non si rispecchia nel vestito cucitogli addosso dal leader
di Sinistra ecologia e libertà, Nichi Vendola. E la sua risposta non si fa
attendere. Con una conferenza stampa che lo stesso Veltroni rimarca essere
la prima dal 2009. "Il vecchio vizio di attribuire l'etichetta di traditore
o nemico a chi non la pensa come te è pericoloso e inaccettabile - attacca
l'esponente Pd -. Non è possibile accettare l'idea che chi non la pensa come
Vendola è di destra. Le scuse di Nichi sarebbero gradite".
Sul merito dell'articolo 18, Veltroni afferma di non voler riaprire il
dibattito, limitandosi a ribadire di aver detto "anche meno di quel che ha
detto Bersani. Io dico no a una discussione ideologica, partiamo dalla
realtà della società". Il suo obiettivo è confutare il giudizio che di lui
ha dato Vendola, che deve essergli suonato particolarmente sprezzante.
Veltroni premette di rispettare le persone di destra, ma di ritenere
"inaccettabile attribuire patenti e collocazioni diverse dalla storia di una
vita, è un vecchio e pericoloso vizio". "La mia idea di sinistra - spiega -
è una idea politico-culturale per cui si deve essere portatori di libertà,
opportunità,
diritti e innovazione". "Spero si sia trattato di un incidente - prosegue
Veltroni -, che quelle parole gli siano sfuggite e non siano una linea
politica". Perché, sottolinea, "se quel che ho detto, e che è la posizione
del Pd, non va bene a Vendola, allora c'è un problema, c'è una questione
politica. Sarebbe la spia di qualcosa di più profondo".
Veltroni ricorda la vignetta in cui Forattini ritrasse Berlinguer in
pantofole, nella sua poltrona, sorseggiando un tè mentre fuori, era il 1977,
si svolgeva il corteo dei metalmeccanici. "C'è sempre qualcuno che ti spiega
che bisogna essere più a sinistra di altri" afferma Veltroni, respingendo il
ritratto che di lui ha fatto Vendola. Poi cita la sua frase sull'articolo
18, in cui sollecitava a smetterla con totem e tabù per rivolgersi al
problema dei tanti giovani e donne senza una occupazione. "Se questo per
Nichi significa cancellare cento anni di battaglie operaie, io trasecolo
davvero. C'è strumentalità nella violenza di questo giudizio".
Per l'ex segretario democratico è evidente che ci sono idee diverse tra Pd e
Sel sul governo Monti, "io credo che tirarlo a destra o a sinistra sia un
errore, che sia meglio giudicarlo provvedimento per provvedimento, ma chi ha
un'opinione diversa non può essere definito di destra" rimarca ancora
Veltroni, che poi si toglie un ulteriore sassolino dalla scarpa: "Io non mi
permetterei mai di definire di destra chi votò per far cadere il governo
Prodi nel '98, ma altrettanto chiedo che si rispettino le opinioni di tutti.
Per me non è mai stato un problema se c'è qualcuno più a sinistra di me".
"In tutto il mondo ci sono due sinistre che si devono rispettare - osserva
ancora l'ex segretario dei democratici -. Ma quel che è stato detto è
inaccettabile. Io sono persona umanamente moderata, non sono da facili
rabbie, ma alcune cose non le tollero e una vita spesa in politica non può
essere cancellata da una battuta su un giornale. Per me la sinistra non è un
isolotto, è un arcipelago. E Vendola è un esponente di una sinistra con cui
si può a volte convergere a volte no, ma le cui opinioni rispetto".
(28 febbraio 2012)
E se la risposta alla crisi fosse stampare più soldi? - Se il deficit non e' un peccato la rivoluzione copernicana dei nuovi economisti Usa - Repubblica.it » Ricerca
F. Hollande: Il Meccanismo europeo di stabilità
21 febbraio 2012
Meccanismo Europeo di Stabilità: astensione del nuovo orientamento.
François Hollande e i socialisti rifiutano l'attuale orientamento dell’ Europa, quello che la destra europea impone ai cittadini.
Perché siamo dei pro-europeisti convinti , vogliamo un'altra Europa, una Europa solidale per combattere la crisi e che abbia la volontà di preparare il dopo-crisi. Nel suo progetto presidenziale (Impegno n 11), F. Hollande dice chiaramente: "Io rinegozierò il trattato europeo termine dall'accordo del 9 dicembre 2011 privilegiando la crescita e l'occupazione, e riorientando il ruolo della BCE in quella direzione."
Questa volontà di rinegoziare il trattato di austerità domani giustifica l'astensione sul Meccanismo Europeo di Solidarietà (MES) oggi. Si tratta di una astensione di riorientamento.
1) Con questo voto, esprimiamo il nostro impegno per la solidarietà in Europa.
Il MES è il meccanismo progettato per succedere al Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF), una misura di urgenza di fronte alla crisi del debito sovrano che abbiamo approvato.
Questo è uno strumento imperfetto, ma indispensabile per:
• contribuire a stabilizzare la zona Euro in faccia alla speculazione finanziaria garantendo un aiuto finanziario a qualsiasi Stato membro che si trovi di fronte “a gravi problemi di finanziamento",
• in modo permanente (e non colpo dopo colpo ),
- e in modo più reattivo (non dopo giorni e notti di chiacchiere tra dirigenti) .
2) Con questo voto, anche noi diciamo il nostro rifiuto alla timidezza di fronte alla speculazione e all’austerità per i popoli.
• La timidezza di fronte agli speculatori: il MES è un meccanismo tardivo - viene dopo 16 incontri dell’ultima speranza tra i capi di stato - e ahimè insufficiente – per mancanza di intervento diretto della BCE e non avendo a disposizione di una licenza bancaria, la sua capacità di azione (500 miliardi di €) potrebbe non essere sufficiente in caso di aggravamento della situazione. Inoltre, l'Europa deve rimanere sovrana: la richiesta di fondi esteri - cinese o d’altri - può indebolire l'UE quando, per esempio l’Europa esigerà un maggior rispetto delle norme sociali e ambientali nei scambi commerciali .
ARGOMENTI, RISPOSTE
- L'austerità per i popoli: la signora Merkel ha imposto al signor Sarkozy – il quale si è allineato – che l’assistenza finanziaria del MES debba essere soggetta a ratifica prima del nuovo Trattato di austerità concluso il 30 gennaio 2012 e alla trasposizione della regola d'oro nel diritto degli Stati sollecitando gli aiuti europei (punto 5 del MES). Dato che i liberali e i conservatori europei hanno fatto del MES l'anticamera del Trattato di austerità, i parlamentari socialisti non possono approvarlo. Di fronte all'asprezza vissuta dal popolo greco, ma anche dai popoli irlandese, portoghese, spagnolo, italiano, l'austerità non può essere la condizione della solidarietà.
Con la loro astensione di riorientamento, i parlamentari socialisti
• rendono possibile nell’ urgenza tutto quello che è positivo: la solidarietà dei popoli
• indicano per domani il loro rifiuto di quello che è negativo, l’austerità aggravata in Europa.
L’astensione dei parlamentari socialisti oggi su il MES rende possibile la rinegoziazione del trattato d’austerità con François Hollande al fine di completarlo un domani con mezzi favorevoli alla crescita e all’ occupazione.
• Questo dimostra ai popoli il nostro impegno per la solidarietà europea.
• Questo indica ai nostri partner un modo per fare uscire l'Europa dalla recessione e dalla disoccupazione (come l’hanno rilevato i socialdemocratici tedeschi).
• Questo s’iscrive in una strategia globale per l'Europa al fine che possa investire (nuovo ruolo della BCE, euro-obbligazioni, il budget europeo per il periodo 2014-2020 per i grandi progetti del futuro) e proteggere (regole severe di reciprocità in materia sociale ambientale, contribuzione clima-energie alle frontiere dell’Europa, riequilibrio monetario europeo / dollaro / yuan cinese)
Meccanismo Europeo di Stabilità: astensione del nuovo orientamento.
François Hollande e i socialisti rifiutano l'attuale orientamento dell’ Europa, quello che la destra europea impone ai cittadini.
Perché siamo dei pro-europeisti convinti , vogliamo un'altra Europa, una Europa solidale per combattere la crisi e che abbia la volontà di preparare il dopo-crisi. Nel suo progetto presidenziale (Impegno n 11), F. Hollande dice chiaramente: "Io rinegozierò il trattato europeo termine dall'accordo del 9 dicembre 2011 privilegiando la crescita e l'occupazione, e riorientando il ruolo della BCE in quella direzione."
Questa volontà di rinegoziare il trattato di austerità domani giustifica l'astensione sul Meccanismo Europeo di Solidarietà (MES) oggi. Si tratta di una astensione di riorientamento.
1) Con questo voto, esprimiamo il nostro impegno per la solidarietà in Europa.
Il MES è il meccanismo progettato per succedere al Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF), una misura di urgenza di fronte alla crisi del debito sovrano che abbiamo approvato.
Questo è uno strumento imperfetto, ma indispensabile per:
• contribuire a stabilizzare la zona Euro in faccia alla speculazione finanziaria garantendo un aiuto finanziario a qualsiasi Stato membro che si trovi di fronte “a gravi problemi di finanziamento",
• in modo permanente (e non colpo dopo colpo ),
- e in modo più reattivo (non dopo giorni e notti di chiacchiere tra dirigenti) .
2) Con questo voto, anche noi diciamo il nostro rifiuto alla timidezza di fronte alla speculazione e all’austerità per i popoli.
• La timidezza di fronte agli speculatori: il MES è un meccanismo tardivo - viene dopo 16 incontri dell’ultima speranza tra i capi di stato - e ahimè insufficiente – per mancanza di intervento diretto della BCE e non avendo a disposizione di una licenza bancaria, la sua capacità di azione (500 miliardi di €) potrebbe non essere sufficiente in caso di aggravamento della situazione. Inoltre, l'Europa deve rimanere sovrana: la richiesta di fondi esteri - cinese o d’altri - può indebolire l'UE quando, per esempio l’Europa esigerà un maggior rispetto delle norme sociali e ambientali nei scambi commerciali .
ARGOMENTI, RISPOSTE
- L'austerità per i popoli: la signora Merkel ha imposto al signor Sarkozy – il quale si è allineato – che l’assistenza finanziaria del MES debba essere soggetta a ratifica prima del nuovo Trattato di austerità concluso il 30 gennaio 2012 e alla trasposizione della regola d'oro nel diritto degli Stati sollecitando gli aiuti europei (punto 5 del MES). Dato che i liberali e i conservatori europei hanno fatto del MES l'anticamera del Trattato di austerità, i parlamentari socialisti non possono approvarlo. Di fronte all'asprezza vissuta dal popolo greco, ma anche dai popoli irlandese, portoghese, spagnolo, italiano, l'austerità non può essere la condizione della solidarietà.
Con la loro astensione di riorientamento, i parlamentari socialisti
• rendono possibile nell’ urgenza tutto quello che è positivo: la solidarietà dei popoli
• indicano per domani il loro rifiuto di quello che è negativo, l’austerità aggravata in Europa.
L’astensione dei parlamentari socialisti oggi su il MES rende possibile la rinegoziazione del trattato d’austerità con François Hollande al fine di completarlo un domani con mezzi favorevoli alla crescita e all’ occupazione.
• Questo dimostra ai popoli il nostro impegno per la solidarietà europea.
• Questo indica ai nostri partner un modo per fare uscire l'Europa dalla recessione e dalla disoccupazione (come l’hanno rilevato i socialdemocratici tedeschi).
• Questo s’iscrive in una strategia globale per l'Europa al fine che possa investire (nuovo ruolo della BCE, euro-obbligazioni, il budget europeo per il periodo 2014-2020 per i grandi progetti del futuro) e proteggere (regole severe di reciprocità in materia sociale ambientale, contribuzione clima-energie alle frontiere dell’Europa, riequilibrio monetario europeo / dollaro / yuan cinese)
Diego Dilettoso: A cosa serve un ministro
Dall’intervista della Fornero pubblicata su «Repubblica» di oggi, dove, tra le altre cose, si parla anche di FIAT.
«Come ministro del Lavoro, devo vigilare che la flessibilità non contenga elementi di discriminazione. Un esempio relativo alle donne, che voglio verificare: tra le assenze ingiustificate non può figurare l'assenza per maternità, non la si può penalizzare».
Denunciare le discriminazioni lavorative che subiscono le donne è sacrosanto. Ma è possibile che, parlando di FIAT e di discriminazioni, il Ministro del Lavoro non abbia niente da dire sul fatto che a Pomigliano non vengano assunti gli iscritti alla FIOM?
http://www.repubblica.it/economia/2012/02/27/news/intervista_fornero-30559974/?ref=HREC1-5
«Come ministro del Lavoro, devo vigilare che la flessibilità non contenga elementi di discriminazione. Un esempio relativo alle donne, che voglio verificare: tra le assenze ingiustificate non può figurare l'assenza per maternità, non la si può penalizzare».
Denunciare le discriminazioni lavorative che subiscono le donne è sacrosanto. Ma è possibile che, parlando di FIAT e di discriminazioni, il Ministro del Lavoro non abbia niente da dire sul fatto che a Pomigliano non vengano assunti gli iscritti alla FIOM?
http://www.repubblica.it/economia/2012/02/27/news/intervista_fornero-30559974/?ref=HREC1-5
lunedì 27 febbraio 2012
Antonio Caputo: Alcune considerazioni a margine della sentenza che ha prosciolto Berlusconi
La sentenza di proscioglimento del Tribunale di Milano "per essersi il reato estinto per sopravvenuta prescrizione" va commentata a prsecindere dalle giaculatorie di opposti schieramenti protesi ad affermare i primi ("professionisti," in senso sciasciano, dell'antiberlusconismo) che nel merito il reato di corruzione e' stato commesso, a prescindere, mentre quelli dello schieramento avverso ribadiscono che la magistratura complottarda va punita, anche in questo caso a prescindere....
E' piuttosto incontestabile:
a) che dai fatti sono trascorsi oltre 10 anni per arrivare ad una sentenza di primo grado, i cui tempi sono stati apparentemente affrettati solo da qualche mese, forse anche con qualche compromissione del diritto a difendersi dell'imputato (vedansi i testi della difesa, ammessi e poi, in limine della pronuncia, esclusi);
b) che in tutti questi anni, pure a fronte di leggi ad personam, i Governi avversi a Berlusconi, dopo i proclami elettorali, non hanno di sicuro abrogato quelle leggi che potevano abrogare ( la cosa ricorda un po' la storia del porcellum);
c) che "prescritto" vuol dire prescritto, non potendosi altro dedurre. Puo' solo significare che per il Tribunale di Milano mancava la prova certa dell'innocenza dell'imputato.
Dedurne processualmente che Berlusconi ha corrotto e' impossibile; .
d) che la prescrizione e' istituto antichissimo, noto ai Romani e al Beccaria, a presidio della garanzia di una Giustizia efficiente e capace in tempi ragionevoli di produrre una sentenza definitiva, che facit de albo nigro, aequat quadrata rotundis, realizzando una verita' processuale ovvero la gisutizia (con la g);
e) che il processo non accerta verita' assolute e dogmatiche, ma soltanto verita' storicamente relative, sulla base di quanto allegato e con la garanzia di ulteriori gradi di giudizio, oltre il primo, prima della sentenza definitiva.
A noi resta l'amarezza di una Giustizia inefficiente, dell'ennesimo mistero nella storia della Repubblica, con l'ipotesi, da qualcuno avanzata di un "compromesso" in Camera di consiglio pro Monti e per non turbare l'azione di Governo, il cui solo accenno dimostra il grado di sfiducia nelle Istituzioni che pervade il Paese, mentre la rissa parolaia tra colpevolisti e vittimisti continua
In una fase ormai lunga nel tempo di gravissima crisi della democrazia rappresentativa e mentre la societa' civile latitita, divisa in segmenti autoreferenziali, in clientele senza lobby, partitocrazie apparenti senza partiti, individui soli con la loro frustrazione e impotenza, l'emarginazione sociale, politica ed economica crescente di intere categorie e gruppi, il PIL mondiale che si sposta crescentemente e massicciamente in altri lontani Continente, la crisi delle Istituzioni e della loro credibilita' aumenta la distanza dei cittadini dalle Istituzioni.
Con quella distanza aumenta la responsabilita' di conferire dignita' alla Politica, arte dell possibile convivenza democratica, prodotto di partecipazione delle persone..
Antonio Caputo
E' piuttosto incontestabile:
a) che dai fatti sono trascorsi oltre 10 anni per arrivare ad una sentenza di primo grado, i cui tempi sono stati apparentemente affrettati solo da qualche mese, forse anche con qualche compromissione del diritto a difendersi dell'imputato (vedansi i testi della difesa, ammessi e poi, in limine della pronuncia, esclusi);
b) che in tutti questi anni, pure a fronte di leggi ad personam, i Governi avversi a Berlusconi, dopo i proclami elettorali, non hanno di sicuro abrogato quelle leggi che potevano abrogare ( la cosa ricorda un po' la storia del porcellum);
c) che "prescritto" vuol dire prescritto, non potendosi altro dedurre. Puo' solo significare che per il Tribunale di Milano mancava la prova certa dell'innocenza dell'imputato.
Dedurne processualmente che Berlusconi ha corrotto e' impossibile; .
d) che la prescrizione e' istituto antichissimo, noto ai Romani e al Beccaria, a presidio della garanzia di una Giustizia efficiente e capace in tempi ragionevoli di produrre una sentenza definitiva, che facit de albo nigro, aequat quadrata rotundis, realizzando una verita' processuale ovvero la gisutizia (con la g);
e) che il processo non accerta verita' assolute e dogmatiche, ma soltanto verita' storicamente relative, sulla base di quanto allegato e con la garanzia di ulteriori gradi di giudizio, oltre il primo, prima della sentenza definitiva.
A noi resta l'amarezza di una Giustizia inefficiente, dell'ennesimo mistero nella storia della Repubblica, con l'ipotesi, da qualcuno avanzata di un "compromesso" in Camera di consiglio pro Monti e per non turbare l'azione di Governo, il cui solo accenno dimostra il grado di sfiducia nelle Istituzioni che pervade il Paese, mentre la rissa parolaia tra colpevolisti e vittimisti continua
In una fase ormai lunga nel tempo di gravissima crisi della democrazia rappresentativa e mentre la societa' civile latitita, divisa in segmenti autoreferenziali, in clientele senza lobby, partitocrazie apparenti senza partiti, individui soli con la loro frustrazione e impotenza, l'emarginazione sociale, politica ed economica crescente di intere categorie e gruppi, il PIL mondiale che si sposta crescentemente e massicciamente in altri lontani Continente, la crisi delle Istituzioni e della loro credibilita' aumenta la distanza dei cittadini dalle Istituzioni.
Con quella distanza aumenta la responsabilita' di conferire dignita' alla Politica, arte dell possibile convivenza democratica, prodotto di partecipazione delle persone..
Antonio Caputo
Vittorio Melandri: Il mitico cambiamento e la sinistra... socialista
Il mitico “cambiamento” e la sinistra …. socialista
Checché se ne vada vagheggiando, ed anche un poco “cianciando”, non è “questo” il tempo originale del cambiamento.
Da sempre siamo immersi in un continuo mutarsi del mondo intorno a noi, e non c’è bisogno, almeno al livello semplice in cui si colloca la mia capacità di ragionare, di scomodare la fisica quantistica, e manco il principio di indeterminazione di Heisenberg, per esserne convinti.
È sufficiente, almeno per il tempo di un batter di ciglia, fare uso della memoria, quella che permette a ciascuno di noi, all’ovvia condizione che si “abbiano orecchi per ascoltare e/o anche un modesto cervello per intendere” (parafrasando a rovescio l’ultimo Scalfari), almeno a chi è nato insieme alla nostra Costituzione, di ricordare che negli anni cinquanta del novecento tutto era diverso da quanto era stato negli anni quaranta, e così è stato negli anni sessanta rispetto ai cinquanta e poi nei settanta rispetto ai sessanta e negli ottanta rispetto ai settanta e poi nei novanta rispetto agli ottanta.
Anni novanta al principio dei quali, tanto per fare un esempio “banale”, rispetto all’oggi, i “telefonini” erano un benefit riservato ai giocatori della nazionale di calcio che si apprestavano alle “notti magiche … aspettando un gol”, ed oggi vengono regalati dai padrini di battesimo ai neonati, e presto saranno incorporati nei nascituri direttamente in sala parto, prima dell’evento.
Tutto questo tagliando il “tempo con l’accetta”, come si suol dire, ma anche senza dimenticare che ancora poi, l’11 settembre 2001, il mondo intero, è cambiato tutto un’altra volta, e non si erano ancora viste le streets attorno a Wall street, animate da donne e uomini che sciamavano da quelli che si ad un attimo prima erano stati i propri uffici-posti di lavoro, con degli scatoloni in mano.
Ma il “cambiamento” …. oggi è diventata ormai la parola magica con cui tutto, ma proprio tutto, si spiega.
Quello che non si è fatto, e quindi cozza contro il “cambiamento”, e quello che sicuramente alcuni “riformisti” capaci di interpretare il “cambiamento” presto faranno, sempre che ovviamente una “sinistra becera e aggrappata alle mitologie e alle ideologie del secolo scorso (che si ostina ad) identificare la lotta contro le corporazioni e contro gli intrecci d’interesse con il thatcherismo e il reaganismo,” non riesca un’altra volta ad impedirlo, come ancora una volta il principe dei riformisti di riserva, Eugenio Scalfari ci ammonisce a ricordare, ripetendosi anche, bontà sua, “per chi non ha orecchi per ascoltare o cervello per intendere”.
Per altro incurante dell’ossimoro ….. perché è di tutta evidenza che vale davvero poco ripetersi per chi appunto non ha orecchi né cervello.
Un’altra cosa mi ha particolarmente colpito nell’ultimo sermone di Scalfari.
Egli, una volta pittato di par suo uno scenario fosco, in cui si agitano da un lato una “sinistra becera” e dall’altro una “Germania centro geopolitica dell’Europa”, indica nei due “Mario” italiani i “Titani” che, forti del suo alto patrocinio e guidati dalla saggezza del sig. Presidente Giorgio Napolitano, sapranno scardinare monopoli e oligopoli che a cominciare dall’Italia, impediscono di fronteggiare il cambiamento, e a dimostrazione del suo vaticinio ricorda che in Italia ma anche in Europa …….
“Il capitalismo democratico rese possibile l’incontro con il riformismo socialista nel felice trentennio che va dal 1945 alla metà degli anni Settanta. Ora quel modello va ricostruito su nuove basi.”
Sono certamente uno “gnocco” ma ho sempre pensato che il “capitalismo” sin dal formarsi delle sue possenti radici, quel “capitale” che per secoli si è trasferito qua e là per il mondo su navi “negriere”, tutto sia mai stato, fuorché democratico, e che anzi, monopoli ed oligopoli, anche una volta che la schiavitù, almeno sulla carta era stata abolita, ne siano stati e continuino ad esserne l’essenza.
Quel tanto di “capitalismo democratico” che si è andato qua e là formando, è nato proprio dall’impatto del “capitalismo” tout court, con il riformismo socialista, dentro il quale anche una “frazione comunista” non ha mai smesso di esistere.
Insomma, checché ne dica il “compagno” Scalfari, dimentico di essere stato parlamentare eletto nelle file del PSI riformista, quello in cui Bettino Craxi era ancora un assessore, al più un “delfino”, al più il figlio del primo vice-prefetto di Milano (Prefetto Riccardo Lombardi) dopo la Liberazione, quello che non era ancora diventato il Killer del PSI stesso….
….ripeto, checché ne dica Eugenio Scalfari……
….. non è stato il “capitalismo riformista” a rendere possibile l’incontro con il socialismo, ma è stato il socialismo a forzare il capitalismo di direzione un poco democratica, e la speranza che siano i “Mario italiani” a renderlo oggi più democratico ancora, è una speranza vana.
Se non sarà la sinistra socialista a ricostruirsi su nuove basi, ma continuerà a sacrificare la propria identità, affidandosi a leader autoreferenziali, ammaestrati da “guru”, loro sì, appartenenti ai secoli passati, il cambiamento continuerà, certamente, checché se ne vada cianciando, ma nella direzione di una macelleria sociale che una maggiore sobrietà e strumenti più raffinati ed anestesie più efficaci, renderanno solo più amara, non certo più democratica.
vittorio melandri
Checché se ne vada vagheggiando, ed anche un poco “cianciando”, non è “questo” il tempo originale del cambiamento.
Da sempre siamo immersi in un continuo mutarsi del mondo intorno a noi, e non c’è bisogno, almeno al livello semplice in cui si colloca la mia capacità di ragionare, di scomodare la fisica quantistica, e manco il principio di indeterminazione di Heisenberg, per esserne convinti.
È sufficiente, almeno per il tempo di un batter di ciglia, fare uso della memoria, quella che permette a ciascuno di noi, all’ovvia condizione che si “abbiano orecchi per ascoltare e/o anche un modesto cervello per intendere” (parafrasando a rovescio l’ultimo Scalfari), almeno a chi è nato insieme alla nostra Costituzione, di ricordare che negli anni cinquanta del novecento tutto era diverso da quanto era stato negli anni quaranta, e così è stato negli anni sessanta rispetto ai cinquanta e poi nei settanta rispetto ai sessanta e negli ottanta rispetto ai settanta e poi nei novanta rispetto agli ottanta.
Anni novanta al principio dei quali, tanto per fare un esempio “banale”, rispetto all’oggi, i “telefonini” erano un benefit riservato ai giocatori della nazionale di calcio che si apprestavano alle “notti magiche … aspettando un gol”, ed oggi vengono regalati dai padrini di battesimo ai neonati, e presto saranno incorporati nei nascituri direttamente in sala parto, prima dell’evento.
Tutto questo tagliando il “tempo con l’accetta”, come si suol dire, ma anche senza dimenticare che ancora poi, l’11 settembre 2001, il mondo intero, è cambiato tutto un’altra volta, e non si erano ancora viste le streets attorno a Wall street, animate da donne e uomini che sciamavano da quelli che si ad un attimo prima erano stati i propri uffici-posti di lavoro, con degli scatoloni in mano.
Ma il “cambiamento” …. oggi è diventata ormai la parola magica con cui tutto, ma proprio tutto, si spiega.
Quello che non si è fatto, e quindi cozza contro il “cambiamento”, e quello che sicuramente alcuni “riformisti” capaci di interpretare il “cambiamento” presto faranno, sempre che ovviamente una “sinistra becera e aggrappata alle mitologie e alle ideologie del secolo scorso (che si ostina ad) identificare la lotta contro le corporazioni e contro gli intrecci d’interesse con il thatcherismo e il reaganismo,” non riesca un’altra volta ad impedirlo, come ancora una volta il principe dei riformisti di riserva, Eugenio Scalfari ci ammonisce a ricordare, ripetendosi anche, bontà sua, “per chi non ha orecchi per ascoltare o cervello per intendere”.
Per altro incurante dell’ossimoro ….. perché è di tutta evidenza che vale davvero poco ripetersi per chi appunto non ha orecchi né cervello.
Un’altra cosa mi ha particolarmente colpito nell’ultimo sermone di Scalfari.
Egli, una volta pittato di par suo uno scenario fosco, in cui si agitano da un lato una “sinistra becera” e dall’altro una “Germania centro geopolitica dell’Europa”, indica nei due “Mario” italiani i “Titani” che, forti del suo alto patrocinio e guidati dalla saggezza del sig. Presidente Giorgio Napolitano, sapranno scardinare monopoli e oligopoli che a cominciare dall’Italia, impediscono di fronteggiare il cambiamento, e a dimostrazione del suo vaticinio ricorda che in Italia ma anche in Europa …….
“Il capitalismo democratico rese possibile l’incontro con il riformismo socialista nel felice trentennio che va dal 1945 alla metà degli anni Settanta. Ora quel modello va ricostruito su nuove basi.”
Sono certamente uno “gnocco” ma ho sempre pensato che il “capitalismo” sin dal formarsi delle sue possenti radici, quel “capitale” che per secoli si è trasferito qua e là per il mondo su navi “negriere”, tutto sia mai stato, fuorché democratico, e che anzi, monopoli ed oligopoli, anche una volta che la schiavitù, almeno sulla carta era stata abolita, ne siano stati e continuino ad esserne l’essenza.
Quel tanto di “capitalismo democratico” che si è andato qua e là formando, è nato proprio dall’impatto del “capitalismo” tout court, con il riformismo socialista, dentro il quale anche una “frazione comunista” non ha mai smesso di esistere.
Insomma, checché ne dica il “compagno” Scalfari, dimentico di essere stato parlamentare eletto nelle file del PSI riformista, quello in cui Bettino Craxi era ancora un assessore, al più un “delfino”, al più il figlio del primo vice-prefetto di Milano (Prefetto Riccardo Lombardi) dopo la Liberazione, quello che non era ancora diventato il Killer del PSI stesso….
….ripeto, checché ne dica Eugenio Scalfari……
….. non è stato il “capitalismo riformista” a rendere possibile l’incontro con il socialismo, ma è stato il socialismo a forzare il capitalismo di direzione un poco democratica, e la speranza che siano i “Mario italiani” a renderlo oggi più democratico ancora, è una speranza vana.
Se non sarà la sinistra socialista a ricostruirsi su nuove basi, ma continuerà a sacrificare la propria identità, affidandosi a leader autoreferenziali, ammaestrati da “guru”, loro sì, appartenenti ai secoli passati, il cambiamento continuerà, certamente, checché se ne vada cianciando, ma nella direzione di una macelleria sociale che una maggiore sobrietà e strumenti più raffinati ed anestesie più efficaci, renderanno solo più amara, non certo più democratica.
vittorio melandri
domenica 26 febbraio 2012
sabato 25 febbraio 2012
venerdì 24 febbraio 2012
giovedì 23 febbraio 2012
mercoledì 22 febbraio 2012
Paola Meneganti: Sulle Olimpiadi ed altro
Alessandro Volpi, in un articolo uscito sul "Tirreno" dello scorso 16 febbraio, nel commentare il -no- del governo italiano alle Olimpiadi (scelta, lo dico per inciso, di per sé assai encomiabile, a mio parere), scrive una cosa molto interessante: "Nell'età della penitenza, dopo l'esplosione del debito, neppure la massima manifestazione sportiva mondiale può invocare un trattamento extracontabile. Il costante appello ai sacrifici e al senso di responsabilità coltivato con cura dal premier e dal presidente della Repubblica che stanno inaugurando, quotidianamente, una nuova dimensione della costituzione materiale del Paese ha come premessa irremovibile e come fine ultimo il salvataggio italiano, destinato a definire il senso di appartenenza nazionale, oltre la politica e oltre lo sport". Mi hanno colpito molto due elementi:
1) anche le Olimpiadi non possono sottrarsi alla misura contabile. Ora, io non amo lo sport (non me ne vanto, ma è così), soprattutto lo sport faraonico e spesso drogato di oggi, e amo ancora meno i gigantismi e le speculazioni urbanistico-edilizie che sempre, mi pare, e forse dovunque hanno accompagnato queste manifestazioni. Ma la "sottomissione" alla misura contabile mi pare che ponga molte questioni: che cosa può sottrarsi, oggi, a questa misura? anzi, c'è qualcosa che può farlo?
2) altro tema interessante è la modifica della Costituzione materiale. Provo ad andare oltre: attenzione a questa prassi, che certamente è sollecitata dalle profonde modifiche economiche, politiche, sociali, culturali che sono in corso, ma che rischia di abituare alla messa in questione disinvolta di ordinamenti democratici formatisi con un sistema di pesi e contrappesi, che forse non è più adeguato, ma su cui è pericoloso improvvisare. Il discorso sarebbe lungo, ma cito solo tutta la querelle "costi della politica", in cui ha poco senso ed è anzi pericoloso mescolare - e intervenire su qualcosa e su qualcosa no –il numero dei parlamentari, gli stipendi, i privilegi, le prebende e i portaborse, lo svuotamento del senso e del ruolo delle Province (con la soppressione di un livello elettivo e l’affermazione della pratica della “nomina”) e la mortificazione delle Circoscrizioni. Abbiamo difeso molte volte la Costituzione formale, non smettiamo adesso, perché c’è un governo sicuramente più presentabile e più serio di quelli dell’era del Caimano.
P.M. 20.2.12
1) anche le Olimpiadi non possono sottrarsi alla misura contabile. Ora, io non amo lo sport (non me ne vanto, ma è così), soprattutto lo sport faraonico e spesso drogato di oggi, e amo ancora meno i gigantismi e le speculazioni urbanistico-edilizie che sempre, mi pare, e forse dovunque hanno accompagnato queste manifestazioni. Ma la "sottomissione" alla misura contabile mi pare che ponga molte questioni: che cosa può sottrarsi, oggi, a questa misura? anzi, c'è qualcosa che può farlo?
2) altro tema interessante è la modifica della Costituzione materiale. Provo ad andare oltre: attenzione a questa prassi, che certamente è sollecitata dalle profonde modifiche economiche, politiche, sociali, culturali che sono in corso, ma che rischia di abituare alla messa in questione disinvolta di ordinamenti democratici formatisi con un sistema di pesi e contrappesi, che forse non è più adeguato, ma su cui è pericoloso improvvisare. Il discorso sarebbe lungo, ma cito solo tutta la querelle "costi della politica", in cui ha poco senso ed è anzi pericoloso mescolare - e intervenire su qualcosa e su qualcosa no –il numero dei parlamentari, gli stipendi, i privilegi, le prebende e i portaborse, lo svuotamento del senso e del ruolo delle Province (con la soppressione di un livello elettivo e l’affermazione della pratica della “nomina”) e la mortificazione delle Circoscrizioni. Abbiamo difeso molte volte la Costituzione formale, non smettiamo adesso, perché c’è un governo sicuramente più presentabile e più serio di quelli dell’era del Caimano.
P.M. 20.2.12
martedì 21 febbraio 2012
lunedì 20 febbraio 2012
domenica 19 febbraio 2012
Peppe Giudice: L'inesistente DNA del PD
L’inesistente DNA del PD.
pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno domenica 19 febbraio 2012 alle ore 1.08 ·
.
L’inesistente DNA del PD
In questi ultimi giorni il PD è stato oggetto di contese che poi alla fine in un certo qual modo rilanciano la mai sopita “questione socialista”
La sola ipotesi che circolasse un qualche documento dei “giovani turchi” che rivendicava in qualche modo il legame stretto tra PD e socialismo europeo, ha fatto iniziare a prudere il sedere a qualche democristiano (Castagnetti e Marini), alla pasionaria giustizialista Rosy Bindi ma soprattutto al grande simulacro del giornalismo falsamente progressista: Eugenio Scalfari che in nome del suo liberalismo neo-azionista (magari ex monarchico) ha lanciato strali contro la pretesa di stravolgere in senso socialista l’identità del PD. Vi sono state poi sia una interessante puntualizzazione di Emanuele Macaluso che un pesante e bizantino intervento di Alfredo Reichlin il quale riprende temi cari a D’Alema sul progressismo che ingloba il socialismo; peccato che non si sappia indicare quali siano in Europa gli eventuali progressisti inglobatori. Infine Stefano Fassina è dovuto intervenire con un tono fortemente “giustificatorio” che però nella sostanza non rinnega la propria posizione.
E comunque se a distanza di quasi cinque anni ci si interroga sulla identità di un partito vuol dire che ad esso manca completamente un DNA.
Un po’ come tutti i partiti della II Repubblica del resto.
Insomma l’identità del PD nasce da fatti estemporanei ed artificiosi:
1) Dare un partito ad un premier senza partito: Prodi
2) Voler imporre uno schema bipartitico artificiale ed estraneo alla storia politica italiana (Veltroni)
I partiti europei (e non solo) nascono da eventi storici corposi e complessi. Il socialismo dalla nascita del movimento operaio; il comunismo da una scissione del socialismo dopo la Rivoluzione Russa; il liberalismo ha addirittura le sue radici nel 700 contro l’assolutismo. Gli stessi populismi latino-americani, il “Getulismo” brasiliano, ed il peronismo argentino dalla esigenza di dare una identità a nazioni caratterizzata da forte immigrazione e dall’integrazione di questa con il paese coloniale preesistente. I partiti democristiani per contrastare socialismo e liberalismo.
Ed il PD? Per dare un partito a Prodi…..Forza Italia per rappresentare direttamente in parlamento gli interessi di una potente lobby economica, Di Pietro come espressione del canagliume giustizialista e qualunquista. Forse solo Casini è in qualche modo rappresentante di una tradizione politica europea. Dato che Rifondazione difficilmente può essere collegata al comunismo del 900.
Di Nencini non parlo dato che è assessore esterno in quota PD.
Il grande e gravoso problema dell’Italia è quello di ricostruire completamente un sistema politico fondato su culture politiche omogenee all’Europa, con soggetti collettivi che sappiano ripristinare i primato della politica con autorevolezza. Il tutto all’interno di una gravissima crisi del capitalismo e dall’impegno di uscire da essa da sinistra. E’ un compito che fa tremare i polsi.
Sinceramente non credo che il PD sia in grado di assolvere a tali compiti, anzi.
E’ un partito che sta stabilmente sul 28% delle intenzioni di voto. Ma credo che sia frutto di rassegnazione piuttosto che di convinzione.
E’ un partito che ha governato malissimo nel Sud: il crollo in Campania e Calabria lo testimonia. Pieno di notabili in cui l’arroganza si coniuga spesso all’ignoranza. E che pertanto è soggetto a forti degenerazioni sul piano morale. In cui il rampantismo è di casa. Così come gli scontri improntati al personalismo. Genova è un esempio evidente. A Taranto il PD appoggia il candidato di SeL perché non è in grado di esprimere nessuno.
Al di là delle percentuali virtuali ci troviamo con un partito senza identità che in molte realtà locali è in dissoluzione, in preda ad enorme confusione.
E però (pur essendo stato sin dall’inizio un avversario del progetto PD) non mi auguro certo una pura e semplice implosione del PD. Sia perché una implosione non governata non farebbe altro che disperdere una vasta area di elettorato progressista. E sinceramente non credo proprio che SeL, che pure svolge una funzione essenziale, sia in grado di intercettare l’elettorato in uscita. A SEL mancano ancora identità e radicamento.
Per questa ragione guardo con interesse a ciò che di positivo si muove nel PD. Dal gruppo Fassina-Orfini a quello Ghezzi-Damiano-Epifani.
Vale a dire a coloro che si pongono il problema della presenza di una forza laburista in Italia, in linea con il PSF e la SPD, e quindi della costruzione su basi maggioritarie di una alternativa al modello liberista nel senso del socialismo democratico.
Ma per avere forza tale area del PD (in questo condivido quello che dice il caro compagno Giulio Cerchi) deve strutturarsi politicamente ed organizzativamente , non può svolgere solo un ruolo di testimonianza. Ed aiuterebbe molto coloro che in SeL si battono per evitare pericolose contaminazioni od infezioni con Di Pietro o Emiliano.
Il rischio reale oggi per il PD è che si trasformi l’attuale maggioranza estemporanea attorno a Monti in una maggioranza politica valida anche per la prossima legislatura. E’ quello che vogliono i Veltroni, i Letta, i Boccia. Un “governassimo” con il crisma della Merkel e di politiche conservatrici e neoliberiste. A cui si contrapporrebbe l’Italia dell’antipolitica, delle liste civiche nazionali, degli Emiliano, De Magistris, e perché no, dei Celentano!
E’ inutile sottolineare il disastro che si produrrebbe. Con una eventuale III Repubblica in preda ad una nuova transizione infinita ed un paese alla deriva.
Per questo è vitale che il PD assuma piena autonomia politica dal governo Monti pur nella necessità di sostenerlo fino al 2013. Ma è proprio su questa idea di autonomia che probabilmente si aprirà lo scontro interno al PD. Ed è uno scontro da cui il partito non ne uscirà nel modo in cui è entrato.
Il tema dei cattolici è un falso problema.
Intanto bisogna distinguere nettamente i cattolici progressisti dai democristiani. La DC ha svolto una funzione in Italia finchè c’è stata la guerra fredda. Era un partito che aveva il suo collante nell’anticomunismo. Emilio Colombo e Donat Cattin erano entrambi anticomunisti, per il resto non c’era nessun punto che li unificasse. Una funzione resa più netta dal fatto che il PSI dal 1948 al 1956 si rese subalterno al PCI ed a Mosca.
Negli altri paesi europei i cattolici ed i cristiani progressisti (soprattutto dopo Bad Godesberg) si sono collocati tutti nei partiti socialisti e socialdemocratici.
E del resto già negli anni 70 iniziò ad entrare in crisi il concetto di unità politica dei cattolici. Distinguere quindi questione cattolica da questione democristiana è essenziale. I cristiano-democratici in Europa sono nel PPE e rappresentano la destra moderata. I cristiano-sociali stanno nel PSE. Voler ancora tenere aperta la questione democristiana in Italia è indice del voler far permanere la anomalia italica rispetto all’Europa.
Se i compagni e gli amici della sinistra PD vorranno dare battaglia nel partito su questi temi, renderanno un grande servizio alla causa della ricostruzione della sinistra. Se la annacqueranno avranno difficoltà ad essere riconosciuti come credibili.
Il compagno Paolo Borioni diceva che oggi l’interlocutore della CGIL è il PD. E’ vero. Un sindacato non può fare opera di testimonianza, deve ottenere dei risultati tangibili per i suoi iscritti. Non dialogare con il PD significherebbe isolarsi. SeL non è presente in parlamento e certo la Camusso non dialoga con il canagliume dipietrista. Ma credo che la Camusso e gli altri compagni della CGIL preferirebbero qualcosa di un po’ meglio del PD attuale. Soprattutto nella ipotesi sciagurata di un “governissimo”. A quel punto la CGIL dovrebbe costruirsi un interlocutore politico.
Vedete, la uscita di Berlusconi di scena potrebbe avere delle conseguenze anche sulla struttura del potere mediatico. La lobby di Scalfari-DE Benedetti punta ad uscirne rafforzata. Essa ha comunque fortemente condizionato il centrosinistra della II Repubblica.
E certo vorrà svolgere un ruolo di primo piano anche oltre.
Repubblica ed il Fatto sono i due lati della sua possibile azione. Da un lato sostenere la bontà del governissimo e dall’altro appoggiare l’antipolitica di possibili liste civiche. Santoro-Travaglio-il Fatto quale eventuale trio di un fascismo postmoderno.
Il problema che si porrà per chi ha interesse a costruire una sinistra di governo di ispirazione socialista sarà quella di garantirsi l’autonomia rispetto ai poteri forti.
PEPPE GIUDICE
pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno domenica 19 febbraio 2012 alle ore 1.08 ·
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L’inesistente DNA del PD
In questi ultimi giorni il PD è stato oggetto di contese che poi alla fine in un certo qual modo rilanciano la mai sopita “questione socialista”
La sola ipotesi che circolasse un qualche documento dei “giovani turchi” che rivendicava in qualche modo il legame stretto tra PD e socialismo europeo, ha fatto iniziare a prudere il sedere a qualche democristiano (Castagnetti e Marini), alla pasionaria giustizialista Rosy Bindi ma soprattutto al grande simulacro del giornalismo falsamente progressista: Eugenio Scalfari che in nome del suo liberalismo neo-azionista (magari ex monarchico) ha lanciato strali contro la pretesa di stravolgere in senso socialista l’identità del PD. Vi sono state poi sia una interessante puntualizzazione di Emanuele Macaluso che un pesante e bizantino intervento di Alfredo Reichlin il quale riprende temi cari a D’Alema sul progressismo che ingloba il socialismo; peccato che non si sappia indicare quali siano in Europa gli eventuali progressisti inglobatori. Infine Stefano Fassina è dovuto intervenire con un tono fortemente “giustificatorio” che però nella sostanza non rinnega la propria posizione.
E comunque se a distanza di quasi cinque anni ci si interroga sulla identità di un partito vuol dire che ad esso manca completamente un DNA.
Un po’ come tutti i partiti della II Repubblica del resto.
Insomma l’identità del PD nasce da fatti estemporanei ed artificiosi:
1) Dare un partito ad un premier senza partito: Prodi
2) Voler imporre uno schema bipartitico artificiale ed estraneo alla storia politica italiana (Veltroni)
I partiti europei (e non solo) nascono da eventi storici corposi e complessi. Il socialismo dalla nascita del movimento operaio; il comunismo da una scissione del socialismo dopo la Rivoluzione Russa; il liberalismo ha addirittura le sue radici nel 700 contro l’assolutismo. Gli stessi populismi latino-americani, il “Getulismo” brasiliano, ed il peronismo argentino dalla esigenza di dare una identità a nazioni caratterizzata da forte immigrazione e dall’integrazione di questa con il paese coloniale preesistente. I partiti democristiani per contrastare socialismo e liberalismo.
Ed il PD? Per dare un partito a Prodi…..Forza Italia per rappresentare direttamente in parlamento gli interessi di una potente lobby economica, Di Pietro come espressione del canagliume giustizialista e qualunquista. Forse solo Casini è in qualche modo rappresentante di una tradizione politica europea. Dato che Rifondazione difficilmente può essere collegata al comunismo del 900.
Di Nencini non parlo dato che è assessore esterno in quota PD.
Il grande e gravoso problema dell’Italia è quello di ricostruire completamente un sistema politico fondato su culture politiche omogenee all’Europa, con soggetti collettivi che sappiano ripristinare i primato della politica con autorevolezza. Il tutto all’interno di una gravissima crisi del capitalismo e dall’impegno di uscire da essa da sinistra. E’ un compito che fa tremare i polsi.
Sinceramente non credo che il PD sia in grado di assolvere a tali compiti, anzi.
E’ un partito che sta stabilmente sul 28% delle intenzioni di voto. Ma credo che sia frutto di rassegnazione piuttosto che di convinzione.
E’ un partito che ha governato malissimo nel Sud: il crollo in Campania e Calabria lo testimonia. Pieno di notabili in cui l’arroganza si coniuga spesso all’ignoranza. E che pertanto è soggetto a forti degenerazioni sul piano morale. In cui il rampantismo è di casa. Così come gli scontri improntati al personalismo. Genova è un esempio evidente. A Taranto il PD appoggia il candidato di SeL perché non è in grado di esprimere nessuno.
Al di là delle percentuali virtuali ci troviamo con un partito senza identità che in molte realtà locali è in dissoluzione, in preda ad enorme confusione.
E però (pur essendo stato sin dall’inizio un avversario del progetto PD) non mi auguro certo una pura e semplice implosione del PD. Sia perché una implosione non governata non farebbe altro che disperdere una vasta area di elettorato progressista. E sinceramente non credo proprio che SeL, che pure svolge una funzione essenziale, sia in grado di intercettare l’elettorato in uscita. A SEL mancano ancora identità e radicamento.
Per questa ragione guardo con interesse a ciò che di positivo si muove nel PD. Dal gruppo Fassina-Orfini a quello Ghezzi-Damiano-Epifani.
Vale a dire a coloro che si pongono il problema della presenza di una forza laburista in Italia, in linea con il PSF e la SPD, e quindi della costruzione su basi maggioritarie di una alternativa al modello liberista nel senso del socialismo democratico.
Ma per avere forza tale area del PD (in questo condivido quello che dice il caro compagno Giulio Cerchi) deve strutturarsi politicamente ed organizzativamente , non può svolgere solo un ruolo di testimonianza. Ed aiuterebbe molto coloro che in SeL si battono per evitare pericolose contaminazioni od infezioni con Di Pietro o Emiliano.
Il rischio reale oggi per il PD è che si trasformi l’attuale maggioranza estemporanea attorno a Monti in una maggioranza politica valida anche per la prossima legislatura. E’ quello che vogliono i Veltroni, i Letta, i Boccia. Un “governassimo” con il crisma della Merkel e di politiche conservatrici e neoliberiste. A cui si contrapporrebbe l’Italia dell’antipolitica, delle liste civiche nazionali, degli Emiliano, De Magistris, e perché no, dei Celentano!
E’ inutile sottolineare il disastro che si produrrebbe. Con una eventuale III Repubblica in preda ad una nuova transizione infinita ed un paese alla deriva.
Per questo è vitale che il PD assuma piena autonomia politica dal governo Monti pur nella necessità di sostenerlo fino al 2013. Ma è proprio su questa idea di autonomia che probabilmente si aprirà lo scontro interno al PD. Ed è uno scontro da cui il partito non ne uscirà nel modo in cui è entrato.
Il tema dei cattolici è un falso problema.
Intanto bisogna distinguere nettamente i cattolici progressisti dai democristiani. La DC ha svolto una funzione in Italia finchè c’è stata la guerra fredda. Era un partito che aveva il suo collante nell’anticomunismo. Emilio Colombo e Donat Cattin erano entrambi anticomunisti, per il resto non c’era nessun punto che li unificasse. Una funzione resa più netta dal fatto che il PSI dal 1948 al 1956 si rese subalterno al PCI ed a Mosca.
Negli altri paesi europei i cattolici ed i cristiani progressisti (soprattutto dopo Bad Godesberg) si sono collocati tutti nei partiti socialisti e socialdemocratici.
E del resto già negli anni 70 iniziò ad entrare in crisi il concetto di unità politica dei cattolici. Distinguere quindi questione cattolica da questione democristiana è essenziale. I cristiano-democratici in Europa sono nel PPE e rappresentano la destra moderata. I cristiano-sociali stanno nel PSE. Voler ancora tenere aperta la questione democristiana in Italia è indice del voler far permanere la anomalia italica rispetto all’Europa.
Se i compagni e gli amici della sinistra PD vorranno dare battaglia nel partito su questi temi, renderanno un grande servizio alla causa della ricostruzione della sinistra. Se la annacqueranno avranno difficoltà ad essere riconosciuti come credibili.
Il compagno Paolo Borioni diceva che oggi l’interlocutore della CGIL è il PD. E’ vero. Un sindacato non può fare opera di testimonianza, deve ottenere dei risultati tangibili per i suoi iscritti. Non dialogare con il PD significherebbe isolarsi. SeL non è presente in parlamento e certo la Camusso non dialoga con il canagliume dipietrista. Ma credo che la Camusso e gli altri compagni della CGIL preferirebbero qualcosa di un po’ meglio del PD attuale. Soprattutto nella ipotesi sciagurata di un “governissimo”. A quel punto la CGIL dovrebbe costruirsi un interlocutore politico.
Vedete, la uscita di Berlusconi di scena potrebbe avere delle conseguenze anche sulla struttura del potere mediatico. La lobby di Scalfari-DE Benedetti punta ad uscirne rafforzata. Essa ha comunque fortemente condizionato il centrosinistra della II Repubblica.
E certo vorrà svolgere un ruolo di primo piano anche oltre.
Repubblica ed il Fatto sono i due lati della sua possibile azione. Da un lato sostenere la bontà del governissimo e dall’altro appoggiare l’antipolitica di possibili liste civiche. Santoro-Travaglio-il Fatto quale eventuale trio di un fascismo postmoderno.
Il problema che si porrà per chi ha interesse a costruire una sinistra di governo di ispirazione socialista sarà quella di garantirsi l’autonomia rispetto ai poteri forti.
PEPPE GIUDICE
sabato 18 febbraio 2012
Franco Astengo: Partiti e legge elettorale
PARTITI E LEGGE ELETTORALE
La settimana appena trascorsa, quella compresa tra il 12 e il 19 Febbraio, ha visto salire alla ribalta, all’interno delle complesse vicende politiche che caratterizzano il sistema italiano, il tema del ruolo dei partiti, al punto che “Repubblica”, nel numero uscito in edicola Giovedì 16, vi ha dedicato uno dei suoi “Diari” speciali con interventi di politologi di primo piano da Carlo Galli a Marc Lazar, estraendo nel “vocabolario” anche la definizione classica di “Partiti” redatta da Max Weber.
La settimana era cominciata, infatti, con la vicenda delle primarie genovesi: una vicenda del tutto emblematica della crisi che il “soggetto partito” incontra in questa fase, al punto da riflettersi quale elemento determinante di una più complessiva “crisi sistemica”; proseguita, in occasione del ventennale di “Mani Pulite” con l’esposizione di altri episodi legati alla “questione morale” che hanno visto protagonisti esponenti di Rifondazione Comunista e dello stesso PD; è stata resa nota la relazione della Corte dei Conti sulla corruzione in Italia e, infine, si è svolto l’incontro tra i tre segretari di PDL, PD, UDC (perfidamente indicati, dalla gran parte dei mezzi di comunicazione di massa, come i “tre leader della maggioranza”) sul tema delle riforme istituzionali.
Mi soffermo per un momento su quest’ultimo episodio, laddove si è dimostrata, a mio giudizio, una distanza del tutto “siderale” fra i contenuti della discussione e la realtà del Paese, non tenendo conto ancora una volta del ruolo “politico” che sta svolgendo il governo in carica e risultando, gli esponenti dei tre partiti citati, del tutto estranei alle aspettative che stanno serpeggiando nella società italiana, anche in forme abbastanza dirompenti, sul terreno della crisi economica.
L’idea di partire dalle riforme costituzionali, in “primis” dallo specchietto delle allodole della riduzione del numero dei parlamentari (tema secondario e, magari, da esaminare in conclusione di un processo) rende davvero l’idea di questo fenomeno di vera e propria “alienazione dalla realtà”.
Mi scuso preventivamente se, nel corso delle brevi note che seguiranno, mi sarà capitato di citare in negativo il PD: il fatto è che questo partito, nato surrettiziamente in condizioni che mi permetterò di analizzare in estrema sintesi, potrebbe rappresentare l’architrave di una possibile “messa in sicurezza” del sistema, producendo un’ipotesi di alternativa reale e invece (al di là delle percentuali assegnate dai sondaggi) appare rimasto al palo di laceranti contraddizioni interne.
Un sistema, quello italiano, emblematizzato proprio dalle vicende riguardanti la nascita del PD: frutto dell’incontro tra ciò che era rimasto di una delle ali estreme del “multipartitismo centripeto”, dalla definizione sistemica di Sartori relativa al periodo 1948-1987, e da una parte del residuo di quello che, nello stesso periodo, era stato il partito “pivotale” del sistema.
In queste condizioni le prospettive possibili erano soltanto due: o l’impossibilità di tenere assieme i diversi pezzi (di fatti qualche scollamento c’è già stato) sulla linea della “amalgama non riuscita” di dalemiana memoria oppure quella del suffragare, finalmente, quel meccanismo di consociativismo spartitorio che aveva contraddistinto la fase degli anni’80-’90 (mi riferisco, principalmente, al meccanismo legislativo adottato all’epoca in particolare in sede di commissioni parlamentari deliberanti, un’altra “anomalia” italiana e non semplicisticamente alla divisione delle cariche).
Due pezzi di partito che, nella fase di transizione che stiamo attraversando a partire dal 1992 e non ancora conclusa hanno subito un notevole numero di mutamenti nella denominazione, e un altrettanto rilevante numero di scissioni, da entrambi i lati, verso sinistra e verso il centro, al riguardo dei soggetti originari.
Il fatto è che il PD, che prendo a emblema di una situazione ben più generale sulla quale cercherò comunque di ritornare, non ha sciolto il nodo di fondo: soggetto che intende costruire l’alternativa oppure soggetto che intende “associarsi” alla guida del Paese (sempre che questo fatto possa essere ancora possibile, nel medio periodo, considerato che il ruolo sembra già essere stabilmente occupato dall’attuale governo, nell’idea di una “governabilità” superparlamentare, che dispone del Parlamento quale mero strumento di ratifica, in una democrazia già abbondantemente ridotta per estensione e qualità) nella logica del consociativismo.
I guai del PD nascono tutti dal non aver sciolto questo nodo e aver cercato di bypassarlo attraverso l’invenzione dello strumento delle “primarie all’italiana” che a Genova ha fornito una stupenda prova delle potenzialità insite nel proprio meccanismo: si è trattata, infatti, dell’ennesima riprova della facilità con la quale, soggetti esterni che non hanno nessuna intenzione di misurarsi con la realtà di un’organizzazione politica compiuta puntino a “colonizzare” il PD sfruttando la degenerazione nel rapporto tra voto e cittadino che si è realizzata attraverso l’affermazione del concetto, come affermano Marc Lazar e Paolo Bagnoli ad esempio, di partiti contenitori pensati non ai fini di una politica quale azione collettiva, ma come soggetti utili soltanto per la conquista leaderistica del potere.
E’ da questo punto che nasce, attraverso l’idea balzana delle “primarie di coalizione” che dimostra come questo strumento in Italia sia del tutto al di fuori dalla tradizione storica del sistema (negli USA è bene ricordarlo le primarie sono di partito, partecipano gli iscritti e le fanno soltanto gli sfidanti) generando quel meccanismo che un altro illustre politologo, Andrea Mignone, ha definito delle “primarie – paguro”, dal grazioso animaletto che sale in groppa agli animali più grandi e tranquillamente si fa portare a spasso, l’esposizione del PD non solo alle scorribande più strane, ma ne impedisce l’assunzione di un “ruolo – chiave” in un possibile schema di alternativa all’interno del sistema, tenendolo inchiodato al dilemma del consociativismo con l’altro pezzo residuo dell’ex-DC e, addirittura, con un altro frammento di un soggetto proveniente da una collocazione di estrema destra, all’interno di quello schema elaborato al suo tempo da Sartori e che abbiamo già ricordato.
Torniamo, allora, al surreale incontro tra i tre “leader” della maggioranza, che partendo dall’idea della riduzione del numero dei parlamentari hanno compiuto la classica azione di costruzione del palazzo dal tetto anziché dalle fondamenta (magari, se avessero voluto farsi propaganda e basta avrebbero potuto annunciare la riduzione drastica dei rimborsi elettorali elargiti munificamente ai partiti, ricordando anche che la loro popolarità, sempre secondo i “sacri sondaggi” è inchiodata a un misero 8%, in un quadro generale che registra un quasi 50% tra astenuti certi e astenuti potenziali). Al riguardo del fenomeno del denaro pubblico elargito ai partiti c’è da notare, ancora, come si tratti di cifre del tutto fuori mercato, rispetto alla “produttività sociale” prodotta, paragonabili soltanto sotto quest’aspetto agli ingaggi dei calciatori e ai “cachet” sanremesi).
Il punto dal quale partire per cercare di fronteggiare la crisi del sistema politico italiano e non farlo scivolare ulteriormente verso il populismo, se non addirittura verso un moderato cesarismo (cito ancora Paolo Bagnoli) di cui sicuramente non è soggetto immune da tentazioni (il riferimento è al cesarismo “moderato”) l’attuale presidente del Consiglio (non basta essere “eleganti” e “moderati” nei toni, per fronteggiare un’idea di “ferocia ideologica” nell’agire politico) è sicuramente quello dei corpi intermedi e del recupero dei partiti come soggetto fondativo di una nuova fase della nostra democrazia, superando questa fase confusa di intreccio tra personalismo, mantenimento di quote enormi di potere (sia dal punto di vista delle disponibilità economica, sia dal punto di vista dell’esercizio della capacità di nomina), totale impopolarità tra i cittadini.
Non riepilogo qui tutti i passaggi teorici di trasformazione dei partiti: dal partito di massa, a quello pigliatutti, a quello “elettorale – personale”, financo a quello di “cartello” (del resto ben riepilogati dallo stesso Marc Lazar nel già ricordato “Diario” di Repubblica) e non ricordo qui come Ilvo Diamanti, abbia più volte segnalato, l’assenza in Italia di “partiti –nazionali”: insisto però sul tema della decisività di una riflessione di fondo in questo senso.
Se i partiti non sapranno cambiare la loro attuale dimensione, del tutto spostata verso il personalismo, il professionismo carrieristico, la concezione esaustiva dell’agire politico all’interno della “governabilità”, qualsiasi riforma istituzionale risulterà al di sotto delle aspettative di riforma del Paese e di inserimento costruttivo nel quadro europeo.
Parimenti, in una logica analoga, andrebbe affrontata la questione della legge elettorale, al riguardo della quale paiono, invece, emergere tentazioni rivolte esclusivamente alla conservazione delle proprie realtà , anche attraverso intrecci metodologici del tutto innaturali.
Il tema principale, in Italia in questo momento, è quello di restituire davvero lo “scettro al principe” (dal titolo di un fortunato libro di Gianfranco Pasquino di qualche anno fa) facendo tornare i cittadini al centro della competizione elettorale. Anche in questo caso il conflitto è tra governabilità e rappresentatività: si tratta di fare una scelta netta rivolgendosi di conseguenza ai due soli sistemi conosciuti, quello maggioritario e quello proporzionale. Certo si possono realizzare intrecci tra i due sistemi, anche in forme produttive, limitandola frammentazione e favorendo la formazione del governo.
Gli intrecci si possono fare, a due condizioni: che il sistema elettorale debba avere, appunto, valenza “sistemica” e non episodica e non sia costruito per favorire gli uni o gli altri, o ancora peggio per conservare l’esistente e impedire l’accesso ad altri soggetti (com’è nel caso del “partito di cartello”).
Altrimenti l’idea del “partito-paguro”, gonfio di voti degli altri e irresponsabile sul piano politico, potrebbe attecchire, alimentata dall’incapacità di aggredire l’idea della personalizzazione della politica: oggi vero momento di degenerazione del sistema, riferimento negativo per un’ulteriore esasperazione della frammentazione sociale.
Savona, li 18 febbraio 2012 Franco Astengo
La settimana appena trascorsa, quella compresa tra il 12 e il 19 Febbraio, ha visto salire alla ribalta, all’interno delle complesse vicende politiche che caratterizzano il sistema italiano, il tema del ruolo dei partiti, al punto che “Repubblica”, nel numero uscito in edicola Giovedì 16, vi ha dedicato uno dei suoi “Diari” speciali con interventi di politologi di primo piano da Carlo Galli a Marc Lazar, estraendo nel “vocabolario” anche la definizione classica di “Partiti” redatta da Max Weber.
La settimana era cominciata, infatti, con la vicenda delle primarie genovesi: una vicenda del tutto emblematica della crisi che il “soggetto partito” incontra in questa fase, al punto da riflettersi quale elemento determinante di una più complessiva “crisi sistemica”; proseguita, in occasione del ventennale di “Mani Pulite” con l’esposizione di altri episodi legati alla “questione morale” che hanno visto protagonisti esponenti di Rifondazione Comunista e dello stesso PD; è stata resa nota la relazione della Corte dei Conti sulla corruzione in Italia e, infine, si è svolto l’incontro tra i tre segretari di PDL, PD, UDC (perfidamente indicati, dalla gran parte dei mezzi di comunicazione di massa, come i “tre leader della maggioranza”) sul tema delle riforme istituzionali.
Mi soffermo per un momento su quest’ultimo episodio, laddove si è dimostrata, a mio giudizio, una distanza del tutto “siderale” fra i contenuti della discussione e la realtà del Paese, non tenendo conto ancora una volta del ruolo “politico” che sta svolgendo il governo in carica e risultando, gli esponenti dei tre partiti citati, del tutto estranei alle aspettative che stanno serpeggiando nella società italiana, anche in forme abbastanza dirompenti, sul terreno della crisi economica.
L’idea di partire dalle riforme costituzionali, in “primis” dallo specchietto delle allodole della riduzione del numero dei parlamentari (tema secondario e, magari, da esaminare in conclusione di un processo) rende davvero l’idea di questo fenomeno di vera e propria “alienazione dalla realtà”.
Mi scuso preventivamente se, nel corso delle brevi note che seguiranno, mi sarà capitato di citare in negativo il PD: il fatto è che questo partito, nato surrettiziamente in condizioni che mi permetterò di analizzare in estrema sintesi, potrebbe rappresentare l’architrave di una possibile “messa in sicurezza” del sistema, producendo un’ipotesi di alternativa reale e invece (al di là delle percentuali assegnate dai sondaggi) appare rimasto al palo di laceranti contraddizioni interne.
Un sistema, quello italiano, emblematizzato proprio dalle vicende riguardanti la nascita del PD: frutto dell’incontro tra ciò che era rimasto di una delle ali estreme del “multipartitismo centripeto”, dalla definizione sistemica di Sartori relativa al periodo 1948-1987, e da una parte del residuo di quello che, nello stesso periodo, era stato il partito “pivotale” del sistema.
In queste condizioni le prospettive possibili erano soltanto due: o l’impossibilità di tenere assieme i diversi pezzi (di fatti qualche scollamento c’è già stato) sulla linea della “amalgama non riuscita” di dalemiana memoria oppure quella del suffragare, finalmente, quel meccanismo di consociativismo spartitorio che aveva contraddistinto la fase degli anni’80-’90 (mi riferisco, principalmente, al meccanismo legislativo adottato all’epoca in particolare in sede di commissioni parlamentari deliberanti, un’altra “anomalia” italiana e non semplicisticamente alla divisione delle cariche).
Due pezzi di partito che, nella fase di transizione che stiamo attraversando a partire dal 1992 e non ancora conclusa hanno subito un notevole numero di mutamenti nella denominazione, e un altrettanto rilevante numero di scissioni, da entrambi i lati, verso sinistra e verso il centro, al riguardo dei soggetti originari.
Il fatto è che il PD, che prendo a emblema di una situazione ben più generale sulla quale cercherò comunque di ritornare, non ha sciolto il nodo di fondo: soggetto che intende costruire l’alternativa oppure soggetto che intende “associarsi” alla guida del Paese (sempre che questo fatto possa essere ancora possibile, nel medio periodo, considerato che il ruolo sembra già essere stabilmente occupato dall’attuale governo, nell’idea di una “governabilità” superparlamentare, che dispone del Parlamento quale mero strumento di ratifica, in una democrazia già abbondantemente ridotta per estensione e qualità) nella logica del consociativismo.
I guai del PD nascono tutti dal non aver sciolto questo nodo e aver cercato di bypassarlo attraverso l’invenzione dello strumento delle “primarie all’italiana” che a Genova ha fornito una stupenda prova delle potenzialità insite nel proprio meccanismo: si è trattata, infatti, dell’ennesima riprova della facilità con la quale, soggetti esterni che non hanno nessuna intenzione di misurarsi con la realtà di un’organizzazione politica compiuta puntino a “colonizzare” il PD sfruttando la degenerazione nel rapporto tra voto e cittadino che si è realizzata attraverso l’affermazione del concetto, come affermano Marc Lazar e Paolo Bagnoli ad esempio, di partiti contenitori pensati non ai fini di una politica quale azione collettiva, ma come soggetti utili soltanto per la conquista leaderistica del potere.
E’ da questo punto che nasce, attraverso l’idea balzana delle “primarie di coalizione” che dimostra come questo strumento in Italia sia del tutto al di fuori dalla tradizione storica del sistema (negli USA è bene ricordarlo le primarie sono di partito, partecipano gli iscritti e le fanno soltanto gli sfidanti) generando quel meccanismo che un altro illustre politologo, Andrea Mignone, ha definito delle “primarie – paguro”, dal grazioso animaletto che sale in groppa agli animali più grandi e tranquillamente si fa portare a spasso, l’esposizione del PD non solo alle scorribande più strane, ma ne impedisce l’assunzione di un “ruolo – chiave” in un possibile schema di alternativa all’interno del sistema, tenendolo inchiodato al dilemma del consociativismo con l’altro pezzo residuo dell’ex-DC e, addirittura, con un altro frammento di un soggetto proveniente da una collocazione di estrema destra, all’interno di quello schema elaborato al suo tempo da Sartori e che abbiamo già ricordato.
Torniamo, allora, al surreale incontro tra i tre “leader” della maggioranza, che partendo dall’idea della riduzione del numero dei parlamentari hanno compiuto la classica azione di costruzione del palazzo dal tetto anziché dalle fondamenta (magari, se avessero voluto farsi propaganda e basta avrebbero potuto annunciare la riduzione drastica dei rimborsi elettorali elargiti munificamente ai partiti, ricordando anche che la loro popolarità, sempre secondo i “sacri sondaggi” è inchiodata a un misero 8%, in un quadro generale che registra un quasi 50% tra astenuti certi e astenuti potenziali). Al riguardo del fenomeno del denaro pubblico elargito ai partiti c’è da notare, ancora, come si tratti di cifre del tutto fuori mercato, rispetto alla “produttività sociale” prodotta, paragonabili soltanto sotto quest’aspetto agli ingaggi dei calciatori e ai “cachet” sanremesi).
Il punto dal quale partire per cercare di fronteggiare la crisi del sistema politico italiano e non farlo scivolare ulteriormente verso il populismo, se non addirittura verso un moderato cesarismo (cito ancora Paolo Bagnoli) di cui sicuramente non è soggetto immune da tentazioni (il riferimento è al cesarismo “moderato”) l’attuale presidente del Consiglio (non basta essere “eleganti” e “moderati” nei toni, per fronteggiare un’idea di “ferocia ideologica” nell’agire politico) è sicuramente quello dei corpi intermedi e del recupero dei partiti come soggetto fondativo di una nuova fase della nostra democrazia, superando questa fase confusa di intreccio tra personalismo, mantenimento di quote enormi di potere (sia dal punto di vista delle disponibilità economica, sia dal punto di vista dell’esercizio della capacità di nomina), totale impopolarità tra i cittadini.
Non riepilogo qui tutti i passaggi teorici di trasformazione dei partiti: dal partito di massa, a quello pigliatutti, a quello “elettorale – personale”, financo a quello di “cartello” (del resto ben riepilogati dallo stesso Marc Lazar nel già ricordato “Diario” di Repubblica) e non ricordo qui come Ilvo Diamanti, abbia più volte segnalato, l’assenza in Italia di “partiti –nazionali”: insisto però sul tema della decisività di una riflessione di fondo in questo senso.
Se i partiti non sapranno cambiare la loro attuale dimensione, del tutto spostata verso il personalismo, il professionismo carrieristico, la concezione esaustiva dell’agire politico all’interno della “governabilità”, qualsiasi riforma istituzionale risulterà al di sotto delle aspettative di riforma del Paese e di inserimento costruttivo nel quadro europeo.
Parimenti, in una logica analoga, andrebbe affrontata la questione della legge elettorale, al riguardo della quale paiono, invece, emergere tentazioni rivolte esclusivamente alla conservazione delle proprie realtà , anche attraverso intrecci metodologici del tutto innaturali.
Il tema principale, in Italia in questo momento, è quello di restituire davvero lo “scettro al principe” (dal titolo di un fortunato libro di Gianfranco Pasquino di qualche anno fa) facendo tornare i cittadini al centro della competizione elettorale. Anche in questo caso il conflitto è tra governabilità e rappresentatività: si tratta di fare una scelta netta rivolgendosi di conseguenza ai due soli sistemi conosciuti, quello maggioritario e quello proporzionale. Certo si possono realizzare intrecci tra i due sistemi, anche in forme produttive, limitandola frammentazione e favorendo la formazione del governo.
Gli intrecci si possono fare, a due condizioni: che il sistema elettorale debba avere, appunto, valenza “sistemica” e non episodica e non sia costruito per favorire gli uni o gli altri, o ancora peggio per conservare l’esistente e impedire l’accesso ad altri soggetti (com’è nel caso del “partito di cartello”).
Altrimenti l’idea del “partito-paguro”, gonfio di voti degli altri e irresponsabile sul piano politico, potrebbe attecchire, alimentata dall’incapacità di aggredire l’idea della personalizzazione della politica: oggi vero momento di degenerazione del sistema, riferimento negativo per un’ulteriore esasperazione della frammentazione sociale.
Savona, li 18 febbraio 2012 Franco Astengo
venerdì 17 febbraio 2012
Peppe Giudice: A vent'anni da Mani pulite
Giuseppe Giudice
Oggi è Venerdì 17 ed è anche il ventennale dell'arresto del "Mariuolo" Mario Chiesa, Un 17 che portò molta sfortuna a Craxi (e che poi coinvolse tutto il Psi). Ricordo che quel 17 Febbraio del 92 (stavo per compiere 36 anni) ero con altri compagni nella Federazione del PSI di POtenza , in via Mazzini 17 (!!!!) ed apprendemmo la notizia che il mariuolo era stato colto con le mani nella marmellata. ERavamo in periodo preelettorale e comunque da Roma già giungevano notizie non buone (forte crescita della Lega ecc).
Craxi chiamò mariuolo Chiesa, ma quel mariuolo ce lo aveva messo lui, come tanti altri personaggi che se non erano proprio mariuoli erano arroganti, scostumati e senza meriti. Un magistrato faziosamente comunista come Gerardo D'Ambrosio però disse che il movente di Craxi nel finanziamento illegale non era l'arricchimento personale ma quello di rafforzare il suo potere politico. E credo che D'Ambrosio (non certo sospettabile di simpatie verso Craxi. ) avesse perfettamente ragione. Craxi alla camera nel 1992, fece uno dei suoi discorsi più profondi e più ricchi di spessore. NOn era una chiamata di correità (se così era perchè nessuno in parlamento gli ha risposto?) ma l'analisi di un sistema che funzionava così da anni e che poi gradualmente era andato sempre più degenerando. Però per dare forza e consistenza a quel discorso avrebbe dovuto immediatamente dimettersi da segretario del partito ed indire un nuovo congresso. Non lo fece e fu la sua rovina e quella del PSI. Allora non mi resi bene conto di ciò che stava accadendo. Fu nel 93 che emerse con chiarezza che dietro Mani Pulite c'era un disegno organico di liquidazione del sistema dei partiti e dell'impresa pubblica. Non che i magistrati di Milano fossero sul libro paga di Soros! Questo no! Ma c'era un interesse convergente di pezzi della magistratura, dei poteri forti interni ed internazionali, di determinate lobby e logge massoniche, di liquidare di fatto la democrazia rappresentativa in Italia. Vi ricordate la foto di Di Pietro con Contrada? Immaginate (come ha argutamente detto Elio Veltri), se quella foto fosse stata pubblicata nel 93 o 94? E comunque rende bene il senso degli ambienti che il "trebbiatore di Montenero" frequentasse.
Ma torniamo alle tangenti ed ai finanziamenti illeciti. Craxi di quel sistema è stato protagonista, ed uno degli attori principali. Ma non certo l'unico! Un sistema così vasto e pervasivo godeva di complicità vaste e radicate. Nessuno poteva credere sul serio a quel disastro di Occhetto... Il PCI era dentro a quel sistema di lottizzazione delle tangenti. Il PCI negli anni 80 era nel consiglio di amministrazione delle Ferrovie dello Stato e dell'ENEL. Aveva la gestione di una rete RAI! ED è giusto, dico io che fosse così. La consociazione non poteva escludere un partito che aveva (1987) il 26,7% dei voti. Ora nel PCI non vi furono (se non sporadici) casi di arricchimento personale perchè il partito aveva un efficiente e collaudato sistema di gestione centralizzata delle risorse. NOn così la DC ed il PSI dove le correnti (a cui poi si sovrapposero le cordate elettorali) impedivano che tutte le risorse potessero essere controllate. Beh in un sistema dove non esistono assegni o fatture e bolle di accompagnamento, è facile che qualcuno una parte dei soldi delle tangenti se la trattiene per sè ed un'altra la dà al partito o alla corrente. E comunque come ha messo in evidenza il caro compagno Alessandro Silvestri in una bella nota , il finanziamento occulto è parte integrante della storia repubblicana. Molti anime candide (ed ipocrite) della politica storcono il naso di fronte alla frase truculenta di Rino Formica"la politica è sangue e merda" . NOn credo che la politica sia solo questo, ma proprio Marx ci ha insegnato ad essere realisti senza diventare cinici. Che la politica fosse sangue e merda era proprio Togliatti il primo a saperlo avendo lungamente frequentato uno che di sangue ne ha versato parecchio: un certo JOsif Vissarionovic Stalin.
INsomma non ci sono anime candide. Noi dobbiamo impegnarci affinchè la politica sia sempre più pervasa da trasparenza e moralità ma dobbiamo farlo senza false ipocrisie (su cui si è fondata la II Repubblica) e sapendo che il tema del finanziamento pubblico alla politica è vitale perchè i partiti siano autonomi dai poteri forti. Nel 1984 il compagno Valdo Spini (quando era vice-segretario del PSI propose una legge nuova sul finanziamento ai partiti (la vecchia non era rispettata). Ma nè il PSI, nè la DC, nè il PCI la presero in considerazione (questa la dice lunga sul carattere strumentale della "questione morale" agitata dal PCI!). L'ITalia , ma soprattutto la sinistra italiana ha bisogno di una grande operazione verità. Altrimenti come diceva Marx ci sarà sempre il morto che afferra il vivo. La II REpubblica si è fondata su una serie di menzogne. Che la corruzione fosse tutta opera di Craxi e del PSI (questo serviva a Prodi ed ai DC dela Margherita) di rilegittimarsi e fu avallata dal PDS. Rimettere in discussione tale schematismo non significa giustificare i lati più oscuri e negativi del craxismo: assolutamente! IL compagno Ermano (un amico del nostro Felice Carlo Besostri) direttore dell'Avvenire del Lavoratori di Zurigo (è uno che è stato molto critico con Craxi) ha scritto: "alla fine degli anni 90 in un sondaggio su chi fosse il personaggio peggiore - non solo italiano - del 900 al primo posto figurava CRaxi ed al terzo Hitler". Ora non è più così, ma quel risultato sconcertante fu il frutto di operazioni mediatiche a 360°. Una sinistra che voglia essere parte integrante del socialismo europeo deve necessariamente far opera di verità (anche se la verità fa male). Quanti militanti socialisti onesti e per bene sono stati costretti a ritirarsi dalla militanza politica per colpa di questi pregiudizi del cazzo? Negli anni 90 si stimava intorno al 35% la quota di elettori socialisti andati verso l'astensione. 1.800.000 voti persi per la sinistra...e poi qualcuno si lamenta del progressivo indebolimento di una sinistra che viene più votatta dal "ceto medio riflessivo" e sempre meno da operai e ceti popolari. NElla storia c'è sempre una Nemesi, però. La "diversità" era ed è rimasta un mito. Quando io vedo le carcasse dalemiane del sud assomigliare ai "gendarmi del sottosviluppo" democristiani...o addirittura gente di Rifondazione che si comporta come il più spavaldo dei craxiani......
SEnza mettere in mezzo la Corte dei Conti, sappiamo tutti che la corruzione è decuplicata rispetto al 92. Sappiamo (ce lo ha detto Elio Veltri) che l'IDV è retta da una società familiare (a cui vanno i cospicui rimborsi elettorali) formata da marito.moglie ed avvocato di famiglia. E c'è gente che ancora pensa che Di Pietro è il cavaliere della giustizia . L'italia è piena di quacquaraquà.
PEPPE
Oggi è Venerdì 17 ed è anche il ventennale dell'arresto del "Mariuolo" Mario Chiesa, Un 17 che portò molta sfortuna a Craxi (e che poi coinvolse tutto il Psi). Ricordo che quel 17 Febbraio del 92 (stavo per compiere 36 anni) ero con altri compagni nella Federazione del PSI di POtenza , in via Mazzini 17 (!!!!) ed apprendemmo la notizia che il mariuolo era stato colto con le mani nella marmellata. ERavamo in periodo preelettorale e comunque da Roma già giungevano notizie non buone (forte crescita della Lega ecc).
Craxi chiamò mariuolo Chiesa, ma quel mariuolo ce lo aveva messo lui, come tanti altri personaggi che se non erano proprio mariuoli erano arroganti, scostumati e senza meriti. Un magistrato faziosamente comunista come Gerardo D'Ambrosio però disse che il movente di Craxi nel finanziamento illegale non era l'arricchimento personale ma quello di rafforzare il suo potere politico. E credo che D'Ambrosio (non certo sospettabile di simpatie verso Craxi. ) avesse perfettamente ragione. Craxi alla camera nel 1992, fece uno dei suoi discorsi più profondi e più ricchi di spessore. NOn era una chiamata di correità (se così era perchè nessuno in parlamento gli ha risposto?) ma l'analisi di un sistema che funzionava così da anni e che poi gradualmente era andato sempre più degenerando. Però per dare forza e consistenza a quel discorso avrebbe dovuto immediatamente dimettersi da segretario del partito ed indire un nuovo congresso. Non lo fece e fu la sua rovina e quella del PSI. Allora non mi resi bene conto di ciò che stava accadendo. Fu nel 93 che emerse con chiarezza che dietro Mani Pulite c'era un disegno organico di liquidazione del sistema dei partiti e dell'impresa pubblica. Non che i magistrati di Milano fossero sul libro paga di Soros! Questo no! Ma c'era un interesse convergente di pezzi della magistratura, dei poteri forti interni ed internazionali, di determinate lobby e logge massoniche, di liquidare di fatto la democrazia rappresentativa in Italia. Vi ricordate la foto di Di Pietro con Contrada? Immaginate (come ha argutamente detto Elio Veltri), se quella foto fosse stata pubblicata nel 93 o 94? E comunque rende bene il senso degli ambienti che il "trebbiatore di Montenero" frequentasse.
Ma torniamo alle tangenti ed ai finanziamenti illeciti. Craxi di quel sistema è stato protagonista, ed uno degli attori principali. Ma non certo l'unico! Un sistema così vasto e pervasivo godeva di complicità vaste e radicate. Nessuno poteva credere sul serio a quel disastro di Occhetto... Il PCI era dentro a quel sistema di lottizzazione delle tangenti. Il PCI negli anni 80 era nel consiglio di amministrazione delle Ferrovie dello Stato e dell'ENEL. Aveva la gestione di una rete RAI! ED è giusto, dico io che fosse così. La consociazione non poteva escludere un partito che aveva (1987) il 26,7% dei voti. Ora nel PCI non vi furono (se non sporadici) casi di arricchimento personale perchè il partito aveva un efficiente e collaudato sistema di gestione centralizzata delle risorse. NOn così la DC ed il PSI dove le correnti (a cui poi si sovrapposero le cordate elettorali) impedivano che tutte le risorse potessero essere controllate. Beh in un sistema dove non esistono assegni o fatture e bolle di accompagnamento, è facile che qualcuno una parte dei soldi delle tangenti se la trattiene per sè ed un'altra la dà al partito o alla corrente. E comunque come ha messo in evidenza il caro compagno Alessandro Silvestri in una bella nota , il finanziamento occulto è parte integrante della storia repubblicana. Molti anime candide (ed ipocrite) della politica storcono il naso di fronte alla frase truculenta di Rino Formica"la politica è sangue e merda" . NOn credo che la politica sia solo questo, ma proprio Marx ci ha insegnato ad essere realisti senza diventare cinici. Che la politica fosse sangue e merda era proprio Togliatti il primo a saperlo avendo lungamente frequentato uno che di sangue ne ha versato parecchio: un certo JOsif Vissarionovic Stalin.
INsomma non ci sono anime candide. Noi dobbiamo impegnarci affinchè la politica sia sempre più pervasa da trasparenza e moralità ma dobbiamo farlo senza false ipocrisie (su cui si è fondata la II Repubblica) e sapendo che il tema del finanziamento pubblico alla politica è vitale perchè i partiti siano autonomi dai poteri forti. Nel 1984 il compagno Valdo Spini (quando era vice-segretario del PSI propose una legge nuova sul finanziamento ai partiti (la vecchia non era rispettata). Ma nè il PSI, nè la DC, nè il PCI la presero in considerazione (questa la dice lunga sul carattere strumentale della "questione morale" agitata dal PCI!). L'ITalia , ma soprattutto la sinistra italiana ha bisogno di una grande operazione verità. Altrimenti come diceva Marx ci sarà sempre il morto che afferra il vivo. La II REpubblica si è fondata su una serie di menzogne. Che la corruzione fosse tutta opera di Craxi e del PSI (questo serviva a Prodi ed ai DC dela Margherita) di rilegittimarsi e fu avallata dal PDS. Rimettere in discussione tale schematismo non significa giustificare i lati più oscuri e negativi del craxismo: assolutamente! IL compagno Ermano (un amico del nostro Felice Carlo Besostri) direttore dell'Avvenire del Lavoratori di Zurigo (è uno che è stato molto critico con Craxi) ha scritto: "alla fine degli anni 90 in un sondaggio su chi fosse il personaggio peggiore - non solo italiano - del 900 al primo posto figurava CRaxi ed al terzo Hitler". Ora non è più così, ma quel risultato sconcertante fu il frutto di operazioni mediatiche a 360°. Una sinistra che voglia essere parte integrante del socialismo europeo deve necessariamente far opera di verità (anche se la verità fa male). Quanti militanti socialisti onesti e per bene sono stati costretti a ritirarsi dalla militanza politica per colpa di questi pregiudizi del cazzo? Negli anni 90 si stimava intorno al 35% la quota di elettori socialisti andati verso l'astensione. 1.800.000 voti persi per la sinistra...e poi qualcuno si lamenta del progressivo indebolimento di una sinistra che viene più votatta dal "ceto medio riflessivo" e sempre meno da operai e ceti popolari. NElla storia c'è sempre una Nemesi, però. La "diversità" era ed è rimasta un mito. Quando io vedo le carcasse dalemiane del sud assomigliare ai "gendarmi del sottosviluppo" democristiani...o addirittura gente di Rifondazione che si comporta come il più spavaldo dei craxiani......
SEnza mettere in mezzo la Corte dei Conti, sappiamo tutti che la corruzione è decuplicata rispetto al 92. Sappiamo (ce lo ha detto Elio Veltri) che l'IDV è retta da una società familiare (a cui vanno i cospicui rimborsi elettorali) formata da marito.moglie ed avvocato di famiglia. E c'è gente che ancora pensa che Di Pietro è il cavaliere della giustizia . L'italia è piena di quacquaraquà.
PEPPE
giovedì 16 febbraio 2012
mercoledì 15 febbraio 2012
Peppe Giudice: I limiti della sinistra PD, i limiti di SeL, l'esigenza vitale di un partito del lavoro
I limiti della sinistra PD, i limiti di SeL, l’esigenza vitale di un Partito del Lavoro.
pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno mercoledì 15 febbraio 2012 alle ore 0.25 ·
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I limiti della sinistra PD, i limiti di SeL, l’esigenza vitale di un Partito del Lavoro
Se in Italia le diseguaglianze sociali sono fortemente aumentate ed il lavoro si è profondamente svalorizzato è anche per l’assenza di un soggetto politico laburista e socialista democratico riconoscibile e forte, quale interlocutore privilegiato dei sindacati.Certo il quadro generale parla di crescita degli squilibri sociali in tutti i paesi dell’area OCSE così come di una consistente riduzione del peso del lavoro dipendente sul Pil. Ma con notevoli differenze tra paese e paese. Massimo nei paesi anglosassoni ed in Italia, minimo nei paesi del nord Europa dove esistono forti socialdemocrazie strettamente connessi a forti movimenti sindacali.Del resto la svolta a destra con Blair non è forse stata determinata dalla sconfitta dei sindacati sotto la Thatcher? E dalla imposizione di un modello economico “liquido” fondato in larga parte sulla finanziarizzazione? In Italia è successo l’inverso: forte presenza dei sindacati , non esistenza di un partito laburista.Le ragioni di questa assenza le abbiamo fin troppo analizzate. Ora dobbiamo vedere se c’è la effettiva possibilità in Italia, di uscire dalla II Repubblica non con una sinistra indistinta e disaggettivata, ma con un partito del lavoro e del socialismo europeo.E’ stato ben messo in evidenza come il programma di Francois Hollande e del PSF si fonda su un progetto di de-finanziarizzazione dell’economia. Più o meno lo stesso vale per la SPD. La tragedia greca è figlia diretta dei meccanismi perversi di questo capitalismo finanziario e della tecnocrazia EU che si pone a suo guardiano. Però fino ad ora il programma di Hollande e della SPD è stato applaudito solo da Tremonti!! (lo ha fatto pubblicamente da Santoro) . Non ho sentito voci in sua difesa né dal PD né da SeL!L’Italia è strana, lo sappiamo.Una sinistra che non fa chiacchiere astratte sul “bene comunismo” ma che vuole sul serio costruire una alternativa di governo a questo modello economico, la prima direttrice su cui deve muoversi è proprio la de-finanziarizzazione. E quindi la “risolidificazione” della economia.Abbiamo detto tante volte che la finanziarizzazione è il prodotto delle contraddizioni del capitalismo attuale: tendenza alla caduta del saggio del profitto, divaricazione crescente tra redditi da capitale e redditi da lavoro. Alla caduta del saggio di profitto si risponde con il capitalismo manageriale azionario: il valore dei profitti dipende dal valore delle azioni e non viceversa; alla caduta della domanda provocata dalla caduta dei salari con le bolle speculative e lo stimolo all’indebitamento privato (che spesso supera quello pubblico). Ecco come la finanziarizzazione diventa il meccanismo strutturale di un modello perverso che distrugge tessuto economico e società.La definanziarizzazione comporta una serie di corollari: la reintroduzione dei principi cardine di Bad Godesberg. Economia mista con intervento diretto selettivo in economia (servizi pubblici essenziali – quelli che poeticamente sono chiamati beni comuni; settori industriali strategici) programmazione democratica dello sviluppo (riequilibrio tra beni pubblici e privati, investimenti sociali), democrazia industriale ed economica. Il tema centrale della compatibilità ecologica dell’economia industriale va affrontato non con le ideologie bucolico-antimoderne della decrescita, ma tramite il rilancio di una industria legata alla eco-compatibilita (nuovi modi di produzione energetica, nuovi motori, nuovi materiali). Ho già più volte detto che i soggetti attuali (con tutti i loro gravi limiti) su cui è possibile lavorare per costruire il partito laburista sono la sinistra PD e SEL. Entrambi hanno però forti limiti. Vediamoli.La sinistra PD, pur avendo operato una serie di analisi condivisibili sulla II Repubblica, ha mostrato finora il limite di pensare che il PD si possa salvare, magari facendogli assumere una identità di fatto socialdemocratica.Una identità socialdemocratica è incompatibile per il PD così come è. Esso nasce in modo estemporaneo su un diktat prodiano e qualifica con Veltroni la sua identità su una fuoriuscita a destra dalla socialdemocrazia.Un profondo riposizionamento del PD comporta necessariamente la messa in discussione del suo incerto DNA. Le posizioni di Orfini e Letta sono incompatibili su un piano culturale, politico e strategico. Possono essere tenuti insieme solo da una gestione equilibrista ed opportunista del partito.Infatti lo stesso Fassina è stato costretto a far indirettamente pressioni sulla CGIL affinchè accetti la mediazione della Cisl sull’art 18! Damiano ha comunque espresso una posizione di difesa della CGIL.La sinistra PD è una grande opportunità politica, ma al patto che si convinca che il PD è un progetto fallito e velleitario e di conseguenza si comporti. Altrimenti rischia di essere stritolata. E sarebbe un grosso guaio.IL Pd è un partito ambiguo, ma ha comunque preso i voti di grossa parte della sinistra riformista. Anche a Milano dove vince alla grande il candidato di SeL il PD prende il 26% (seL il 4,5%).Questo perché a sinistra del PD c’è il vuoto. O meglio c’è l’Arcobaleno che è vuoto politico. Insomma a sinistra del PD non c’è una forza laburista e quindi la stessa CGIL si vede costretta a relazionarsi con pezzi del PD.La nascita di SeL segna indubbiamente una speranza. Quantomeno nel sottoscritto.Oggi quella speranza in me si è un po’ affievolita. O meglio, mi sento molto lontano politicamente e culturalmente da Vendola (e tendo sempre di più a differenziare il ragionamento su Vendola da quello su SeL). Ho capito che questa differenza non è contingente ma è attiene a due diverse culture politiche.Io credo che il partito che vuole Vendola è un partito liquido: una sorta di via di mezzo tra la Rifondazione di Bertinotti e la Rosa nel Pugno. Un partito che mescola il movimentismo neocomunista con suggestioni liberal-progressiste. Insomma qualcosa di diverso dal partito laburista che io ho in mente. Io sono fortemente critico con la politica liquida, perché lo sono con la società liquida. O meglio penso che la società liquida non sia un fenomeno naturale, conseguenza di fatti fisici come l’aumento o la diminuzione della temperatura. No la società liquida è il prodotto del finanz-capitalismo. Non è un caso che le società più liquide siano quelle anglosassoni. Al predominio dell’economia finanziaria “liquida” corrisponde la società liquida.Ora se è proprio il finanzcapitalismo l’oggetto della nostra critica ed il suo superamento l’obbiettivo per cui lottiamo, non possiamo che essere contro il partito liquido.Un progetto socialdemocratico serio non può non essere legato un processo di “risolidificazione “ della economia e della società. La socialdemocrazia ha perso con il neoliberismo perché ha pensato che globalizzazione e liquefazione sociale fossero fenomeni “naturali” e non frutto di scelte politiche.Ha inciso anche un ingenuo internazionalismo che si è confuso con il cosmopolitismo borghese. Un certo liberalsocialismo è il prodotto. Tremonti una volta dava ragione a Lafontaine quando si opponeva all’entrata della Cina nel WTO senza definite clausole sociali. Tremonti aveva a sua volta ragione in questo. Marx pensava , nel 1860, che il capitalismo mondiale avrebbe seguito tutto il modello inglese. Marx ha indovinato molte cose, ma questa no. In realtà, come scrive Carandini, il capitalismo si è poi sviluppato in forme diverse ed asimmetriche nelle varie realtà (Germania, Francia, Giappone, Italia); un certo globalismo di sinistra forse deriva da questa ingenuità di Marx.Oggi è chiaro che la globalizzazione è stato solo un mezzo per imporre il dominio illimitato del finanzcapitalismo. Ed il globalismo ingenuo di certa sinistra ha finito per rafforzare la destra xenofoba e nazionalista.Polany lo disse negli anni 30. La crisi del capitalismo può avere due sbocchi in Occidente: o il fascismo il socialismo democratico. Il fascismo di oggi sono i Le Pen i Bossi, gli eredi di Heider. Il socialismo democratico è da costruire ma PSF ed SPD stanno tracciando un percorso valido. Si tratta di costruire un progetto maggioritario intorno a tale idea di risolidificazione. ED oggi una opinione maggioritaria contro il capitalismo finanziario potenzialmente esiste, dobbiamo impedire che se appropri la destra.Vedete, in Italia, chi si oppone di più ad un partito del lavoro è la lobby di Scalfari e DE Baenedetti (con annessi Fatto Quotidiano). Chi cerca di criticare contemporaneamente da destra (Scalfari) e da sinistra (Flores D’Arcais) la CGIL. Un gioco sporco.Una ragione in più per spingere quelle forze in SeL e nella sinistra PD a non perdere tempo per fornire ala CGIL quell’interlocutore politico che le serve. Noi come Socialisti per la Sinistra lavoreremo con determinazione in tale direzione.
PEPPE GIUDICE
pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno mercoledì 15 febbraio 2012 alle ore 0.25 ·
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I limiti della sinistra PD, i limiti di SeL, l’esigenza vitale di un Partito del Lavoro
Se in Italia le diseguaglianze sociali sono fortemente aumentate ed il lavoro si è profondamente svalorizzato è anche per l’assenza di un soggetto politico laburista e socialista democratico riconoscibile e forte, quale interlocutore privilegiato dei sindacati.Certo il quadro generale parla di crescita degli squilibri sociali in tutti i paesi dell’area OCSE così come di una consistente riduzione del peso del lavoro dipendente sul Pil. Ma con notevoli differenze tra paese e paese. Massimo nei paesi anglosassoni ed in Italia, minimo nei paesi del nord Europa dove esistono forti socialdemocrazie strettamente connessi a forti movimenti sindacali.Del resto la svolta a destra con Blair non è forse stata determinata dalla sconfitta dei sindacati sotto la Thatcher? E dalla imposizione di un modello economico “liquido” fondato in larga parte sulla finanziarizzazione? In Italia è successo l’inverso: forte presenza dei sindacati , non esistenza di un partito laburista.Le ragioni di questa assenza le abbiamo fin troppo analizzate. Ora dobbiamo vedere se c’è la effettiva possibilità in Italia, di uscire dalla II Repubblica non con una sinistra indistinta e disaggettivata, ma con un partito del lavoro e del socialismo europeo.E’ stato ben messo in evidenza come il programma di Francois Hollande e del PSF si fonda su un progetto di de-finanziarizzazione dell’economia. Più o meno lo stesso vale per la SPD. La tragedia greca è figlia diretta dei meccanismi perversi di questo capitalismo finanziario e della tecnocrazia EU che si pone a suo guardiano. Però fino ad ora il programma di Hollande e della SPD è stato applaudito solo da Tremonti!! (lo ha fatto pubblicamente da Santoro) . Non ho sentito voci in sua difesa né dal PD né da SeL!L’Italia è strana, lo sappiamo.Una sinistra che non fa chiacchiere astratte sul “bene comunismo” ma che vuole sul serio costruire una alternativa di governo a questo modello economico, la prima direttrice su cui deve muoversi è proprio la de-finanziarizzazione. E quindi la “risolidificazione” della economia.Abbiamo detto tante volte che la finanziarizzazione è il prodotto delle contraddizioni del capitalismo attuale: tendenza alla caduta del saggio del profitto, divaricazione crescente tra redditi da capitale e redditi da lavoro. Alla caduta del saggio di profitto si risponde con il capitalismo manageriale azionario: il valore dei profitti dipende dal valore delle azioni e non viceversa; alla caduta della domanda provocata dalla caduta dei salari con le bolle speculative e lo stimolo all’indebitamento privato (che spesso supera quello pubblico). Ecco come la finanziarizzazione diventa il meccanismo strutturale di un modello perverso che distrugge tessuto economico e società.La definanziarizzazione comporta una serie di corollari: la reintroduzione dei principi cardine di Bad Godesberg. Economia mista con intervento diretto selettivo in economia (servizi pubblici essenziali – quelli che poeticamente sono chiamati beni comuni; settori industriali strategici) programmazione democratica dello sviluppo (riequilibrio tra beni pubblici e privati, investimenti sociali), democrazia industriale ed economica. Il tema centrale della compatibilità ecologica dell’economia industriale va affrontato non con le ideologie bucolico-antimoderne della decrescita, ma tramite il rilancio di una industria legata alla eco-compatibilita (nuovi modi di produzione energetica, nuovi motori, nuovi materiali). Ho già più volte detto che i soggetti attuali (con tutti i loro gravi limiti) su cui è possibile lavorare per costruire il partito laburista sono la sinistra PD e SEL. Entrambi hanno però forti limiti. Vediamoli.La sinistra PD, pur avendo operato una serie di analisi condivisibili sulla II Repubblica, ha mostrato finora il limite di pensare che il PD si possa salvare, magari facendogli assumere una identità di fatto socialdemocratica.Una identità socialdemocratica è incompatibile per il PD così come è. Esso nasce in modo estemporaneo su un diktat prodiano e qualifica con Veltroni la sua identità su una fuoriuscita a destra dalla socialdemocrazia.Un profondo riposizionamento del PD comporta necessariamente la messa in discussione del suo incerto DNA. Le posizioni di Orfini e Letta sono incompatibili su un piano culturale, politico e strategico. Possono essere tenuti insieme solo da una gestione equilibrista ed opportunista del partito.Infatti lo stesso Fassina è stato costretto a far indirettamente pressioni sulla CGIL affinchè accetti la mediazione della Cisl sull’art 18! Damiano ha comunque espresso una posizione di difesa della CGIL.La sinistra PD è una grande opportunità politica, ma al patto che si convinca che il PD è un progetto fallito e velleitario e di conseguenza si comporti. Altrimenti rischia di essere stritolata. E sarebbe un grosso guaio.IL Pd è un partito ambiguo, ma ha comunque preso i voti di grossa parte della sinistra riformista. Anche a Milano dove vince alla grande il candidato di SeL il PD prende il 26% (seL il 4,5%).Questo perché a sinistra del PD c’è il vuoto. O meglio c’è l’Arcobaleno che è vuoto politico. Insomma a sinistra del PD non c’è una forza laburista e quindi la stessa CGIL si vede costretta a relazionarsi con pezzi del PD.La nascita di SeL segna indubbiamente una speranza. Quantomeno nel sottoscritto.Oggi quella speranza in me si è un po’ affievolita. O meglio, mi sento molto lontano politicamente e culturalmente da Vendola (e tendo sempre di più a differenziare il ragionamento su Vendola da quello su SeL). Ho capito che questa differenza non è contingente ma è attiene a due diverse culture politiche.Io credo che il partito che vuole Vendola è un partito liquido: una sorta di via di mezzo tra la Rifondazione di Bertinotti e la Rosa nel Pugno. Un partito che mescola il movimentismo neocomunista con suggestioni liberal-progressiste. Insomma qualcosa di diverso dal partito laburista che io ho in mente. Io sono fortemente critico con la politica liquida, perché lo sono con la società liquida. O meglio penso che la società liquida non sia un fenomeno naturale, conseguenza di fatti fisici come l’aumento o la diminuzione della temperatura. No la società liquida è il prodotto del finanz-capitalismo. Non è un caso che le società più liquide siano quelle anglosassoni. Al predominio dell’economia finanziaria “liquida” corrisponde la società liquida.Ora se è proprio il finanzcapitalismo l’oggetto della nostra critica ed il suo superamento l’obbiettivo per cui lottiamo, non possiamo che essere contro il partito liquido.Un progetto socialdemocratico serio non può non essere legato un processo di “risolidificazione “ della economia e della società. La socialdemocrazia ha perso con il neoliberismo perché ha pensato che globalizzazione e liquefazione sociale fossero fenomeni “naturali” e non frutto di scelte politiche.Ha inciso anche un ingenuo internazionalismo che si è confuso con il cosmopolitismo borghese. Un certo liberalsocialismo è il prodotto. Tremonti una volta dava ragione a Lafontaine quando si opponeva all’entrata della Cina nel WTO senza definite clausole sociali. Tremonti aveva a sua volta ragione in questo. Marx pensava , nel 1860, che il capitalismo mondiale avrebbe seguito tutto il modello inglese. Marx ha indovinato molte cose, ma questa no. In realtà, come scrive Carandini, il capitalismo si è poi sviluppato in forme diverse ed asimmetriche nelle varie realtà (Germania, Francia, Giappone, Italia); un certo globalismo di sinistra forse deriva da questa ingenuità di Marx.Oggi è chiaro che la globalizzazione è stato solo un mezzo per imporre il dominio illimitato del finanzcapitalismo. Ed il globalismo ingenuo di certa sinistra ha finito per rafforzare la destra xenofoba e nazionalista.Polany lo disse negli anni 30. La crisi del capitalismo può avere due sbocchi in Occidente: o il fascismo il socialismo democratico. Il fascismo di oggi sono i Le Pen i Bossi, gli eredi di Heider. Il socialismo democratico è da costruire ma PSF ed SPD stanno tracciando un percorso valido. Si tratta di costruire un progetto maggioritario intorno a tale idea di risolidificazione. ED oggi una opinione maggioritaria contro il capitalismo finanziario potenzialmente esiste, dobbiamo impedire che se appropri la destra.Vedete, in Italia, chi si oppone di più ad un partito del lavoro è la lobby di Scalfari e DE Baenedetti (con annessi Fatto Quotidiano). Chi cerca di criticare contemporaneamente da destra (Scalfari) e da sinistra (Flores D’Arcais) la CGIL. Un gioco sporco.Una ragione in più per spingere quelle forze in SeL e nella sinistra PD a non perdere tempo per fornire ala CGIL quell’interlocutore politico che le serve. Noi come Socialisti per la Sinistra lavoreremo con determinazione in tale direzione.
PEPPE GIUDICE
martedì 14 febbraio 2012
Pierpaolo Pecchiari: Grecia e debito pubblico
Secondo il gruppo socialista al parlamento europeo (vedi Swoboda, lettera al Presidente Barroso sul caso greco), sulla
questione Grecia "i rappresentanti della Commissione sembrano essersi fatti guidare da convinzioni infondate", inoltre "sono le politiche di austerità estrema imposte alla Grecia che l’hanno portata in una recessione ancora più grave".
Come se non bastasse, "la Troika sta semplicemente ignorando una serie di studi che dimostrano che il costo del lavoro e la competitività sono due
soggetti completamente slegati in Grecia al momento". Un'osservazione interessante, che forse bisognerebbe girare anche ad alcuni ministri del
nostro governicchio tecnico.
La sinistra italiana, intanto, discute di primarie di coalizione e del loro effetto - giustamente e meritatamente devastante - sul suo principale partito.
Forse perché è molto meglio - paradossalmente, molto meno problematico e doloroso - che discutere di ciò che propongono i socialisti europei, perché questo rischierebbe di provocare qualche "mal di pancia" di troppo tra i centristi del PD e tra i centristi alleati del PD, volonterosissimi carnefici al servizio di Monti - che invece delle politiche imposte dalla trojka alla Grecia pare avere un altissima considerazione. Mah!
questione Grecia "i rappresentanti della Commissione sembrano essersi fatti guidare da convinzioni infondate", inoltre "sono le politiche di austerità estrema imposte alla Grecia che l’hanno portata in una recessione ancora più grave".
Come se non bastasse, "la Troika sta semplicemente ignorando una serie di studi che dimostrano che il costo del lavoro e la competitività sono due
soggetti completamente slegati in Grecia al momento". Un'osservazione interessante, che forse bisognerebbe girare anche ad alcuni ministri del
nostro governicchio tecnico.
La sinistra italiana, intanto, discute di primarie di coalizione e del loro effetto - giustamente e meritatamente devastante - sul suo principale partito.
Forse perché è molto meglio - paradossalmente, molto meno problematico e doloroso - che discutere di ciò che propongono i socialisti europei, perché questo rischierebbe di provocare qualche "mal di pancia" di troppo tra i centristi del PD e tra i centristi alleati del PD, volonterosissimi carnefici al servizio di Monti - che invece delle politiche imposte dalla trojka alla Grecia pare avere un altissima considerazione. Mah!
lunedì 13 febbraio 2012
Franco Astengo: L'esito delle primarie genovesi e la riproposizione di un ragionamento sul PD
L’ESITO DELLE PRIMARIE GENOVESI E LA RIPROPOSIZIONE DI UN RAGIONAMENTO SUL PD
L’esito delle elezioni primarie interne al centrosinistra (non completo, mancava l’IDV) per la prossima elezione del Sindaco di Genova, con la assolutamente clamorosa sconfitta delle due candidate del PD (sindaca uscente e senatrice, rispettivamente) rappresenta, dopo i “casi” di Milano e Napoli della primavera del 2011 e in condizioni politiche molto diverse, un vero e proprio spartiacque per quel partito che, nato sull’onda della “vocazione maggioritaria” si trova, a mio modestissimo avviso, a dover ripensare totalmente la propria presenza sul territorio ed anche all’interno del sistema politico italiano che si trova, come vedremo, in via di complessivo riallineamento.
La vicenda genovese dimostra, ben al di là dell’esigenza di ridefinizione dello strumento delle “primarie” (con la definizione preventiva, come minimo, del perimetro dell’elettorato attivo: strumento che comunque sta dimostrando un certo qual “logoramento” dal punto di vista della capacità di attrazione) almeno due questioni: la prima riguarda il vero e proprio corrompimento che il personalismo ha portato all’interno dello stesso PD, un corrompimento di fondo – nel corso stesso del partito – verificatosi tanto più in una situazione come quella genovese tradizionalmente molto compatta (esiste anche il tema del giudizio, molto controverso in Città, sull’amministrazione uscente, in questo caso sottoposto davvero incautamente a una valutazione assolutamente anomala, sul piano politico); la seconda, nella speranza di ricevere su questo punto un minimo di ascolto dai vertici nazionali di questo partito, riguarda la vera novità che ha contraddistinto le primarie genovesi, rispetto a quelle milanesi e napoletano: essersi svolte, cioè, dopo la formazione del governo Monti.
Riproponiamo, allora, un ragionamento che già c’era capitato di sviluppare qualche mese fa, sperando di non annoiare troppo le nostre/i cortesi interlocutrici/ori: un ragionamento che ci pare, in più, avvalorato dagli ultimi fatti che si stanno verificando in Europa, dalla Grecia alla Spagna.
La mia tesi di fondo rimane, comunque, quella che l’esito delle primarie genovesi mette in discussione l’intero impianto complessivo su cui si era pensato di costruire il PD, e non possa essere derubricato a episodio locale e tantomeno a incidente di percorso.
La formazione del Governo Monti ha rappresentato un indubbio elemento di novità all’interno del sistema politico italiano, al di là del suo pervicace procedere su di una linea liberista nell’affrontare la crisi il cui prezzo sarà pagato interamente da masse popolari ulteriormente impoverite e al riguardo delle quali si pone ineludibile la necessità di affrontare la lotta politica recuperando per intero i termini, considerati ormai desueti invece sempre attuali, dell’antica “lotta di classe”.
Questa sintetica affermazione dovrebbe rappresentare il punto di partenza sul quale il PD dovrebbe, a mio modesto giudizio, avviare urgentemente.
Partiamo da un assunto: il Partito Democratico non potrà rappresentare il soggetto di riferimento per un’alternativa che, invece, in collegamento con il quadro europeo, è necessaria e urgente per il Paese: ed è questo il segnale politico “forte” che è stato lanciato dagli elettori presentatisi alle urne alle primarie genovesi.
Andando per ordine è necessario valutare con attenzione un dato: il governo Monti rappresenta un dato di novità vera sotto due aspetti.
Il primo riguarda la sua natura “presidenziale”, di vera e propria ratifica dell’affermazione della Costituzione materiale sulla Costituzione formale: si è aperto, in questo modo, un interrogativo di fondo per le forze politiche. Andare avanti su questa strada e quindi affrontare il tratto che separa la Repubblica parlamentare da una Repubblica presidenziale? Oppure tornare immediatamente all’indietro e ripristinare sul serio i meccanismi istituzionali della Repubblica Parlamentare?
Il secondo elemento riguarda il futuro: quale segno politico questo Governo vorrà lasciare a livello di sistema? E’ indubbio che, al di là delle candidature dei singoli, in questo senso qualcosa andrà muovendosi.
Allora appare evidente che la formazione del Governo Monti e l’esito della prima fase della sua attività chiama i partiti a un rapido riallineamento sistemico: di questo fatto si sono già accorti tempestivamente Lega e IdV, collocandosi immediatamente all’opposizione e candidandosi alla rendita che fisiologicamente questo tipo di posizione assegna a chi la occupa e il “Terzo Polo” che, al contrario si candida, a essere il soggetto politico costitutivo del “farsi carico” dello imprinting espresso dal Governo Monti ai fini di una trasformazione in fattore elettorale.
Il PDL sta trasformando la propria linea in una concezione molto “duttile” al riguardo dell’appoggio al Governo: una linea molto “duttile” da non assegnare semplicemente a una divisione interne, da valutare attentamente e potenzialmente molto pericolosa.
In netto ritardo il PD, appunto, mentre a sinistra proprio l’esito delle primarie genovesi pone l’accento sulla necessità di ritrovare, prima di tutto, autonomia e unità non dando per scontato nessun quadro di alleanza, almeno nella situazione attuale, ma anticipando i tempi dell’evidente complessivo riallineamento del sistema aprendo un grande dibattito sull’esigenza di costruire, unitariamente, il soggetto dell’alternativa a partire dal rifiuto del perverso meccanismo liberista attraverso il quale il Governo sta cercando di ristabilire il complesso dei rapporti sociali.
Proprio il PD è chiamato, però, per le sue dimensioni e le ambizioni dei suoi dirigenti, ad aprire la riflessione più accurata.
Molto modestamente, in quest’occasione, propongo sei punti di dibattito:
1) Al di là del tema della “fusione fredda” (o della d’alemiana “amalgama non riuscita”), nel PD si nota l’assenza completa di una proiezione di tipo internazionale (la perlomeno ambigua collocazione al Parlamento Europeo appare fortemente indicativa, sotto quest’aspetto).I DS avevano comunque tentato se si pensa all’“Ulivo Mondiale” (formula un po’ pretenziosa per la verità). Adesso si nota un respiro appena provinciale, una sostanziale incapacità di muoversi su di un terreno più ampio. La gestione della crisi è stata portata avanti, sempre per esempio, senza che si sia notato un passo perlomeno significativo a livello europeo. Perché quando Merkel e Sarkozy hanno preso in mano la gestione europea in forma dualistica, non si è proposto un passo comune, ad esempio a SPD e PSF.? Questo per limitarci all’Europa. Quali rapporti, tanto per andare avanti ad esempi, ha il PD con le forze democratiche del BRIC e quale politica di vicinato propone all’Europa nell’area mediterranea?
2) Il secondo limite sul quale il PD dovrebbe interrogarsi a fondo risiede nell’essere nato, sul piano della “mission” esclusivamente sul terreno della “governabilità” a pieno scapito del concetto di rappresentanza esordendo , alle elezioni del 2008, con un tentativo di bipartitizzazione del sistema, forzando lo schema bipolare per coalizione al quale gli elettori si erano abituati votando con il sistema misto del 2003 (ricordate “bipolarismo per caso”, ecc., ecc.). L’idea della “vocazione maggioritaria” si è rivelata a questo modo assolutamente sciagurata e la sconfitta del 2008 di proporzioni esiziali, quasi delle dimensioni di quella subita dal Fronte Popolare nel 1948. Nella sostanza con la “vocazione maggioritaria” si è favorito l’avversario, non vedendo l’articolazione esistente nel rapporto tra il sistema politico e la società. Un errore grave, non rimediabile a tavolino con la continuità sostanziale del gruppo dirigente, al vertice come in periferia;
3) L’idea della governabilità quale unico riferimento per la vita del Partito, oltre a dar vita a fenomeni personalistici sinceramente imbarazzanti (al di là del sindaco di Firenze Renzi, ad esempio, proprio l’esito delle primarie genovesi richiama con grande forza l’attenzione su questo tema) ha impedito al PD, oltre alla già citata verifica della mutazione delle fratture sociali, anche la possibilità di afflusso nel Partito di nuovi soggetti non interessati a collocazioni istituzionali e di governo ma interessati a far valere collettivamente le ragioni di determinate istanze sociali;
4) In collegamento al punto tre va chiarito come il rapporto tra concetto di governabilità e realtà della base sociale, abbia fatto intendere il PD quasi come una sorta di soggetto formatore delle “liste d’attesa” per ruoli istituzionali e di sottogoverno, in particolare e in una dimensione molto forte, alla periferia, anziché come luogo di militanza politica. Un fattore questo sulla base del quale si sono originati anche episodi legati all’intreccio tra questione politica e questione morale a partire dal caso clamoroso dell’ex-tesoriere della Margherita e dagli ancora non risolti, casi “Sesto San Giovanni” e “giunta pugliese”;
5) Il PD non è riuscito a realizzare un’ipotesi di “partito nazionale” (nella concezione che molto opportunamente porta avanti Ilvo Diamanti). Esiste , infatti, una discrasia molto forte fra la composizione, indubbiamente interclassista, del partito e la base elettorale ancora concentrata prevalentemente nelle antiche roccaforti “rosse” del Centro Italia. Come può un Partito che pretende di essere “a vocazione maggioritaria” ottenere all’incirca il 10% dei voti in zone nevralgiche del Paese, in particolare al Sud?
6) Infine: la riflessione che c’è capitata di proporre in quest’occasione appare urgente e indispensabile alla vigilia di un probabile riallineamento del sistema. In questo senso come sta la discussione collettiva nel PD? Come funzionano i suoi organismi dirigenti, al di là delle dichiarazioni e delle interviste di questo/a o di quello/a, considerato che nel corso di questi ultimi mesi abbiamo annotato pochissime o quasi nessuna presa di posizione degli stessi organismi dirigenti? Come sono valutate le primarie che, come abbiamo visto proprio nel caso genovese, appaiono davvero lo sfogatoio per improbabili ambizioni personali e faide di corrente?
Savona, li 13 febbraio 2012 Franco Astengo
L’esito delle elezioni primarie interne al centrosinistra (non completo, mancava l’IDV) per la prossima elezione del Sindaco di Genova, con la assolutamente clamorosa sconfitta delle due candidate del PD (sindaca uscente e senatrice, rispettivamente) rappresenta, dopo i “casi” di Milano e Napoli della primavera del 2011 e in condizioni politiche molto diverse, un vero e proprio spartiacque per quel partito che, nato sull’onda della “vocazione maggioritaria” si trova, a mio modestissimo avviso, a dover ripensare totalmente la propria presenza sul territorio ed anche all’interno del sistema politico italiano che si trova, come vedremo, in via di complessivo riallineamento.
La vicenda genovese dimostra, ben al di là dell’esigenza di ridefinizione dello strumento delle “primarie” (con la definizione preventiva, come minimo, del perimetro dell’elettorato attivo: strumento che comunque sta dimostrando un certo qual “logoramento” dal punto di vista della capacità di attrazione) almeno due questioni: la prima riguarda il vero e proprio corrompimento che il personalismo ha portato all’interno dello stesso PD, un corrompimento di fondo – nel corso stesso del partito – verificatosi tanto più in una situazione come quella genovese tradizionalmente molto compatta (esiste anche il tema del giudizio, molto controverso in Città, sull’amministrazione uscente, in questo caso sottoposto davvero incautamente a una valutazione assolutamente anomala, sul piano politico); la seconda, nella speranza di ricevere su questo punto un minimo di ascolto dai vertici nazionali di questo partito, riguarda la vera novità che ha contraddistinto le primarie genovesi, rispetto a quelle milanesi e napoletano: essersi svolte, cioè, dopo la formazione del governo Monti.
Riproponiamo, allora, un ragionamento che già c’era capitato di sviluppare qualche mese fa, sperando di non annoiare troppo le nostre/i cortesi interlocutrici/ori: un ragionamento che ci pare, in più, avvalorato dagli ultimi fatti che si stanno verificando in Europa, dalla Grecia alla Spagna.
La mia tesi di fondo rimane, comunque, quella che l’esito delle primarie genovesi mette in discussione l’intero impianto complessivo su cui si era pensato di costruire il PD, e non possa essere derubricato a episodio locale e tantomeno a incidente di percorso.
La formazione del Governo Monti ha rappresentato un indubbio elemento di novità all’interno del sistema politico italiano, al di là del suo pervicace procedere su di una linea liberista nell’affrontare la crisi il cui prezzo sarà pagato interamente da masse popolari ulteriormente impoverite e al riguardo delle quali si pone ineludibile la necessità di affrontare la lotta politica recuperando per intero i termini, considerati ormai desueti invece sempre attuali, dell’antica “lotta di classe”.
Questa sintetica affermazione dovrebbe rappresentare il punto di partenza sul quale il PD dovrebbe, a mio modesto giudizio, avviare urgentemente.
Partiamo da un assunto: il Partito Democratico non potrà rappresentare il soggetto di riferimento per un’alternativa che, invece, in collegamento con il quadro europeo, è necessaria e urgente per il Paese: ed è questo il segnale politico “forte” che è stato lanciato dagli elettori presentatisi alle urne alle primarie genovesi.
Andando per ordine è necessario valutare con attenzione un dato: il governo Monti rappresenta un dato di novità vera sotto due aspetti.
Il primo riguarda la sua natura “presidenziale”, di vera e propria ratifica dell’affermazione della Costituzione materiale sulla Costituzione formale: si è aperto, in questo modo, un interrogativo di fondo per le forze politiche. Andare avanti su questa strada e quindi affrontare il tratto che separa la Repubblica parlamentare da una Repubblica presidenziale? Oppure tornare immediatamente all’indietro e ripristinare sul serio i meccanismi istituzionali della Repubblica Parlamentare?
Il secondo elemento riguarda il futuro: quale segno politico questo Governo vorrà lasciare a livello di sistema? E’ indubbio che, al di là delle candidature dei singoli, in questo senso qualcosa andrà muovendosi.
Allora appare evidente che la formazione del Governo Monti e l’esito della prima fase della sua attività chiama i partiti a un rapido riallineamento sistemico: di questo fatto si sono già accorti tempestivamente Lega e IdV, collocandosi immediatamente all’opposizione e candidandosi alla rendita che fisiologicamente questo tipo di posizione assegna a chi la occupa e il “Terzo Polo” che, al contrario si candida, a essere il soggetto politico costitutivo del “farsi carico” dello imprinting espresso dal Governo Monti ai fini di una trasformazione in fattore elettorale.
Il PDL sta trasformando la propria linea in una concezione molto “duttile” al riguardo dell’appoggio al Governo: una linea molto “duttile” da non assegnare semplicemente a una divisione interne, da valutare attentamente e potenzialmente molto pericolosa.
In netto ritardo il PD, appunto, mentre a sinistra proprio l’esito delle primarie genovesi pone l’accento sulla necessità di ritrovare, prima di tutto, autonomia e unità non dando per scontato nessun quadro di alleanza, almeno nella situazione attuale, ma anticipando i tempi dell’evidente complessivo riallineamento del sistema aprendo un grande dibattito sull’esigenza di costruire, unitariamente, il soggetto dell’alternativa a partire dal rifiuto del perverso meccanismo liberista attraverso il quale il Governo sta cercando di ristabilire il complesso dei rapporti sociali.
Proprio il PD è chiamato, però, per le sue dimensioni e le ambizioni dei suoi dirigenti, ad aprire la riflessione più accurata.
Molto modestamente, in quest’occasione, propongo sei punti di dibattito:
1) Al di là del tema della “fusione fredda” (o della d’alemiana “amalgama non riuscita”), nel PD si nota l’assenza completa di una proiezione di tipo internazionale (la perlomeno ambigua collocazione al Parlamento Europeo appare fortemente indicativa, sotto quest’aspetto).I DS avevano comunque tentato se si pensa all’“Ulivo Mondiale” (formula un po’ pretenziosa per la verità). Adesso si nota un respiro appena provinciale, una sostanziale incapacità di muoversi su di un terreno più ampio. La gestione della crisi è stata portata avanti, sempre per esempio, senza che si sia notato un passo perlomeno significativo a livello europeo. Perché quando Merkel e Sarkozy hanno preso in mano la gestione europea in forma dualistica, non si è proposto un passo comune, ad esempio a SPD e PSF.? Questo per limitarci all’Europa. Quali rapporti, tanto per andare avanti ad esempi, ha il PD con le forze democratiche del BRIC e quale politica di vicinato propone all’Europa nell’area mediterranea?
2) Il secondo limite sul quale il PD dovrebbe interrogarsi a fondo risiede nell’essere nato, sul piano della “mission” esclusivamente sul terreno della “governabilità” a pieno scapito del concetto di rappresentanza esordendo , alle elezioni del 2008, con un tentativo di bipartitizzazione del sistema, forzando lo schema bipolare per coalizione al quale gli elettori si erano abituati votando con il sistema misto del 2003 (ricordate “bipolarismo per caso”, ecc., ecc.). L’idea della “vocazione maggioritaria” si è rivelata a questo modo assolutamente sciagurata e la sconfitta del 2008 di proporzioni esiziali, quasi delle dimensioni di quella subita dal Fronte Popolare nel 1948. Nella sostanza con la “vocazione maggioritaria” si è favorito l’avversario, non vedendo l’articolazione esistente nel rapporto tra il sistema politico e la società. Un errore grave, non rimediabile a tavolino con la continuità sostanziale del gruppo dirigente, al vertice come in periferia;
3) L’idea della governabilità quale unico riferimento per la vita del Partito, oltre a dar vita a fenomeni personalistici sinceramente imbarazzanti (al di là del sindaco di Firenze Renzi, ad esempio, proprio l’esito delle primarie genovesi richiama con grande forza l’attenzione su questo tema) ha impedito al PD, oltre alla già citata verifica della mutazione delle fratture sociali, anche la possibilità di afflusso nel Partito di nuovi soggetti non interessati a collocazioni istituzionali e di governo ma interessati a far valere collettivamente le ragioni di determinate istanze sociali;
4) In collegamento al punto tre va chiarito come il rapporto tra concetto di governabilità e realtà della base sociale, abbia fatto intendere il PD quasi come una sorta di soggetto formatore delle “liste d’attesa” per ruoli istituzionali e di sottogoverno, in particolare e in una dimensione molto forte, alla periferia, anziché come luogo di militanza politica. Un fattore questo sulla base del quale si sono originati anche episodi legati all’intreccio tra questione politica e questione morale a partire dal caso clamoroso dell’ex-tesoriere della Margherita e dagli ancora non risolti, casi “Sesto San Giovanni” e “giunta pugliese”;
5) Il PD non è riuscito a realizzare un’ipotesi di “partito nazionale” (nella concezione che molto opportunamente porta avanti Ilvo Diamanti). Esiste , infatti, una discrasia molto forte fra la composizione, indubbiamente interclassista, del partito e la base elettorale ancora concentrata prevalentemente nelle antiche roccaforti “rosse” del Centro Italia. Come può un Partito che pretende di essere “a vocazione maggioritaria” ottenere all’incirca il 10% dei voti in zone nevralgiche del Paese, in particolare al Sud?
6) Infine: la riflessione che c’è capitata di proporre in quest’occasione appare urgente e indispensabile alla vigilia di un probabile riallineamento del sistema. In questo senso come sta la discussione collettiva nel PD? Come funzionano i suoi organismi dirigenti, al di là delle dichiarazioni e delle interviste di questo/a o di quello/a, considerato che nel corso di questi ultimi mesi abbiamo annotato pochissime o quasi nessuna presa di posizione degli stessi organismi dirigenti? Come sono valutate le primarie che, come abbiamo visto proprio nel caso genovese, appaiono davvero lo sfogatoio per improbabili ambizioni personali e faide di corrente?
Savona, li 13 febbraio 2012 Franco Astengo
domenica 12 febbraio 2012
Peppe Giudice: La CGIL, la FIOM e gli amici di Scalfari
La CGIL, la Fiom e gli amici di Scalfari
domenica 5 febbraio 2012, 2.23.16 | Giuseppe Giudice
La CGIL, la Fiom e gli amici di Scalfari
Quando intervenni al congresso regionale di SeL, lo scorso anno, dissi che SeL non poteva assolutamente essere trascinata in una eventuale lotta interna alla CGIL da una Fiom eventualmente egemonizzata dalle posizioni di un Cremaschi. La Fiom per me non è altro che una federazione di categoria della CGIL stessa, una federazione che ha svolto un ruolo centrale (fu diretta per molti anni da Bruno Buozzi, grande figura di socialista riformista fucilato dai nazisti nel 1944) nella storia stessa della CGIL, ma che resta comunque un pezzo della CGIL sindacato confederale.
In quest’anno, con la messa in minoranza di Cremaschi, i rapporti tra CGIL e Fiom sono rientrati nella normalità e questo è un fatto altamente positivo. Merito della Camusso e merito di Landini.
Ciò che non mi convince della Fiom è comunque il voler apparire come una sorta di soggetto politico in embrione che poi si presta ad essere strumentalizzato da più parti.
Una parte era quella della sinistra neocomunista di Ferrero, che cercava di fare della Fiom uno strumento di spaccatura della Cgil in vista di una possibile unità con Cobas e rompicoglioni vari. Ma oggi questa prospettiva non mi pare più perseguita dalla Fed Sin né certo accettata dal gruppo dirigente Fiom.
Sarò forse affetto da eccessive dietrologie, e probabilmente sbaglierò nell’analisi, ma talvolta mi pare che in questa fase difficilissima con una transizione piena di incognite in corso (la scomparsa di scena di Berlusconi credo sia un fatto acquisito) la lobby Scalfari-De Benedetti (che è quella che poi ha ipotecato la sinistra della II Repubblica) stia di nuovo in campo per impedire che in Italia si formi un partito socialista e del lavoro – legato al Pse – e quindi si lasci il campo aperto – anche in una ipotetica III Repubblica, all’azione prevaricatrice delle lobby.
Il punto verso cui si concentra l’attacco è la CGIL, perché essa oggi è di fatto l’elemento privilegiato di coagulo di tutte quelle forze presenti nella sinistra , nel PD, in SeL, nel Psi, in settori della stessa Fed aspirano ad una sinistra socialdemocratica e del lavoro.
Pertanto la CGIL viene attaccata da destra, con la lettera di Scalfari alla Camusso, in cui la redarguisce ricordandole la linea dell’Eur del 1978 (in tutt’altre condizioni di contesto storico, economico e sociale, come la Camusso ha detto nella sua replica) e tramite il pieno allineamento di Repubblica al Corriere ed alla Stampa nella acritica difesa di ogni atto del governo Monti. Tutti costoro uniti a dare addosso ai sindacati (accusano la Cisl e la Uil di essersi accodate alla CGIL!!) ed elogiando la Fornero quando afferma che la riforma del mercato del lavoro la farà anche senza il sì della CGIL.
Poi si tenta contemporaneamente un attacco da sinistra (sempre da parte di quella lobby) utilizzando Micromega ed il Fatto Quotidiano: i radical-chic ed i megafoni dell’antipolitica. Tutti in appoggio alla Fiom…molto sospetto.
Sappiamo tutti che Micromega è una dependance di Repubblica e così anche il Fatto (non è finanziato dallo stato ma da De Benedetti – Padellaro e Gomez da che scuderia vengono?) .
Ho esplicitamente rifiutato di firmare un appello di Micromega a favore della manifestazione Fiom dell’11 Febbraio contro le discriminazioni anti-Fiom ed anti-Cgil. La manifestazione la sostengo certamente, ma non metto la mia modestissima ed insignificante firma su un appello fatto da un seminatore di confusione come Flores D’Arcais e firmato da un architetto extramilionario come Fuskas, più i soliti Camilleri, Dario Fo e Franca Rame, quello che fa la parte del prete rivoluzionario (ma Gesù non ha insegnato a fare il bene nel silenzio e senza squillare le trombe?), più altra gente che non ha nulla a che vedere con la classe operaia …basta. Se c’è una cosa che una nuova sinistra deve fare è quella di non firmare più appelli retorici…mi dispiace solo che una persona seria e schiva come Gallino (è uno che compare pochissimo in televisione) si sia mescolato a costoro.
Ma passiamo a valutazioni più politiche. IL Fatto quando la CGIL firmò il protocollo sulla contrattazione con Cisl e Uil gridò al tradimento dei lavoratori fatto dalla “craxiana” Camusso d’accordo con il “craxiano” Sacconi. A Telese qualcuno dovrebbe ricordare che se c’è l’art 18 è per merito dei socialisti non di Cremaschi.
Quell’accordo servì a stanare Cisl e Uil e non compromise per nulla la CGIL. Ed oggi Cisl e Uil …a a meno di repentini cambi di idea sono schierati in un certo modo.
E però costoro cercano in ogni modo di accreditare la Fiom come l’unico baluardo a difesa dei lavoratori. Il loro obbiettivo è quello di spaccare ed indebolire la CGIL. Per questo Landini non dovrebbe prestarsi.
E se andiamo a vedere bene c’è qualcosa che accomuna quelli che contemporaneamente attaccano da destra a sinistra la CGIL. IL sostegno al Referendum – truffa di Parisi-Veltroni il cui unico obbiettivo era quello di non fare la legge elettorale stoppando il Passigli (guarda caso sostenuto dalla CGIL) ed andare a votare con questa.
E comunque il voler tornare al maggioritario (il Mattarellum) è serio indice di una precisa concezione della politica. I sistemi elettorali non sono neutri , come credono gli ingenui o i finti tali. Chi vuole il maggioritario vuole un preciso modello di politica in cui i soggetti collettivi organizzati ed autonomi non possano avere spazio. Spazio che invece va alle forme plebiscitarie e irrazionali, alla personalizzazione esasperata, al notabilato, al dominio delle lobby e dei poteri occulti paramassonici. Il maggioritario è il sistema che meglio esprime la logica del capitalismo liberale di pieno assoggettamento della politica all’economia e della scomparsa dei corpi intermedi.
Un partito socialista di massa non ha spazio in tale visione. Io spero che Vendola sia pur incautamente abbia aderito al referendum Parisi solo per tenere aperta la porta delle primarie e solo per quello. Perché non vorrei che pensasse di instaurare un rapporto organico con le lobby suddette. SeL ha bisogno di risorse economiche, chi vi milita lo sa bene. Ed i singoli contributi volontari servono ma sono tutt’altro che sufficienti. Per cui le pressioni delle lobby ed anche i loro ricatti sono perfettamente possibili per chi ha una visione realistica della politica. Il tema di un finanziamento pubblico, ma trasparente alla politica è essenziale per preservare l’autonomia dei soggetti politici.
Lelio Basso diceva che il carattere di sinistra di un programma non si misura sulla sua radicalità verbale (ed io aggiungo emozionale) ma sulla effettiva capacità che esso ha di modificare verso sinistra i rapporti di forza. Una seria battaglia per costruire una alternativa di programma e di progetto al liberismo la può fare solo una sinistra larga e socialista che si fondi su movimento sindacale solido ed il più possibile unitario. Sappiamo tutti che un certo sinistrismo è sempre stato oggettivamente complice della conservazione e lo è di più quando a questo sinistrismo gutturale si unisce l’antipolitica radical-chic. Chi ha orecchie per intendere intenda.
PEPPE GIUDICE
domenica 5 febbraio 2012, 2.23.16 | Giuseppe Giudice
La CGIL, la Fiom e gli amici di Scalfari
Quando intervenni al congresso regionale di SeL, lo scorso anno, dissi che SeL non poteva assolutamente essere trascinata in una eventuale lotta interna alla CGIL da una Fiom eventualmente egemonizzata dalle posizioni di un Cremaschi. La Fiom per me non è altro che una federazione di categoria della CGIL stessa, una federazione che ha svolto un ruolo centrale (fu diretta per molti anni da Bruno Buozzi, grande figura di socialista riformista fucilato dai nazisti nel 1944) nella storia stessa della CGIL, ma che resta comunque un pezzo della CGIL sindacato confederale.
In quest’anno, con la messa in minoranza di Cremaschi, i rapporti tra CGIL e Fiom sono rientrati nella normalità e questo è un fatto altamente positivo. Merito della Camusso e merito di Landini.
Ciò che non mi convince della Fiom è comunque il voler apparire come una sorta di soggetto politico in embrione che poi si presta ad essere strumentalizzato da più parti.
Una parte era quella della sinistra neocomunista di Ferrero, che cercava di fare della Fiom uno strumento di spaccatura della Cgil in vista di una possibile unità con Cobas e rompicoglioni vari. Ma oggi questa prospettiva non mi pare più perseguita dalla Fed Sin né certo accettata dal gruppo dirigente Fiom.
Sarò forse affetto da eccessive dietrologie, e probabilmente sbaglierò nell’analisi, ma talvolta mi pare che in questa fase difficilissima con una transizione piena di incognite in corso (la scomparsa di scena di Berlusconi credo sia un fatto acquisito) la lobby Scalfari-De Benedetti (che è quella che poi ha ipotecato la sinistra della II Repubblica) stia di nuovo in campo per impedire che in Italia si formi un partito socialista e del lavoro – legato al Pse – e quindi si lasci il campo aperto – anche in una ipotetica III Repubblica, all’azione prevaricatrice delle lobby.
Il punto verso cui si concentra l’attacco è la CGIL, perché essa oggi è di fatto l’elemento privilegiato di coagulo di tutte quelle forze presenti nella sinistra , nel PD, in SeL, nel Psi, in settori della stessa Fed aspirano ad una sinistra socialdemocratica e del lavoro.
Pertanto la CGIL viene attaccata da destra, con la lettera di Scalfari alla Camusso, in cui la redarguisce ricordandole la linea dell’Eur del 1978 (in tutt’altre condizioni di contesto storico, economico e sociale, come la Camusso ha detto nella sua replica) e tramite il pieno allineamento di Repubblica al Corriere ed alla Stampa nella acritica difesa di ogni atto del governo Monti. Tutti costoro uniti a dare addosso ai sindacati (accusano la Cisl e la Uil di essersi accodate alla CGIL!!) ed elogiando la Fornero quando afferma che la riforma del mercato del lavoro la farà anche senza il sì della CGIL.
Poi si tenta contemporaneamente un attacco da sinistra (sempre da parte di quella lobby) utilizzando Micromega ed il Fatto Quotidiano: i radical-chic ed i megafoni dell’antipolitica. Tutti in appoggio alla Fiom…molto sospetto.
Sappiamo tutti che Micromega è una dependance di Repubblica e così anche il Fatto (non è finanziato dallo stato ma da De Benedetti – Padellaro e Gomez da che scuderia vengono?) .
Ho esplicitamente rifiutato di firmare un appello di Micromega a favore della manifestazione Fiom dell’11 Febbraio contro le discriminazioni anti-Fiom ed anti-Cgil. La manifestazione la sostengo certamente, ma non metto la mia modestissima ed insignificante firma su un appello fatto da un seminatore di confusione come Flores D’Arcais e firmato da un architetto extramilionario come Fuskas, più i soliti Camilleri, Dario Fo e Franca Rame, quello che fa la parte del prete rivoluzionario (ma Gesù non ha insegnato a fare il bene nel silenzio e senza squillare le trombe?), più altra gente che non ha nulla a che vedere con la classe operaia …basta. Se c’è una cosa che una nuova sinistra deve fare è quella di non firmare più appelli retorici…mi dispiace solo che una persona seria e schiva come Gallino (è uno che compare pochissimo in televisione) si sia mescolato a costoro.
Ma passiamo a valutazioni più politiche. IL Fatto quando la CGIL firmò il protocollo sulla contrattazione con Cisl e Uil gridò al tradimento dei lavoratori fatto dalla “craxiana” Camusso d’accordo con il “craxiano” Sacconi. A Telese qualcuno dovrebbe ricordare che se c’è l’art 18 è per merito dei socialisti non di Cremaschi.
Quell’accordo servì a stanare Cisl e Uil e non compromise per nulla la CGIL. Ed oggi Cisl e Uil …a a meno di repentini cambi di idea sono schierati in un certo modo.
E però costoro cercano in ogni modo di accreditare la Fiom come l’unico baluardo a difesa dei lavoratori. Il loro obbiettivo è quello di spaccare ed indebolire la CGIL. Per questo Landini non dovrebbe prestarsi.
E se andiamo a vedere bene c’è qualcosa che accomuna quelli che contemporaneamente attaccano da destra a sinistra la CGIL. IL sostegno al Referendum – truffa di Parisi-Veltroni il cui unico obbiettivo era quello di non fare la legge elettorale stoppando il Passigli (guarda caso sostenuto dalla CGIL) ed andare a votare con questa.
E comunque il voler tornare al maggioritario (il Mattarellum) è serio indice di una precisa concezione della politica. I sistemi elettorali non sono neutri , come credono gli ingenui o i finti tali. Chi vuole il maggioritario vuole un preciso modello di politica in cui i soggetti collettivi organizzati ed autonomi non possano avere spazio. Spazio che invece va alle forme plebiscitarie e irrazionali, alla personalizzazione esasperata, al notabilato, al dominio delle lobby e dei poteri occulti paramassonici. Il maggioritario è il sistema che meglio esprime la logica del capitalismo liberale di pieno assoggettamento della politica all’economia e della scomparsa dei corpi intermedi.
Un partito socialista di massa non ha spazio in tale visione. Io spero che Vendola sia pur incautamente abbia aderito al referendum Parisi solo per tenere aperta la porta delle primarie e solo per quello. Perché non vorrei che pensasse di instaurare un rapporto organico con le lobby suddette. SeL ha bisogno di risorse economiche, chi vi milita lo sa bene. Ed i singoli contributi volontari servono ma sono tutt’altro che sufficienti. Per cui le pressioni delle lobby ed anche i loro ricatti sono perfettamente possibili per chi ha una visione realistica della politica. Il tema di un finanziamento pubblico, ma trasparente alla politica è essenziale per preservare l’autonomia dei soggetti politici.
Lelio Basso diceva che il carattere di sinistra di un programma non si misura sulla sua radicalità verbale (ed io aggiungo emozionale) ma sulla effettiva capacità che esso ha di modificare verso sinistra i rapporti di forza. Una seria battaglia per costruire una alternativa di programma e di progetto al liberismo la può fare solo una sinistra larga e socialista che si fondi su movimento sindacale solido ed il più possibile unitario. Sappiamo tutti che un certo sinistrismo è sempre stato oggettivamente complice della conservazione e lo è di più quando a questo sinistrismo gutturale si unisce l’antipolitica radical-chic. Chi ha orecchie per intendere intenda.
PEPPE GIUDICE
Peppe Giudice: L'obliquità e la doppiezza di D'Alema
L’obliquità e la doppiezza di D’Alema
giovedì 9 febbraio 2012, 16.09.07 | Giuseppe Giudice
L’obliquità e la doppiezza di D’Alema
Gli interventi che D’Alema ha fatto sul socialismo europeo contengono pari pari tutti quegli elementi di ambiguità e di doppiezza ideologica che poi hanno portato al fallimento (o meglio all’aborto) della Cosa 2. Insomma per D’Alema il socialismo di per sé è incompleto ed ha bisogno di allargarsi e di fondersi con non meglio precisate altre esperienze progressiste. Quando poi precisa meglio la definizione di questo progressismo lo colloca, non in Europa, ma ai tropici : il Partito del Congresso Indiano ed il PT Brasiliano.
A parte il fatto che il PT brasiliano (non aderisce alla IS ma ne è osservatore) si definisce statutariamente un partito del socialismo democratico. In Brasile in realtà ci sono tre partiti socialisti: il PT, il PDT (demo-laburista, in parte confluito nel PT – l’attuale presidentessa Roussef di lì proviene) ed il PSB (partito socialista brasiliano). Il PDT ed il PSB aderiscono alla IS . Il PT ha il 17% dei voti, il PDT il 5 ed il PSB il 6. Insieme arrivano intorno al 28%.
Sulla presunta incompletezza del socialismo potrei rispondere che qualsiasi cultura politica è incompleta. Se ce ne fosse una che riassume il sapere assoluto ne avrei sincero timore. Ogni movimento politico rappresenta un punto di vista che non può essere totalizzante (addio dialettica democratica conflittuale!). Così come è evidente che ogni partito ha bisogno di costruire alleanze. Ma lo può fare in quanto non perde la sua autonomia politica e di rappresentanza sociale.
La società capitalistica è di per se una realtà segnata dall’antagonismo strutturale. Lo aveva capito Ricardo prima ancora di Marx. Proprio per il fatto di essere fondato sulla accumulazione e la produzione per la produzione, il capitalismo produce continui squilibri che a loro volta generano antagonismi. Che sono necessari a bilanciare la forza disgregante, sul piano sociale, del capitalismo stesso.
La funzione del socialismo democratico è stata sempre quella di trasferire su un piano democratico e socialmente costruttivo questo antagonismo strutturale, affinchè esso fosse motore di un processo di trasformazione sociale nel pieno sviluppo della democrazia e della libertà.
Qui sta la ragione della autonomia della posizione socialista, che non rifiuta alleanze (anzi le ricerca) ma senza abdicare alla sua missione permanente (Bad Godesberg).
La posizione di D’Alema è un po’ “annacquatutto”. E non perché vuole includere il partito del Congresso Indiano. Ma semplicemente perché vuole nascondere il sostanziale fallimento del progetto del PD. Il polo progressista europeo serve ad un PD che non debba fare alcuna autocritica e serve un PSE che “si allei” con il PD , non che lo assorba.
E si capisce. Per D’Alema, Reichlin, Vacca il PD è in certo qual modo la prosecuzione del togliattismo con altri mezzi. Di quel disegno nazional-popolare che è in continuità con l’asse Cavour-De SAntis-Labriola-Gramsci. E non è un caso che D’Alema è uno di quelli che ha sempre disconosciuto la importanza della cultura socialista nella sinistra italiana. A differenza di Piero Fassino, ad esempio. Insomma con D’Alema non si va verso il PSE ma si ritorna al provincialismo di un certo PCI.
E del resto non tutto il PCI si può riassumere dentro lo schema togliattiano. I compagni comunisti della CGIL avevano una altra cultura politica, molto più aderente ai filoni centrali della socialdemocrazia. Di Vittorio, Lama, Trentin ne sono un esempio. Soprattutto Trentin con la sua ricchissima elaborazione culturale.
Perciò io dico ai compagni Orfini, Fassina, Orlando: va benissimo la vostra azione volta a costruire una area “socialdemocratica” dentro il PD. Ma senza le obliquità dalemiane. Con D’Alema si va in direzione affatto diversa da quella socialdemocratica. E non si può costruire una socialdemocrazia mantenendo il silenzio sul riscatto dell’autonomismo socialista indispensabile se si vuol fare un partito del socialismo europeo. Così come è necessario evidenziare i limiti strutturali su cui è nato e si è sviluppato il PD.
Ma oltre ai fatti ideologici, il dalemismo è stato un forte elemento di corruzione della politica. Al di là della stessa volontà di D’Alema. Un partito di ispirazione socialista non lo si potrà certo costruire con le maleodoranti carcasse dalemiane feudatarie nel Sud. Come non lo si può costruire con le carcasse post-craxiane, alla Nencini.
PEPPE GIUDICE
giovedì 9 febbraio 2012, 16.09.07 | Giuseppe Giudice
L’obliquità e la doppiezza di D’Alema
Gli interventi che D’Alema ha fatto sul socialismo europeo contengono pari pari tutti quegli elementi di ambiguità e di doppiezza ideologica che poi hanno portato al fallimento (o meglio all’aborto) della Cosa 2. Insomma per D’Alema il socialismo di per sé è incompleto ed ha bisogno di allargarsi e di fondersi con non meglio precisate altre esperienze progressiste. Quando poi precisa meglio la definizione di questo progressismo lo colloca, non in Europa, ma ai tropici : il Partito del Congresso Indiano ed il PT Brasiliano.
A parte il fatto che il PT brasiliano (non aderisce alla IS ma ne è osservatore) si definisce statutariamente un partito del socialismo democratico. In Brasile in realtà ci sono tre partiti socialisti: il PT, il PDT (demo-laburista, in parte confluito nel PT – l’attuale presidentessa Roussef di lì proviene) ed il PSB (partito socialista brasiliano). Il PDT ed il PSB aderiscono alla IS . Il PT ha il 17% dei voti, il PDT il 5 ed il PSB il 6. Insieme arrivano intorno al 28%.
Sulla presunta incompletezza del socialismo potrei rispondere che qualsiasi cultura politica è incompleta. Se ce ne fosse una che riassume il sapere assoluto ne avrei sincero timore. Ogni movimento politico rappresenta un punto di vista che non può essere totalizzante (addio dialettica democratica conflittuale!). Così come è evidente che ogni partito ha bisogno di costruire alleanze. Ma lo può fare in quanto non perde la sua autonomia politica e di rappresentanza sociale.
La società capitalistica è di per se una realtà segnata dall’antagonismo strutturale. Lo aveva capito Ricardo prima ancora di Marx. Proprio per il fatto di essere fondato sulla accumulazione e la produzione per la produzione, il capitalismo produce continui squilibri che a loro volta generano antagonismi. Che sono necessari a bilanciare la forza disgregante, sul piano sociale, del capitalismo stesso.
La funzione del socialismo democratico è stata sempre quella di trasferire su un piano democratico e socialmente costruttivo questo antagonismo strutturale, affinchè esso fosse motore di un processo di trasformazione sociale nel pieno sviluppo della democrazia e della libertà.
Qui sta la ragione della autonomia della posizione socialista, che non rifiuta alleanze (anzi le ricerca) ma senza abdicare alla sua missione permanente (Bad Godesberg).
La posizione di D’Alema è un po’ “annacquatutto”. E non perché vuole includere il partito del Congresso Indiano. Ma semplicemente perché vuole nascondere il sostanziale fallimento del progetto del PD. Il polo progressista europeo serve ad un PD che non debba fare alcuna autocritica e serve un PSE che “si allei” con il PD , non che lo assorba.
E si capisce. Per D’Alema, Reichlin, Vacca il PD è in certo qual modo la prosecuzione del togliattismo con altri mezzi. Di quel disegno nazional-popolare che è in continuità con l’asse Cavour-De SAntis-Labriola-Gramsci. E non è un caso che D’Alema è uno di quelli che ha sempre disconosciuto la importanza della cultura socialista nella sinistra italiana. A differenza di Piero Fassino, ad esempio. Insomma con D’Alema non si va verso il PSE ma si ritorna al provincialismo di un certo PCI.
E del resto non tutto il PCI si può riassumere dentro lo schema togliattiano. I compagni comunisti della CGIL avevano una altra cultura politica, molto più aderente ai filoni centrali della socialdemocrazia. Di Vittorio, Lama, Trentin ne sono un esempio. Soprattutto Trentin con la sua ricchissima elaborazione culturale.
Perciò io dico ai compagni Orfini, Fassina, Orlando: va benissimo la vostra azione volta a costruire una area “socialdemocratica” dentro il PD. Ma senza le obliquità dalemiane. Con D’Alema si va in direzione affatto diversa da quella socialdemocratica. E non si può costruire una socialdemocrazia mantenendo il silenzio sul riscatto dell’autonomismo socialista indispensabile se si vuol fare un partito del socialismo europeo. Così come è necessario evidenziare i limiti strutturali su cui è nato e si è sviluppato il PD.
Ma oltre ai fatti ideologici, il dalemismo è stato un forte elemento di corruzione della politica. Al di là della stessa volontà di D’Alema. Un partito di ispirazione socialista non lo si potrà certo costruire con le maleodoranti carcasse dalemiane feudatarie nel Sud. Come non lo si può costruire con le carcasse post-craxiane, alla Nencini.
PEPPE GIUDICE
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