martedì 28 febbraio 2012

Roberto Saviano: Elogio dei riformisti - Repubblica.it

Elogio dei riformisti - Repubblica.it

50 commenti:

vittorio ha detto...

Alla solitudine i riformisti non possono sommare una altezzosa puzza sotto il naso



Nel suo bell’articolo, in cui Roberto Saviano aiuta i riformisti a sentirsi meno soli, sottolinea anche come “il pensiero di Gramsci non possa essere confinato nel tratto violento, [preso a riferimento per il suo saggio da Alessandro Orsini per il suo libro intitolato Gramsci e Turati. Le due sinistre (Rubettino)] e d’altronde continua Saviano, “le sue parole risentivano l’influenza della retorica politica dell’epoca, che era (non solo a sinistra) accesa, virulenta, pirotecnica”.



Purtroppo a sinistra si continua però a tutt’oggi a farsi a fettine, e ciascuno confina “tutto intero” l’altro, nel tratto più stupido (che non di rado poi sfocia anche in violenza di vario tipo) che appunto nell’altro fatalmente scorge.



Non basta purtroppo essere riformisti, essere riformisti veri intendo, se poi si ignora che viviamo in una “democrazia manipolata”, cosa che denunciava il sociologo Luciano Cavalli, negli anni ’60 in un saggio edito dalle edizioni Comunità, di quel pericoloso sovversivo che è stato in vita Adriano Olivetti, e che riprendeva nella sua relazione finale quell’altra pericolosa estremista della presidente della Commissione P2, Tina Anselmi.



Non basta purtroppo essere riformisti, essere riformisti veri intendo, e fare finta di ignorare che da decenni, per non dire anche da un secolo almeno, le tecniche per “sequestrare la democrazia”, a colpi di votazioni legittime, espresse da Parlamenti legittimi, si sono raffinate sempre di più.



Oggi in Italia siamo arrivati al punto che un Parlamento sempre di nominati, una volta elegge un galantuomo Presidente della Repubblica, e un’altra volta dice di credere che Ruby sia nipote di Mubarak, e un’altra volta ancora elegge Presidente di un ramo del Parlamento uno che manda i suoi fraterni saluti a Marcello Dell’Utri prima che sia condannato in appello (ultimo grado di merito) per essere colluso con la Mafia, e un’altra volta nell’altro ramo elegge Presidente uno direttamente sospetto lui di essere colluso con la Mafia.



Anche in un quadro siffatto, vale sempre e comunque il rifiuto della violenza, ma in un quadro siffatto, non è difficile scorgere anche più di 10 votazioni nazionali, regionali provinciali capaci di “imporre democraticamente” come giusto quello che è semplicemente sbagliato, e se non sono i riformisti a fare argine, non possiamo disprezzare con altezzosità che ci provino la FIOM, Don ciottini e no TAV.



I riformisti, purtroppo, da sempre in Italia hanno la capacità di aggiungere solitudine a solitudine, e fra i tanti che ci hanno provato a romperla, Federico Caffè, che appunto l’ha denunciato la “solitudine del riformista”, una mattina se ne è uscito di casa per non tornarci più, tanto era sconsolato.



I cittadini hanno diritto ad organizzarsi in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale, il soggetto sono i cittadini, ma si continua a parlare di crisi dei partiti come fossero loro il soggetto, si tratterebbe di ripartire almeno dal rispetto della sintassi, ma se non ci provano i riformisti, cominciando almeno a chiamare le cose sbagliate con il loro nome, non saranno sufficienti certamente le sagge parole di Roberto Saviano.



Vittorio Melandri

giovanni ha detto...

Caro Melandri, non sottovaluto la genialità di Gramsci, di cui ho letto parecchie cose, ma è stata una genialità negativa. La storia ci dice due cose. Gramsci è’ stato comunista ed il comunismo è stato una iattura per tutti i popoli che l’anno subito: non dubito che non gli si può attribuire la benché minima responsabilità dei crimini compiuti dal movimento comunista internazionale, ma non ci ha certo aiutato ad allontanare da noi l’illusione comunista. Turati è stato un socialista e d il socialismo ha fatto fare passi in avanti giganteschi alla civiltà europea. Dopo di che pensiamo al futuro e smettiamo di buttarci tra i piedi le nostalgie di coloro che sono ancora sentimentalmente legati all’esperienza comunista italiana: la cosa infastidisce chi ricorda quando i comunisti ci dicevano che Stalin era un buon nonno amorevole e che in URSS c’era il paradiso sovietico: i comunisti italiani sono stati al servizio dello stalinismo anche dopo le molteplici rivolte popolari nei paesi satelliti dell’ URSS, sistematicamente soffocate nel sangue. Giovanni Baccalini

domenico ha detto...

L’articolo di Roberto Saviano, di presentazione del libro dello storico e scrittore Alessandro Orsini, dal titolo "Gramsci e Turati" sta facendo dell’icona della lotta alle mafie, il riferimento per il variegato mondo dei riformisti di matrice socialista. L’articolo si intitola “L’elogio dei riformisti”, nel ripercorrere la tesi del libro tende, sul piano storico, a far prevalere le ragioni di questi a danno dei rivoluzionari.

Premetto di non avere letto il saggio di Orsini, e mi limiterò ad analizzare le reazioni all’articolo di Saviano.

segue

domenico ha detto...

Il mondo socialista e riformista, che è, sicuramente, vincente sul piano storico, anche in Italia, oggi, nel nostro paese, almeno, per i suoi più ortodossi intellettuali e i reduci della Prima Repubblica, non trova rappresentanza nel panorama politico. Per i riformisti puri, il PD e SEL sono impastati di post-comunismo, nelle versioni liberista ed estremista, il PSI di Nencini non è all’altezza dei cugini francesi e tedeschi, seconda gamba di un sistema imperniato su un sostanziale bipolarismo.

I socialisti sparpagliati in centinaia di gruppo e associazioni, trovano nelle parole di Saviano un grande momento di visibilità per le loro rivendicazioni. Ma storicamente, come detto, la partita è chiusa. Anche se opinioni più significative della mia, che sono un semplice militante, potranno rilevare che Gramsci è una figura complessa e articolata, per certi aspetti originale nel campo comunista, e sull’altro fronte che il togliattismo si è mosso, in una prospettiva che definire rivoluzionaria rischia di essere ardito, in un mondo diviso a meta dalla Guerra Fredda in un paese fortemente segnato dalla presenza militante della Chiesa Cattolica.

I socialisti italiani sono stati la forza di propulsione di molte riforme della storia della Repubblica Italiana. Dopo l’esperienza del Fonte Popolare, hanno saputo essere marxisti e compiere la scelta del Patto Atlantico. Sui diritti civili sono stati più attivi della Chiesa Rossa, secondo alcuni, ma all’epoca del terrorismo e del sequestro Moro, sono stati i comunisti, ad appoggiare la ragion di Stato della fermezza democristiana. E poi Craxismo e anti-Craxismo…

In più di sessant’anni di Repubblica Italiana, i socialisti e i comunisti sono stati a fianco e contrapposti e se poi l’analisi si allarga agli inizi del 900, al congresso di Livorno, all’emigrazione antifascista degli anni ‘30, alla Resistenza: la partita a scacchi tra riformisti e massimalisti è fatta si singoli passaggi e scelte su cui gli storici continuano a dibattere.

Ho sempre ammirato i ragazzi e i professori di Giustia e Libertà, Carlo Rosselli e gli altri, che cercarono, a partire da un ossimoro tra socialismo e liberalismo, uno spazio eccentrico tra comunisti e socialisti ortodossi con la voglia di unificare forze diverse in un periodo marcato dal Fascismo. L’utopia di un Partito del Lavoro, per l’Italia, è stata di complicatissima attuazione. Ma allo stesso tempo la valutazione che grandi figure di riformisti di sinistra sono stati i segretari, comunisti, della CGIL social-comunista da il senso di un’incontro possibile tra le due storie.

Le valutazioni storiche e storiografiche continuano nelle ricerche e nel dibattito degli storici, al netto da considerazione su comportamenti e atteggiamenti di singoli personaggi la cui tempra è frutto di inclinazioni personali e contesti sociali.

Ma a livello politico, nella proiezione rivolta alla costruzione di una società più giusta per tutti, la questione non si risolve rivolgendo lo sguardo all’indietro.

Oggi, con un’esemplificazione estrema, siamo tutti riformisti. Anche Veltroni e Vendola che oggi si scambiano sprezzanti attacchi.

La sfida però -non so se la retorica sia riformista o massimalista- non è tanto guardare al passato remoto o a quello prossimo, ma è lavorare per un’alternativa di società, seria fondata su solide teorie economiche, capace di prospettare un miglioramento delle condizioni dei popoli della terra, in grado di mettere in moto speranze e nuova militanza.

I ventenni di oggi sono ragazzi, cittadini più o meno attivi in politica, nati quando gran parte della storie delle due sinistre si era già compiuta.
Occorrono parole nuove, modalità di partecipazione nuove, nuove teorie politiche.
Difficile avere certezze. Una convinzione sì. È tempo di domande rivolte al futuro, non di risposte rivolte al passato.



Domenico Siracusano

Responsabile Organizzazione – PD Città di Messina

dario ha detto...

Caro Maurizio

Domenico Siracusano, compagno autorevole del PD, non può fare altro che porre domande rivolte al futuro, perchè il PD è un partito senza radici e senza Storia, in realtà noi socialisti possiamo INTERROGARE IL PASSATO (perchè dicose positive nella nostra Storia ce ne sono e tante e Saviano con il suo bell'articolo ce le indica) per preparare non DOMANDE, bensì PROPOSTE e RISPOSTE per il FUTURO.

Taluni dicono che ormai per il socialismo in Italia non c'è più speranza perchè confondono SOCIALISMO con il PARTITO SOCIALISTA, il socialismo è una IDEA che se opportunamente e correttamente rivisitata non avrà mai una fine, perchè non propone un fine ultimo alla Storia, bensì idee e proposte valide ed utili per affrontare con realismo la vita quotidiana dell'umanità.Mitterand nel 1971 ci insegnò che si può ripartire anche da una crisi quasi irreversibile (quella della SFIO) per ricostruire un grande Partito Socialista

Se il PSI è oggi ridotto ad una presenza larvale non è per colpa del "destino cinico e baro" ma della sua incapacità a RIFORMARSI, il PSI e molti socialisti vivono ancora nel mito del craxismo, che è stato molto ma non è stata tutta la Storia del PSI, come ci dice Saviano dobbiamo ripartire dalla nostra STORIA e dalla nostra CULTURA, che piaccia o no è infinitamente superiore alle altre culture di sinistra, e li sopra, su quella base forte costruire l'AVVENIRE del socialismo in Italia (ed in Europa), è quel che noi del Gruppo di Volpedo diciamo dal 2008, dal Convegno di Galliate che non per nulla trattava di "STORIA ED AVVENIRE"

Il dramma vero è che i socialisti, e lo si vede anche da questo blog, sono capacissimi a dividersi su tutto, a questionare all'infinito su questioni banali e marginali, ma vengono presi da un senso di vertigine senza limite se qualcuno li pone di fronte all'evidenza dei fatti: la cultura socialista ha vinto, purtroppo sono i socialisti che non se ne rendono conto e preferiscono inseguire ipotesi politiche pompate dai media (da Vendola, alla FIOM ai vari massimalismi) che stanno andando progressivamente verso la "dissolvenza" per mancanza di proposte in positivo, sono solo capaci a dire dei NO, purtropo per loro il Governo Monti sta imponendo un'agenda politica in cui occorre anche saper dire dei si e fare delle proposte alternative, fare in sostanza i Riformisti, trattare, trattare, trattare ma poi arrivare ad un accordo. (Detto per inciso l'altro ieri la Camusso si è fatta dare un mandato molto ampio a proseguire la trattativa con la Fornero, questo si che è sindacato riformista)

L'articolo di Saviano, su Repubblica, un giornale ferocemente antisocialista, segna un passaggio di epoca, anche la Corazzata Mauro si sta rendendo conto che all'idea Liberal-democratica impersonata dal Governo Monti può essere contrapposta solo un'altra idea forte: il Socialismo Riformista. Sei mesi fa il libro di Orsini non sarebbe neppure stato preso in considerazione, oggi l'hanno fatto recensire da uno dei loro migliori collaboratori (forse il migliore in assoluto) e delle migliori menti che esistono oggi in Italia: Roberto Saviano.

Meditate gente, meditate

Dario Allamano


PS Tanto per dare un altro segnale del tempo che cambia:

domenica scorsa il Riformista ha pubblicato un articolo di Orlando, il quale (magari per negarla) ha evidenziato una questione importante: la Sezione Italiana del PSE, è una definizione che sinora ha girato solo all'interno del Gruppo di Volpedo, la sua prima formulazione è sul Patto di Volpedo 3, ma è significativo che la parte "socialista" del PD l'abbia notata e discussa.

mario ha detto...

Il 29-02-2012 18:47 MARIO francese ha scritto:

Concordo pienamente con Felice Besostri. In aggiunta rinnovo l'invito rivolto a tutti a non sopravvalutare eccessivamente ed emotivamente il libro di Orsini che non è certo un'opera "fondamental-epocale" per la Sinistra, tantomeno per quella socialista. Basta sfogliare le prime pagine per rendersi conto che i complessi argomenti e personaggi in discussione (specie Gramsci) sono affrontati con molta superficialità e spesso tagliati con l'accetta. Vorrei sbagliarmi ma nel libro in questione (e nello straordinario ed insolito battage promozionale di cui è oggetto) sento puzza di operazione strumentale volta a rinfocolare antiche ed oggi perverse divisioni a sinistra in un momento cruciale per la storia del Paese (vi dice nulla il dibattito in corso sull'art. 18 e sul modello Marchionne?). Sono certamente opportune alcune riflessioni proposte da Orsini, ma sono lanciate nel momento meno opportuno.....ed anche più sospetto!
Mario Francese

dario ha detto...

Caro Francese

AH eccola la spiegazione: IL COMPLOTTISMO.

Chissà perchè quando un libro affronta finalmente in modo coraggioso le due culture fondamentali (nel bene e nel male) della sinistra italiana diventa un'opera "non fondamentale", non sarà certo un libro che dirimerà definitivamente la lunga lotta a sinistra, che potrà essere chiusa solo con una chiara ed onesta ammissione di colpa da parte dei portatori di quella cultura che a partire dall'epiteto di social-fascisti ha traversato tutto il secolo XX e tutt'ora pervade il modo di far politica di una buona parte dell'establishement di sinistra.

L'accusa che Vendola fa a Veltroni "sei di destra" è chiaramente un residuo di quel modo di parlare e fare, di chi tende ad emarginare un pensiero diverso dal suo, i termini violenti ed arroganti con cui i NOTAV accusano chi non la pensa come loro sono un'altra faccia della medaglia, così come l'accusa che ventanni fa venne rivolta ai socialisti tutti ed in quanto tali di essere dei ladri.

Non bisogna aver paura, e Saviano lo fa con molto coraggio, di dire le cose come sono, con chiarezza e lealtà, quell'articolo e quel libro squarciano finalmente il velo di una ipocrisia che dura da un secolo, e che nessuno sinora ha mai avuto il coraggio di affrontare. Che un socialista come te tenti di derubricare un tema importante come quello della cultura libertaria dei socialisti rispetto alla cultura autoritaria dei comunisti mi fa tanto pensare alla Sindrome di Stoccolma, dell'ostaggio che si innamora del suo carceriere.

Purtroppo oggi a sinistra prevale ancora una cultura che fa di chi la pensa in modo DIVERSO un nemico da abbattere, non un avversario con cui confrontarsi per confutare le sue idee e questa cultura prevarrà sino a che i socialisti avranno paura di rivendicare la propria (passami il termine gramsciano) egemonia culturale.

Fraterni saluti

Dario Allamano

giovanni ha detto...

Caro Dario,
non ho letto questo libro di orsini, ma ti posso assicurare che il precedente, sul terrorismo e gli anni '70, era davvero discutibile.
In ogni caso, qui non si tratta di complotto. Chi fa politica, sa benissimo che la lotta per il potere (l'egemonia....) passa anche attraverso una lotta culturale: lo sapevano Gramsci, Amendola, Togliatti, Craxi (il suo saggio su Proudhon), lo sa persino Veltroni. Lanfranco Turci ha scritto cose molto interessanti al proposito su facebook e potrebbe utilmente intervenire.
Come ha sottolineato anche Giuseppe Tamburrano, contrapporre, oggi, Gramsci a Turati non ha davvero senso. E' chiaro che ci servono entrambi, come hanno capito benissimo i compagni della FGS di Salerno che inaugurano in questi giorni un loro circolo che si chiama "Odio gli indifferenti", con la foto di Gramsci nel simbolo.
Inutile dire, poi, che Gramsci ci serve, ancora oggi, molto più di Veltroni. Uno si occupò sempre di cose serie, l'altro di.... figurine. Dimenticavo: uno dei due non è mai stato comunista e lo stanno aspettando, da qualche anno, in Africa.
Ciao
Giovanni

lanfranco ha detto...

su facebook si è sviluppato un dibattito molto ampio. Io sono critico
di quell'articolo che, ridotto all'osso e prendendolo solo nella sua
parte buona,mi parrebbe una riproposizione non inutile, ma neanche
decisiva , del metodo voltairiano. Do' per scontato che questo non sia
più un tema divisivo a sinistra,escluse frange estreme. Penso invece
che oggi il problema sia contrastare la dittatura del pensiero unico.
Quanto a ciò possa servire un rilancio puramente verbale del
riformismo, dopo lo snaturamento che questo termine ha subito negli
ultimi 20 anni, mi lascia francamente dubbioso. Ancor più quanto possa
servire una caricatura del pensiero di Gramsci. Infine io penso che
non abbiamo bisogno di pantheon in cui mettere le nostre icone,anche
perchè ciò che dà un senso alla variegata area di sinistra e
socialista in cui in tanti ci riconosciamo,al dl la' delle militanze
presenti e passate di ognuno di noi, e' la ricerca di una una analisi
e di una risposta alla attuale crisi del capitalismo che abbia senso
chiamare Socialista e che non puo' certo essere trovata fra i
contendenti del congresso di livorno,

luciano ha detto...

Caro Giovanni, caro Dario,
tanto per confermare il mito dell'individualismo socialista, la mia
posizione è diversa da entrambe le vostre.
Non ho ancora letto il libro di Orsini, ma ho molto apprezzato l'articolo di
Saviano, che mi ha quasi commosso tanto era evidente il desiderio di
risarcire il socialismo turatiano di decenni di calunnie, di dileggi e di
oblio. L'attualità del socialismo riformista a me pare grandissima, sia in
rapporto alla banalizzazione e spesso all'adulterazione del termine
"riformismo" che caratterizza questi anni (il riformismo asessuato e
nuovista che fonda il Pd, il riformismo come deregulation liberista e/o come
smantellamento dello stato sociale, sbandierato dalle varie destre
populiste, sedicenti liberali, tecnocratiche ...), sia in rapporto ai
rigurgiti di ribellismo movimentista che spesso ancora avviluppano quel che
rimane della sinistra, condannandola ad un'eterna adolescenza (NoTav e
compagnia).
Non credo affatto che sia un complotto (un complotto filo-socialista su
Repubblica, poi !), ma se lo fosse certo non lo combatterei.
Al tempo stesso non credo affatto che la definizione di Veltroni sfuggita a
Vendola sia assimilabile alle antiche scomuniche comuniste contro i
socialisti.
Veltroni opera da anni per convertire la sinistra di governo nell'esecutrice
più zelante dei programmi della destra.
E lo fa con grandi capacità di dissimulazione, degne di uno Zelig. Si è
finto addirittura leader di un partito del socialismo europeo (i DS), si è
finto condottiero di una crociata anti-Berlusconi che era invece un
regolamento di conti nello schieramento perdente ( politiche 2008).
Poiché pensa e dice esattamente le stesse cose che pensa (oddio pensa ...) e
dice Rutelli, col quale non a caso ha cofondato un partito a immagine e
somiglianza di entrambi, non si capisce perché non vada con Rutelli nel
terzo polo. O meglio, lo si capisce benissimo: vuole portare a termine,
dall'interno del PD, la distruzione di quanto rimane dell'identità di
sinistra in quel partito.
La battuta di Vendola potrà essere inopportuna - il travaglio del PD forse
si sviluppa meglio senza interventi esterni - ma coglie una pura e semplice
verità.

Luciano Belli Paci

_____

mario ha detto...

Caro Allamano,
perdonami, ma noto che hai risposto alle mie osservazioni-impressioni in maniera troppo precipitosa e schematizzante (a parte le singole parole scritte in maiuscolo e cioè urlate). Prova a rileggermi con più calma e attenzione e meno pregiudizio. Potrei anche aver sbagliato analisi (anche se mi pare di non essere il solo a pensarla in un certo modo sulla "questione Saviano-Orsini"), ma di certo, a differenza tua, non ritengo di possedere la verità in tasca e sono sempre disposto a fare ammenda, qualora sia il caso di farlo. Per il resto credo di essere stato anticipato nella replica a te dai condivisibili interventi di Giovanni Scirocco e Lanfranco Turci i quali, forse meglio di me, hanno evidenziato ciò che andava e va detto nella discussione che stiamo affrontando.
Con calmi, dialoganti e fraterni saluti socialisti.
Mario Francese

mario ha detto...

Ok, provo a riformulare meglio il mio precedente intervento. Insomma, alla fine della fiera, come ho già riportato su FB, qui ed ora, in Italia e a Sinistra, ci sono determinanti questioni aperte sull'art.18, sulle problematiche del lavoro e della sua ridefinizione contrattualistica, sull'atteggiamento da assumere nei confronti del governo Monti, sui modi di intendere e fare economia e fiscalità in tempi di crisi ormai globale.....e chi più ne ha, più ne metta.
Ma Saviano con Orsini in questo stesso momento preferiscono menare il can per l'aia, ri-spingendo il confronto a Sinistra sui "campi ancora minati" del '900!
Ora, al netto dei nostri scontati complimenti "socialisti" a Saviano/Orsini per la loro, benché estemporanea ed improvvisa, testimonianza su Turati, vi chiedo se è lecito oppure no porsi qualche piccolissimo dubbio sull'opportunità di questa sortita considerate le sue possibili ricadute sull'attuale situazione politica, specialmente a Sinistra.
Spero di essere stato più chiaro e meno.... "dietrologico-complottista"!
Mario Francese

peppe ha detto...

sicuramente il libro di questo Orsini sarà un bluff (mi fido di Giovanni)
sicuramente Saviano non è il più indicato a parlare di certe cose. ma mi
pare che la sua critica a Gramsci è contestualizzata. Ma su una cosa Saviano
ha ragione: l'intolleranza che regna in certa sinistra. Sono d'accordo con
tamburrano, Gramsci e turati ci srvono entrambi. Ma perchè ci servano
entrambi occorre che la tradizione socialista sia conosciuta nella sua
esatta dimensione.

claudio ha detto...

Nel clima di spaesamento in cui viviamo, una piccola lezione di tolleranza
Turatiana, sostenuta con equilibrio e moderazione da un giovane e coraggioso
scrittore, era più che necessaria, viste le reazioni al suo articolo, a
volte intolleranti, a volte tortuose, di uomini che mal sopportano il
pensiero libero. Mi ha sorpreso, in tempi di recessione democratica, morale
e laica, la lucida valorizzazione del metodo riformista (che separato dal
termine socialista storicamente e politicamente perderebbe il suo senso
originario) e lo svelamento, con pochi ma efficaci riferimenti, della
durezza, dell'aggressività, dell'inimicizia necessaria al metodo
rivoluzionario, coltivate anche nella fase "riformista" successiva in seno
al comunismo, in quanto elementi fondamentali di identità ideologica.

Claudio Marra

felice ha detto...

Tanto per chiarire inizio con una citazione forte di Alain Touraine, uomo
sicuramente di sinistra e alla ricerca di alternative ai pensieri dominati,
basta ricordare le sue critiche ai regimi comunisti, quando erano ancora in
auge.. Diceva Alain se si deve usare il termine socialdemocraticoo o comunsta
come un insulto preferisco il primo perché gronda di meno sangue. A mio avviso
si fa confusione tra comunusmo e socialismo come ideologie o di socialisti e
comunisti come persone anzi compagni. segue

felice ha detto...

Tra l'altro anche a parlarne come
ideologie ci sono tannte differenze tra il comunismo e il socialismo: pensate a
Rosa Luxemburg che può essere rivendicata dagli uni e dagli altri e le cui
differenze con Lenin sono evidenti e, a mio avviso, superiori a quelle con
Kautsky e che fu ammazzata quando al governo della germania c'era il
socialdemocratico Noske. Tra i tanti filon possibili del socialismo e del
comunusmo 2 si sono solidificati e su questi si possono fare confronti e
scelte, da un lato il comunismo sovietico e dall'altro le socialdemocrazie e il
laburismo. Il Comunusmo è morto, si è autodissolto con il fallimento del
tentativo riformista di Gorbaciov. Un fallimento senza appello, tanto che
nssuno lo propone più. segue

felice ha detto...

Dove il partito comunista non è fallito, nella Cina
popolare,quel modello di società vs bene per capitalisti amici del regime in
quanto possono sfruttre senza limite gli operai e guadagnare tanto dividendo i
guadagni con il dirigente comunista di riferimento. Le socialdemocrazie portano
al loro ativo il welfare state e e nelle società dove hanno regnato( per lo più
vivono in monarchie!) più a lungo hanno podotto società dove minore è la
forbice tra i più poveri e i più ricchi. Altro dato di superiorità è che quando
i socialdemocratici passano all'opposizone, cioè perdono il potere, non si
riesce a smantellare del tutto lo stato ociale. Quando i partiti comunisti
perdono il potere abbiamo la devastazione sociale più total, con protagonisti
in una destra i cui personaggi non vengono tranne i pochissimi casi dalla
disidenza o dall'esilio, ma dalla nomenklatura del rehime crollato, che spesso
si sono appropriati dei beni collettivi, quando non erano agenti dek KGB. Se
parliamo di comunisti e socialisti, come person, ioè compagni, il discorso
cambia, perchè i sono tante storie individuai, che si assomigliano, ma nei
momnti decisivi hanno comportamenti che li raggruppano. Io sono interessato
alle pesone e allora con comunisti ideali mi trovo benissimo e con socialisti
che hanno smarrito ilk senso della loro appartenenza alla sinistra( per esempio
i "socialisti" del PdL e quindi del PPE, malissimo. Mi trovo anche male con
quelli ufficiali del PSI, che hanno chiesto la mia espusione per aver scelto
Pisapia fin da subito invece di Boeri e per essermi rifiutato di votare PD (
Santa pazienza, come potevo ero uscito dai DS al congresso di Firenze perché
contrario alla formazione del PD, come facevo a votarli!). I socialdemocratici
uso questo termine, che pure era bandito all'interno del PSI anche dopo la
svolta autonomista perché è un segno del mutamento dei trempi. Come insulto è
scomparso. n settori di sinistra rimane un antisocialismo primario, come in
socalsti un anticomunismo dello stesso livello, ma ridotto a giudizi mirali,
non per questo meno gravi. Sono poi sorprendenti quando provengono da membri
del PD. Quando c'è un fallimento deol PD più evidente di altri e cioè
l'incapacità di fondere i riformismi, per il semplice fato, che il primo
riformismo di sinistra, quello socialista è rimasto fuyori, simboliucamente
quando giorgio ruffolo si è ritirato. Quindi ora i compagni si scelgono per
quel che fanno e propongono, non per quello che sono stati e ciò in ogni
direzione: vale per chi ha votato Forza italiae per chi è stato comunusta
settario, se ora non lo sono più e si misurano corentemente e quotidianamente
con i problemi di chi la inistra dovrebbe rappreesentare. Ma non basta avere
le stese idee sul deficit statale per essere compagni, bisogna anche avere
valori cobndivisi e appartenere, con spirito laico, ad una famiglia politica,
che in Europa non può che essere quella socialista, da cambiare e riformare, ma
lì è il nostro posto. Per il resto consiglio a tutti di leggere Silone e a
quanti scriveva nel 1944 sulle ragioni per cui le ragioni della divisuoine tra
socialisti e comunitiu non c'rano più. Purtropo molti de suoi critici non se ne
sono accorti. Ma proprio Silone è il simbolo dl superamento. Se si ragiona per
etichette un funzionario dell'Internazionale Comunista non poteva avvicinarsi
al Socialismo. E Macaluso dove lo mettiamo, con lui mi intendo meglio che con
Cicchito, eppure con il secondo sono stato più anni nllo stesso partito.

dario ha detto...

Caro Luciano

concordo con te su tutto quanto scrivi, compreso il giudizio su Veltroni, quel che a me pare ancora oggi francamente discutibile nel modo di fare politica a sinistra è il metodo di delegittimazione di coloro che non hanno le nostre stesse opinioni. Veltroni ha molte colpe, compreso l'aver avviato l'affossamento di Prodi a fine 2007, ma non si può e non si deve appiccicargli etichette del tipo "è di destra", bensì occorre saper confutare il suo pensiero politico contrapponendogli un progetto politico concreto, questo è il metodo che contraddistingue la cultura socialista dalle altre.

Capisco che chi proviene da una cultura diversa dalla nostra ha qualche difficoltà ad addentrarsi in un percorso per lui irto di ostacoli, il ricercare nella propria Storia le possibili risposte alle deviazioni ed alle derive di una sinistra senza cultura e senza progetto è per noi più facile rispetto a chi viene dal vecchio PCI, ma noi socialisti oggi dobbiamo guardare con molta attenzione alla nuova generazione, quella nata dopo il 1992, il nostro riferimento (e lo dice anche Saviano) sono loro, sono i giovani privi di una qualsiasi bussolo e privi di qualsiasi speranza per il futuro. Se ci fermiamo a pensare che il socialismo nel XXI secolo si edifica con chi si è formato nelle stanze dei vecchi partiti si rischia di restare schiacciati su un "eterno presente" e di portare anche una possibile nuova "sinistra socialista" su un sentiero senza sbocchi.

L'alternativa al "pensiero unico" non sta in un generico riformismo di matrice vagamente socialista, ma nella ricostruzione di un pensiero "nuovo" per la sinistra italiana: il socialismo democratico, liberale e democratico. Non è un caso che nel PD sta emergendo, magari con alcuni limiti, l'idea di una "corrente" che si richiama al socialismo, non è un caso che Repubblica pubblica (con quella evidenza) l'articolo di Saviano.

Gli intellettuali più accorti e che analizzano con onestà il fallimento del passato ventennnio, iniziano a comprendere che l'unica alternativa vera al pensiero liberista (impersonato nel governo in carica da Passera) ma anche al pensiero liberal-democratico (impersonato dal Governo in carica da Monti) sta nel riesumare quello che tutti pensavano fosse ormai un cadavere. Nella nostra Storia esistono gli anticorpi per combattere questa crisi e per proporre delle vie d'uscita concrete e praticabili. Saviano ce ne indica una, ma ne esistono molte altre (Buozzi, Rosselli, ecc)

Quella che si sta aprendo è una buona discussione, che forse potrà consentire ai socialisti di superare il loro atavico "individualismo", è tempo di ricercare una sintesi che riconduca tutti i filoni in cui il socialismo si è rappresentato in Italia (liberale, democratico, riformista, ma anche cristiano sociale ed anche amendoliano) verso una Unità politica che consenta la nascita in Italia di un vero Partito dei Socialisti Italiani, è un lavoro che il Gruppo di Volpedo ha iniziato a fare, è un lavoro che però deve avere, e con nettezza, quale suo fondamento un'Idea di Socialismo che partendo dalla Storia sappia costruire un Avvenire credibile per le nuopve generazioni.

Fraterni saluti

Dario Allamano

dario ha detto...

Caro Mario

dopo Turci e Scirocco è intervenuto Luciano Belli Paci che come vedi la pensa diversamente da me e da Scirocco, non esiste nella cultura socialista un qualcosa che, come dici tu, "andava e va detto" sarebbe un "neo pensiero unico della sinistra". L'articolo di Saviano, piaccia o no, ha indicato ai giovani italiani la luna, evitiamo di analizzare la forma del dito di Saviano o di Orsini.

Fraterni saluti

Dario

giovanni ha detto...

Cari Luciano e Dario,
ma davvero credete che i liberisti (americani ed europei, ormai è la stessa
cosa: basti pensare agli attacchi scomposti di Marchionne al welfare, un
signore che non ha nessun titolo per parlare, non fosse altro perché paga le
sue poche tasse in Svizzera) facciano differenza tra socialismo e comunismo,
Gramsci e Turati, riformisti e massimalisti? Il loro progetto ormai è
chiaro: riportare i lavoratori alle condizioni dell'Ottocento. Se ci va bene
avremo Bismarck, se ci va male Bava Beccaris. Per questo, Genova 2012 deve
essere il nostro ritorno al futuro (chiamando tanti a partecipare da
Livorno, in tutti i sensi).
Un caro saluto
Giovanni

antonio ha detto...

Gramsci cambiò il suo atteggiamento. Dell'atteggiamento settario fino a 1926 c'è nei "quaderni" un'analisi critica e fu proprio questa posizione a determinare
l'isolamento di Gramsci nel PCI. La testimonianza di Pertini è chiarissima: quando lo incontra nel carcere di Turi gli si rivolge con il "lei", Gramsci gli risponde risentito
che sono entrambi in carcere per lo stesso motivo e possono darsi del "tu"; Pertini, che in Francia ha ben conosciuto la posizione del PCI, gli ribatte che i suoi compagni
comunisti ritengono che i socialisti siano peggio dei fascisti (socialfascisti). A questo punto Gramsci sbotta, sono tutte sciocchezze.
Il problema non è il Gramsci di una stagione, che rivede la sua posizione con coerenza e trasparenza intellettuale; il problema vero è che, la prassi è
rimasta la stessa e serve a mantenere insieme il privilegio esistenziale della Nomenklatura e cioé che le regole e l'obbligo di coerenza valgono per te e non per me, ( e
questo Gramsci lo rifiutava in pieno).
Pecchioli teorizzava la diversità comunista dichiarando apertamente che una legge fatta da un governo senza i comunisti meritava il massimo vituperio, la stessa legge
fatta da un governo con presenza comunista era il massimo della giustizia democratica. Peraltro G. Lukacs, famoso filosofo marxista ungherese scriveva "la verità fa parte
della tattica e la nostra tattica cambia sempre. L'importante è la conquista del potere da parte del partito comunista". Tutto rimandato al dopo rivoluzione intanto ci possiamo
permettere di tutto. Questo è il metodo che noi socialisti riteniamo inapplicabile e alla fine si potrebbe dire che anche Gramsci, nel suo isolamento politico lo ritenesse tale.
Il problema vero é che una Nomenklatura senza rivoluzione non può sfuggire alle teorie di Pareto così volgarizzate: chiunque si inventa qualsiasi cosa per trovarsi dalla parte
dove il pane è imburrato; cosicchè se il partito rivoluzionario sparisce, puoi diventare liberista, amico dei "capitani coraggiosi", volontario in africa senza andarci, insomma
la prassi originaria ti permetterà di essere sempre convinto di essere, non solo nel giusto, ma anche di essere il migliore.
E' questo il metodo che non porta da nessuna parte e forse Saviano voleva dire solo questo.

Antonio Autuori

luca ha detto...

Salve a tutti,

mi chiamo Luca Bufarale, ho ventotto anni, sono un dottorando in storia contemporanea che si occupa, almeno per il momento, di Riccardo Lombardi, seguo da molto, grazie a Giovanni, il blog del circolo Rosselli e questa è la prima volta che intervengo. Lo stimolo mi è venuto leggendo il dibattito suscitato dal libro di Alessandro Orsini su Gramsci e Turati e dall’elogio sperticato del libro da parte di Roberto Saviano su “Repubblica”. Non ho letto il libro in questione: dello stesso autore avevo letto tempo fa qualche cosa su Bruno Rizzi e sulle origini del capitalismo e non ne ebbi un’impressione molto favorevole: mi sembrò un po’ il tipo di autore poco propenso a contestualizzare e, di conseguenza, pericolosamente inclinante verso la pamphlettistica piuttosto che verso la produzione storiografica.
segue

luca ha detto...

Intendiamoci: quello del pamphlet è un nobile genere letterario, anche se, soprattutto negli ultimi tempi, assai abusato. La storiografia, però, credo sia un’ altra cosa.
La lettura della recensione di Saviano mi sembra confermare indirettamente questa mia impressione su Orsini, non dandomi, a differenza di ciò che spera lo scrittore napoletano, grande voglia di prendere in mano il libro. Scorrendo però già solo le prime righe della recensione non ho potuto fare a meno di avvertire una sensazione di déja vu. segue

luca ha detto...

Parliamoci chiaro: la contrapposizione che viene riproposta tra Turati e Gramsci non è nuova, se ne potrebbe fare anzi la storia, che rimonta certamente a prima del famoso “vangelo socialista” di craxiana memoria. Idem per la filiazione Gramsci- Lenin-totalitarismo sovietico. Appunto: FARNE LA STORIA . Perché oggi Orsini sente il bisogno di scriverci un saggio (meglio: un pamphlet) dandola in un certo senso per acquisita e, soprattutto coma mai Saviano avverte la necessità di fondare su questa contrapposizione Turati vs Gramsci, che anche lui sembra dare per incontrovertibile, addirittura la differenza tra una sinistra “per bene”, riformista, pluralista, aperta al confronto, e una non ben precisata sinistra estremista, intollerante, tendenzialmente dittatoriale anche quando si presenta “movimentista”, che scava nel torbido (tanto peggio tanto meglio), antiamericana a priori ecc… segue

luca ha detto...

Perché uno studioso trentaseienne (Orsini) e un giornalista e opinion maker poco più che trentenne sentono il bisogno di fondare la loro (la nostra?) identità politica su una contrapposizione vecchia di più di ottanta anni, quando invece, come si riportava nella discussione, un anziano storico e militante socialista come Giuseppe Tamburrano afferma che questa polemica non ha più senso?
segue

segue ha detto...

Questo, secondo me, è un po’ il punto. La lotta delle idee (Saviano, che dice di amare tanto il dissenso, mi consentirà di utilizzare questa espressione) si è sempre rifatta alle polemiche del passato ridando ad esse una vernice di attualità. Ora a me non interessa minimamente sapere se aveva ragione Turati o Gramsci (semmai, posso essere interessato a ricostruire le ragioni da essi sostenute nella lotta delle idee di ottanta anni fa), interessa di più sapere perché Saviano rispolvera il truce linguaggio di qualche passaggio di articolo di Gramsci (decontestualizzato da tutto il resto) per fondare la sua distinzione tra sinistra “buona” e sinistra “cattiva”. Io, per esempio, che non condivido quasi nulla di quanto Saviano scrive (anche su temi come la lotta alla mafia, per quel pochissimo che ne so), che ho una posizione opposta alla sua sulla questione palestinese e che ritengo gli USA una potenza imperialistica, sono per questo etichettabile come tendente all’intolleranza, falso profeta e amico di Hamas e magari di Raul Castro? Tracciare differenze di carattere MORALISTICO (Gramsci è di per sé tendente all’intolleranza perché comunista, Turati alla libertà perché "riformista" termine che peraltro lui non era solito utilizzare) tacendo completamente sui motivi POLITICI delle divergenze tra leader politici partiti o tendenze differenti è non soltanto un’operazione storiograficamente sbagliata, ma porta a dividere la gente in “buoni” e “cattivi” senza dare la possibilità di discutere sui motivi del dissenso, in fondo un’operazione non molto diversa da quella che Saviano e Orsini rimproverano a Gramsci e a tutti i suoi “figli” e "nipoti".

Ah, per inciso: Riccardo Lombardi, al congresso nazionale del PSI del maggio 1949, che decretò per pochissimi voti la sconfitta della mozione sua, di Foa e di Jacometti e la vittoria di Nenni e Morandi, dice ad un certo punto:
“Io dico un paradosso che forse vi scandalizzerà. Se oggi guardo indietro, vedo che all’epoca della scissione di Livorno, e notate che anche allora ero personalmente dello stesso parere, non i socialisti avevano ragione, ma i comunisti, non D’Aragona aveva ragione, ma Gramsci. Se quella scissione c’ è stata se oggi anch’io penso che un suo superamento è avvenuto attraverso la storia del movimento operaio di questi ultimi anni, io penso altresì che effettivamente ai termini e ai motivi della scissione di Livorno, giustamente superati, altri motivi si siano sostituiti che hanno gravato e gravano duramente sullo sforzo unitario della classe operaia, motivi che noi dobbiamo individuare perché ci siano di norma per operare.
La ragione valida che oggi giustifica, triste giustificazione, la permanenza in Italia di due partiti della classe operaia è determinata da un evento che noi tutti reputiamo un evento nefasto per il mondo, ma che è quello che è, perché noi non possiamo cambiare la storia: il fatto che la rivoluzione d’ottobre non si sia potuta estendere al di là dei confini dell’Unione Sovietica, il fatto che la rivoluzione proletaria non abbia passato le frontiere di un paese, sia pure di un grande paese […]è quel fatto che ha determinato, specie dopo l’ottavo congresso dell’internazionale comunista una spaccatura sulla quale si basa il dissenso fra partito socialista e partito comunista”. (Lombardi, scritti politici, vol. 1°, pp. 154 – 155.)
Insomma: Lenin non è la stessa cosa di Stalin, Gramsci non è lo stesso che Togliatti, D’Aragona con Lombardi c’entra ben poco, l’URSS del 1917 non è la stessa del 1949 e la storia è per fortuna più sfaccettata e interessante di quella che ci presentano Orsini e Saviano. Quanto alla polemica politica che usa il passato se all’interno del PD o di SEL o della FdS non hanno idee o progetti a sufficienza e vogliono rispolverare Gramsci e Turati per scambiarsi qualche fendente facciano pure…

Vi ringrazio per l’attenzione.

Luca Bufarale.

paolo ha detto...

Tutte le teorie sono giuste. Lombardi del 46 non era tra l'altro il Lombardi del 63 o del 76.

Ma il problerma che rimane è quello posto da TERRACINI E RAVERA che mi pare si voglia dimenticare AVEVA RAGIONE TURATI!

Noi cosa rispondiamo (seppur sempre con la testa rivolta all'indietro anziche affrontare i problemi come appunto Turati e Lombardi fecero)?

Grazie e buon giorno a tutti. Paolo Mercanzin

peppe ha detto...

non imbrogliamo le carte. Si legga il Lombardi del dopo 56 e si vedrà in che senso va l'evoluzione del pensiero del grande socialista- Lombardi afferma nel 1979 in un dibattito in Mondo Operaio : quando ero giovane tutto potevo immaginare tranne un governo totalitario che non fosse di destra. Dopo la storia mi ha ha fatto capire che esiste ed è esistito anche un totalitarismo di sinistra che ha la sua radice filosofica nel mito della "società omogenea" ipostatizzata dall'interpretazione leninista di Marx. Il pluralismo infatti non ha senso in una società che pretende di aver risolto tutti i conflitti e le contraddizioni che comunque continueranno ad esistere anche dopo il superamento del capitalismo" Più chiaro di così....e comunque Terracini mi pare che abbia posto una pietra tombale su chi avesse ragione nel 1921. Il Gramsci che ha fatto storia è quello dei "Quaderni dal carcere" che è successivo al 1929

peppe ha detto...

non imbrogliamo le carte. Si legga il Lombardi del dopo 56 e si vedrà in che senso va l'evoluzione del pensiero del grande socialista- Lombardi afferma nel 1979 in un dibattito in Mondo Operaio : quando ero giovane tutto potevo immaginare tranne un governo totalitario che non fosse di destra. Dopo la storia mi ha ha fatto capire che esiste ed è esistito anche un totalitarismo di sinistra che ha la sua radice filosofica nel mito della "società omogenea" ipostatizzata dall'interpretazione leninista di Marx. Il pluralismo infatti non ha senso in una società che pretende di aver risolto tutti i conflitti e le contraddizioni che comunque continueranno ad esistere anche dopo il superamento del capitalismo" Più chiaro di così....e comunque Terracini mi pare che abbia posto una pietra tombale su chi avesse ragione nel 1921. Il Gramsci che ha fatto storia è quello dei "Quaderni dal carcere" che è successivo al 1929

Giovanni B. ha detto...

A me non piacciono le dissertazioni via mail e, dunque, sarò conciso come sempre. Nel 1949 il comunismo si era già dimostrato una sorgente di regimi orribili. Meno male che la rivoluzione russa non si estese oltre i confini dell’URSS, se no poveri anche noi oltre ai popoli dell’est-europeo! Nel 1949 erano proprio fuori strada sia Nenni che Lombardi, poi si ripresero quando cadde loro addosso, per merito di Kruscev, l’immagine che si erano fatta del mondo comunista. Nel 1949 la ragione stava dalla parte dei partiti laburisti e socialdemocratici europei. Cercare di accreditare oggi posizioni meritorie dei partiti che fecero parte del fronte popolare e degli esponenti che li diressero mi sembra molto sbagliato, oltre che perfettamente inutile. Cari saluti. Giovanni Baccalini

Giovanni S. ha detto...

Caro Giovanni,
diciamo almeno che Lombardi nel 1948-49 aveva capito qualcosa di più di Nenni sulla reale natura della politica di potenza dell'URSS (basta leggere la polemica di Capodanno con Morandi). In ogni caso, resta la lapidaria frase da lui pronunciata negli anni '70: il 18 aprile ci ha salvato da noi stessi.
Un caro saluto
Giovanni
PS Orsini è un sociologo e non uno storico. E infatti la critica principale che gli rivolge D'Orsi è proprio quella di mancata contestualizzazione

roel ha detto...

A proposito della reazione di D'Orsi nei confronti dell'articolo di Saviano
sull'opera di Orsini ( "Gramsci e Turati"), e, tenendo conto anche dei molti
interventi riguardanti l'argomento, c'è da dire che tutte queste esternazioni
di consenso e/o di dissenso rappresentano , ove ce ne fosse stato bisogno, la
prova provata di quanto importante sia lo spirito di tolleranza e la libertà di
pensiero e di opinione.
Se ciò rappresenta un valore idubitabile, non si può negare ad alcuno in
piena libertà di coscienza, di approvare o dissentire, avendone tutto il
diritto come giustamente sosteneva Turati al di là di ogni dogmatismo
liberticida e ideologicamente dittatoriale e burocratico-repressivo.
Circa l'accusa di "mancanza di contestualizzazione", giustamente è lo
stesso Orsini a ribadire lapidariamente che "il contesto in cui operarono
Gramsci e Turati" era lo stesso per entrambi, per cui le differenze,
ovviamente, riguardano le diverse scelte fatte da ciascuno.
L'unico appunto che si può fare a Saviano non è quello di aver espresso con
la recensione del libro di Orsini, le proprie opinioni, esercitando un
innegabile diritto, bensì le sue valutazioni limitative su Gramsci, nel
richiamare solo gli atteggiamenti e gli orientamenti negativi del suo pensiero
e trascurando, volontariamente o non, la ricchezza dei suoi sviluppi successivi
che, come sottolinea Besostri, rappresentano la parte migliore, purtroppo
venuta alla luce nei "Quaderni" durante gli anni della detenzione nel carcere
di Turi.
Che la schiera dei socialisti riformisti, gradualisti, libertari,
tolleranti, abbia avuto ragione, lo attesta la storia e lo stesso evolversi
dell'ex-Pci verso quelle forme di moderatismo che autorizzano legittimamente a
dire che i Turati, i Rosselli, i Matteotti, ecc., avevano visto giusto.
Giudizio questo che trova avallo anche nei cambiamenti di opinione e di
pensiero che riguardarono tanti comunisti autorevoli, quali per es. Gide,
Silone e lo stesso Gramsci il quale ebbe modo di sperimentare sulla propria
pelle l'isolamento che subì per aver manifestato il proprio dissenso nei
confronti dello stalinismo che come Saturno stava divorando i figli della
rivoluzione.
I "Quaderni" se da una parte non rappresentano una svolta radicale,
certamente testimoniano una dimensione più evoluta in senso democratico del
pensiero dell'Autore.
Anche oggi conoscere le opere di Gramsci, di Silone, di Rosselli, di Gobetti
o di Calogero, non può che costituire un arricchimento politico-culturale e
spirituale.
Il Gramsci che sosteneva la necessità della "rivoluzione culturale e morale",
va considerato un richiamo di grande attualità nell'epoca della partitocrazia,
dell'affarismo e degli intrallazzi. Altrettanto valore didascalico assumono i
messaggi che ci vengono dai personaggi citati, non ultimo quello di Guido
Calogero che coniugava e armonizzava inscindibilmente socialismo e libertà.
Infine voler mettere in dubbio le conoscenze di Saviano su mafia e camorra,
nello stesso momento in cui si dichiara il "poco che se ne sa", è veramente un
paradosso inaccettabile. Un saluto, Roel.

giovanni s. ha detto...

Caro Luciano,
a me sembra di aver scritto delle cose alquanto diverse, e cioè che:

1) il pensiero di Gramsci, come quello di qualsiasi altro politico-intellettuale, va contestualizzato e storicizzato (anche in considerazione del fatto che gli ultimi dieci anni della sua vita li trascorsi scrivendo e riflettendo da un osservatorio un po' particolare)

2) la contrapposizione Gramsci-Turati ha scarso interesse non dal punto di vista storico (ci mancherebbe), ma da quello politico, attuale e contingente. Da queste punto di vista, se vuoi, mi sembrano più interessanti le polemiche di Turati con "i riformisti che si contentano" (una specie, diversamente dai comunisti, che non mi sembra in via di estinzione).

giovanni s. ha detto...

In conclusione, mentre su Turati sono sostanzialmente d'accordo con Saviano e Orsini (a dir la verità, non avevo bisogno di loro per pensare certe cose), su Gramsci concordo con un certo Carlo Rosselli, anche lui, evidentemente, un tipo strano....
Un caro saluto
Giovanni

giovanni s. ha detto...

In conclusione, mentre su Turati sono sostanzialmente d'accordo con Saviano e Orsini (a dir la verità, non avevo bisogno di loro per pensare certe cose), su Gramsci concordo con un certo Carlo Rosselli, anche lui, evidentemente, un tipo strano....
Un caro saluto
Giovanni

giovanni s. ha detto...

Il numero del 30 aprile 1937 del periodico promosso a Parigi da Carlo Rosselli ’Giustizia e Libertà’, organo dell’omonimo movimento antifascista e antitotalitario, è tutto dedicato ad Antonio Gramsci, morto il 27 dello stesso mese.
Così sono i titoli in grande, con la foto al centro: “Antonio Gramsci è morto dopo undici anni di atroci sofferenze nelle prigioni fasciste. Il proletariato italiano non ha che un modo per commemorarlo: acquistare coscienza del suo compito storico e battersi”

giovanni s. ha detto...

Carlo Rosselli parlerà ancora di Gramsci, a nome di "Giustizia e Libertà", in occasione della pubblica commemorazione del 23 maggio 1937 a Parigi (17 giorni prima del suo barbaro assassinio col fratello Nello a Bagnoles de l’Orne in Normandia ad opera degli assassini della 'Cagoule', organizzazione terroristica di destra francese, su mandato del fascismo italiano, di Mussolini, che individuava in Carlo Rosselli il suo più pericoloso nemico dal punto di vista politico e ideale, in aggiunta alla sua origine ebraica).

“Gramsci e Mussolini: quale contrapposizione tra di loro ! Non solo di destino e di fede politica, ma
di tempra morale. Sono due mondi che si contrappongono, due concezioni antitetiche della vita e
dell'uomo.

L'uno, Mussolini, esteriore, irrazionale, improvvisatore, demagogo, avventuriero, traditore dell'ideale della sua giovinezza, trionfante sulle piazze, con tutta una schiera di poliziotti per salvarlo dall'odio del popolo.

L'altro, Gramsci, intimo, riservato, razionale, severo, nemico della retorica e di ogni tipo di faciloneria, fedele alla classe operaia nella buona come nella cattiva sorte, agonizzante in una cella con una schiera di poliziotti per sottrarlo alla solidarietà, all'amore del popolo.

Per l'uno niente vale se non il successo, niente conta se non la forza. Purché si arrivi al vertice del
potere, purché si domini, ogni mezzo è buono. Le idee, i principi, gli uomini non sono che mezzi
per l’affermazione del proprio io, strumenti del successo individuale.

Per l'altro al contrario niente vale se non la coerenza, la fedeltà a un ideale, a una causa che vive per sé medesima, indipendentemente dal successo, dall'interesse della propria persona; tutto è in lui ispirato da questo universalismo, da questo distacco che è proprio degli esseri superiori, nei quali il sociale prevale sull'individuale, l'altruismo e l'umano sull'egoismo e la bestia.

L'ideale lo si serve, non ci si serve di esso. E, se necessario, si muore per esso, con la semplicità di un Gramsci, piuttosto che continuare a vivere perdendo la ragione di vivere.

Chi dei due vincerà ?

Non c'è che da tornare alla storia, alla vostra storia francese. Le dittature passano, i popoli restano.

La libertà finirà sempre per trionfare.

Centinaia, migliaia di giovani, formatisi alla scuola di Gramsci, di Gobetti, di Matteotti, riempiono
oggi le prigioni e le isole d'Italia.

Una opposizione nuova, una Italia nuova è in procinto, silenziosamente, di sostituirsi alla vecchia.

Ciò che impressiona è la sua semplicità, la sua calma. Giovani, soprattutto operai, intellettuali
partecipano alla lotta clandestina sapendo che un giorno la polizia verrà e li arresterà. Dopo uno,
due, tre anni di isolamento, davanti al tribunale speciale. Nessuno parlerà di essi. Spariranno nel
gorgo, entreranno nella grande legione dei precursori.
In prigione, studieranno, divideranno fraternamente il poco di vettovaglie che l'amministrazione
fornisce. Quando usciranno, ricominceranno. Qualche giorno fa il tribunale speciale ha condannato
per la seconda volta un giovane compagno di nome Scala. Egli era stato arrestato una prima volta come studente, con altri studenti e condannato a cinque anni. Questa volta è stato condannato a dodici anni. E con lui c'erano degli operai.

Il legame storico tra proletariato e intellettuali è fatto.

E' questa nuova opposizione, questa nuova Italia che vincerà finalmente il fascismo, che noi vi
domandiamo di conoscere, di appoggiare, di difendere, compagni di Francia.

Essa lotta non soltanto per la libertà d'Italia, essa lotta per la libertà e per la pace del mondo.

Essa muore in prigione, essa muore, armi in mano, in Spagna.

Ma essa vivrà domani, essa vincerà domani, quando sulle rovine del fascismo, sorgerà il mondo
nuovo sognato da Gramsci.”

carlo ha detto...

Scusa Giovanni se mi intrometto, ma non dubito che a te e forse anche a qualcuno di noi che, fece politica dopo qualche lettura, sia le ragioni di Turati nella polemica con i comunisti ( cui aggiungerei, a quello di Livorno, il discorso tenuto al Congresso della riunificazione socialista del 1930, se non erro), sia il giudizio, positivo, di Rosselli su Gramsci, fossero ben noti, sicché non abbiamo nulla da apprendere dall'articolo di Saviano che cita il libro di Orsini. Tuttavia, di grande importanza- e va sottolineato- è che Saviano, lo scrittore italiano in questo momento più noto in Europa e non solo, che ha un grande ascendente sulle giovani generazioni, difenda le ragioni del socialismo democratico e riformista rispetto a quelle del dogmatismo comunista di ieri e di ogni settarismo, comunque lo si voglia chiamare, di oggi. Non poco, vista la damnatio memoriae scesa da anni sui socialisti, colpevoli, tutti e per responsabilità oggettiva, di ogni nequizia craxiana.

Cordialmente

Carlo Salvioni

emilio ha detto...

Caro Giovanni e cari tutti,
quello di Saviano è un ASSIST formidabile. Da comprendere e da proseguire.
Il problema non è tanto Gramsci, la cui vita sfortunata e i cui indubbi meriti di studioso ci sono ora noti ancorché non interamente. E nemmeno il "chi aveva ragione": anche questo non lo negano o non vogliono vederlo se non i tardomassimalisti.
Il problema è Turati. Se volessimo - come appunto Saviano ci invita a fare - dire ai ventenni di oggi (per i quali la Prima Repubblica e tutti i suoi eroi e tizzoni d'inferno sono sostanzialmente ignoti, Craxi e Berlinguer inclusi), toh, prendi qui - questo sosteneva Turati e questo era il suo stile, beh in libreria non troveremmo nulla. E assai poco nelle biblioteche pubbliche (le universitarie sono esoteriche).
Quindi, pubblicate gente, pubblicate.
Quando qualche mattina fa ho ascoltato a RadioTre che su Repubblica Saviano aveva scritto un lungo articolo sul libro di Orsina che avevo acquistato, letto e riposto nello scaffale tra quelli da tenere, ho pensato che fosse uno scherzo di Carnevale. Sono uscito apposta per acquistare Repubblica. Sorpresa: era vero.
Da pubblicare, Turati: "a chiare lettere".
Fraternamente,
Emilio Renzi

PS Se mi è permesso concludere lo sfogo: NON ESISTE che studiosi e compagni di ogni rango scrivano di un libro esordendo con un "non ho letto il libro ma...". Non esiste proprio.

diego ha detto...

Cari compagni,.



Anch’io come Giovanni Scirocco penso che l’articolo di Saviano ed il saggio di Orsini siano troppo perentori, troppo netti, troppo «politici», come giudizi storici. Storicamente parlando, la vera domanda da porsi è: quale era il contesto socio-economico, politico, e culturale, che portò Gramsci e Turati a prendere le decisioni che presero?



segue

diego ha detto...

Se si analizzano i fatti nel loro contesto, le cose sono più complesse di quanto appaiano. Ovviamente, Turati è e resta un «gigante» nella storia del socialismo italiano. Questo è assolutamente fuori discussione. Però trovo che nel periodo che va dal 1920 al 1924, Turati commise, seppur in buona fede, degli errori strategici molto gravi. Per esempio, non volle a nessun costo, non solo che le classi popolari si armassero per difendersi dalle violenze fasciste, ma nemmeno che manifestassero o proclamassero scioperi.



segue

luciano ha detto...

Col senno di poi, è possibile che l'atteggiamento legalitario di Turati sia
stato un errore.
Mi pare storicamente forzato dire che "nel contesto italiano dei primi anni
'20 c'era già una dittatura".
C'erano sicuramente i prodromi della dittatura, ma la dittatura conclamata
inizia con le leggi liberticide del 1925.
Nel 1924 Turati e tutto il blocco dell'Aventino si appellano alla legalità
ed offrono al re un'alleanza istituzionale per ripristinare le garanzie
statutarie, mirando così a dividere il blocco nazionale che aveva sostenuto
Mussolini e che dopo il delitto Matteotti mostrava crepe evidenti.
Però subiscono il tradimento - uno dei tanti - di Vittorio Emanuele II, il
quale sceglie di puntellare Mussolini e di consentire la trasformazione del
governo in regime.
Nessuno è in grado di dire se una scelta insurrezionale avrebbe avuto
possibilità di successo, oppure avrebbe solo ricompattato subito l'alleanza
mussoliniana ed accelerato la cancellazione delle garanzie democratiche.
In ogni caso, il disprezzo dei comunisti per Turati non trae origine dalle
scelte del 1924, bensì dall'azione svolta dal leader riformista nei 30 anni
precedenti.

Fraterni saluti.

Luciano Belli Paci

luigi ha detto...

Caro compagno,
il libro non l'ho ancora letto ma su tua esortazione me lo vado a
comprare. Inoltre concordo e gioisco per l'assist fatto da Saviano
che nemmeno me lo sarei sognato ci passasse. Per le ragioni che poni
veramente sono inutili le querelle su "chi aveva ragione", quello
che importa e che il nostro Turati e il socialismo riformista sia
stato citato su La Repubblica e da Saviano, valorizzazione preziosa
perché cui non dobbiamo lasciare cadere assolutamente l'attenzione.
Da parte di qualcuno di noi che ha già letto il libro - non da chi
non lo ha letto - propongo di scrivere a la Repubblica una lettera
per aprire un dibattito a partire dalla tradizione nominata fornire
ragioni del riformismo socialista per l'attualità.
Cosa ne pensate di invitare Saviano, vista la sua sensibilità per
Turati riformista, a Genova per il nostro convegno dei 120 anni
dalla nascita del "Partito dei Lavoratori Italiani" ?
Da ora in avanti zappiamo il terreno ... i semi siamo noi i frutti
sono i giovani che al momento mancano all'appello per rivitalizzare
il socialismo europeo e come dice bene Bartolomei, l'Internazionale
socialista.
Avanti !
Luigi Fasce

roel ha detto...

Nel leggere il messaggio di Diego Dilettoso,("godier1981@hotmail.com"), sorge
la necessità di rendere note alcune precisazioni già esternate all'A.
Carissimo,
ho letto il tuo intervento su Gramsci e Turati e molte delle tue
considerazioni trovano ampia condivisione negli interventi di tanti altri. Per
farti conoscere le mie valutazioni ti allego il mio internento di qualche
giorno fa. Intanto, per un riscontro , penso che l'accusa di "vigliaccheria" di
Salvemini, socialista di cui personalmente ho avuto sempre grande stima, sia
eccessiva, magari dovuta alla rabbia del momento di fronte ad un delitto così
efferrato.D'altronde la Monarchia aveva già deciso da che parte stare e in
Mussolini vedeva la possibilità della fine del biennio rosso che aveva fatto
perdere la tranquillità al re e ai ceti dominanti. Una scelta a difesa della
"cittadella" del potere minacciata . Per quanto riguarda le titubanze di Turati
nei confronti di azioni di rivolta in occasione del delitto Matteotti, non va
dimenticato che la monarchia controllava l'esercito e la polizia, e che
intorno a Mussolini si erano creati blocchi di potere consistenti che già lo
foraggiavano. Da ricordare anche che nel '21 gli estremisti avevano fatto la
scissione di Livorno, provocando l'indebolimento del fronte di sinistra e
facendo sorgere diffidenze e distanze che certamente non lasciarono indenne
Turati. Un saluto, Roel

diego ha detto...

Eppure, all’epoca dell’assassinio di Matteotti (giugno 1924), ci fu un ultimo sussulto nella popolazione italiana, disgustata dalla barbarie di questo delitto. Alcuni fascisti presero le distanze da Mussolini e quasi tutti gli osservatori, anche stranieri, davano al fascismo le ore contate. Probabilmente, sarebbe bastato qualche sciopero generale associato ad un tentativo di insurrezione armata per far cadere Mussolini. Ma Turati era contrario a questa ipotesi, anzi, insieme a Conti, il capo del partito repubblicano, andò personalmente a dissuadere quei militanti che volevano impugnare le armi. E spiegò che bisognava avere pazienza, visto che il re si sarebbe presto schierato contro Mussolini. Il resto della storia lo conosciamo: a forza di aspettare... il 3 gennaio 1925 Mussolini pronunciò un discorso alla Camera dove rivendicò la propria responsabilità nel delitto Matteotti e proclamò un colpo di stato.

diego ha detto...

Allo stesso tempo, Gramsci partecipava alla prima riunione dell’Aventino, proponendo un appello alle masse ed uno sciopero generale, che gli altri partiti d’opposizione rifiutarono. Le azioni proposte da Gramsci sarebbero bastate a far cadere il fascismo? Forse no, forse, era anche necessaria una lotta armata che unisse i lavoratori aldilà delle diverse appartenenze partitiche. In ogni caso, a mio giudizio, era più comprensibile che i capi della sinistra cercassero di sollevare il popolo contro il fascismo, piuttosto che aspettare il re, che non era stato nemmeno capace di impedire quella farsa della marcia su Roma. Salvemini insinuò che Turati non volle schierarsi per la lotta armata perché «l’uomo era fisicamente vigliacco». Io penso invece che Turati volesse semplicemente evitare dei bagni di sangue – la storia ha mostrato che quei bagni di sangue erano purtroppo necessari per liberarsi dal fascismo.



Morale: chi scrive si sente idealmente più vicino a Turati che a Gramsci – che pure è un importantissimo pensatore del XX secolo. Senza volermi dilungare in dissertazioni sui massimi sistemi, credo che in un regime democratico, sia senz’altro auspicabile il metodo riformista. E credo che la rivoluzione debba intervenire solo in casi di dittatura – nella forma e/o nei contenuti. E mi è ben chiara la differenza tra il marxismo umanista di Turati e quello leninista di Gramsci – si pensi anche solo a quanto sia poco liberale la figura dell’«intettuale organico» descritta da Gramsci. Tuttavia, mi sembra altrettanto evidente che proporre una «soluzione legalitaria», come fece Turati nel contesto italiano dei primi anni Venti, quando già c’era una dittatura, fu un errore strategico grave.



Pertanto, assumere un atteggiamento troppo dogmatico, che porta ad accettare o a rifiutare in blocco l’eredità di Turati o di Gramsci, porta ad esprimere giudizi storici affrettati, che rischiano di influenzare negativamente anche gli orientamenti politici odierni.



D’altronde, anche Carlo Rosselli, che nutriva un’ammirazione filiale nei confronti di Turati, scrisse un articolo in memoriam nel marzo 1932, dove alternava le critiche ai grandi elogi. Per quanto mi riguarda, sottoscrivo dalla prima all’ultima parola quanto scritto da Rosselli:



«Alessandro Herzen, esaminando nel 1860 l’opera di Mazzini, scriveva che “Mazzini è tanto grande che risparmiargli una critica sarebbe fargli offesa”. Noi pure, con autorità tanto minore, abbiamo fatto altrettanto, perché pensiamo che l’omaggio migliore di una generazione nuova alla generazione che scompare non debba consistere in un indistinto panegirico in cui tutti gli elementi di una vita si fondono e si confondono; ma nello sforzo affettuoso di comprensione critica, nell’onesto vaglio dei valori del passato, cioè in quell’atteggiamento dello spirito sgombro di pregiudizi e di rivalità meschine che è la premessa indispensabile per una valutazione storica. Comprendere è superare, scrisse spesso Turati. Non si supera Turati – nel senso storico della espressione – se non rivedendo col pensiero la sua lunga esperienza, se non rifacendola nostra». (Carlo Rosselli, Filippo Turati e il socialismo italiamo, «Quaderni di Giustizia e Libertà », n. 3, p. 42).



Saluti socialisti,



D.

peppe ha detto...

degli errori TUrati li ha fatti eccome. Come in quella fase convulsa li hanno fatto tutti. Qui stiamo paralndo delle posizioni di Turati e Gramsci nel 1921. Non dobbiamo dimenticare che quel congresso fu convocato per decidere di aderire ai 21 punti della III Internazionale (che prevedeva l'espulsione di Turati, Matteoti e Treves dal Psi ). Rispetto a quei 21 punti Turati aveva perfettamente ragione e Gramsci torto. Poi il Gramsci successivo al 1929 è qualcosa di diverso e resta uno dei più grandi pensatori del 900.

diego ha detto...

Caro Luciano,



In effetti, come dici tu, ufficialmente, la dittatura cominciò nel gennaio 1925, con le leggi liberticide. D’altra parte, le numerose violenze perpetrate nei confronti degli oppositori, la stessa marcia su Roma, e l’approvazione della legge Acerbo (1923) rappresentarono già dei prodromi della dittatura. Quando mi riferivo «ai primi anni venti», pensavo al 1923 e soprattutto al 1924 – da qui nasce la confusione sulle date.



Per entrare nel merito della questione, nonostante le crepe nel blocco nazionale, credo che ci fosse ben poco da sperare da quello stesso re che non aveva voluto firmare lo stato d’assedio di Roma all’epoca della marcia. Ho l’impressione che Turati sia stato mal consigliato da Amendola.



Credo oltretutto che, di fronte allo sdegno popolare che fece seguito all’assassinio di Matteotti, se l’opposizione fosse stata compatta nell’intervenire con le armi, il fascismo sarebbe potuto cadere. Tieni conto che, nonostante le violenze, ancora nel 1924 la tiratura dei giornali antifascisti era di 4.000.000 copie contro le 400.000 dei giornali fascisti. Ovviamente questi numeri non sono una garanzia di vittoria, però danno già un’idea sui rapporti di forza.



Detto questo, anche qualora un’insurrezione armata fosse fallita, ci sarebbe stata una differenza nel perdere con le armi in mano come fecero i socialdemocratici viennesi, che resistettero con la Republikanischer Schutzbund, piuttosto che perdere a causa del tradimento del re. In effetti, gli austriaci persero con onore, mentre agli occhi di molti, per non fare nomi, Salvemini, Turati si era comportato come un traditore – anche se l’accusa è ingiusta, visto che il capo dei riformisti voleva soprattutto evitare un bagno di sangue.



In ogni caso, sono d’accordo con te sul fatto che il disprezzo dei comunisti per Turati sia di origine ben più antica. E che la dialittica comunista che tendeva a demonizzare gli altri partiti di sinistra fu cosa odiosa, che contribuì a dividere la classe operaia e a creare le premesse per la reazione fascista. Ma il mio punto di partenza era un altro, cioè che il giudizio di Saviano ed Orsini mi sembra troppo netto.



Un fraterno saluto,



Diego

dario ha detto...

Caro Emilio

come comprendo il tuo sfogo finale, sin dal primo secondo dopo la pubblicazione dell'articolo di Saviano è scoppiata su questo blog una discussione il cui unico obiettivo era demolire le tesi di Orsini, non di confutarle, ma proprio di demolirle senza neppure aver letto il libro. Io il libro lo sto leggendo, e continua a pensare, come dissi a Galliate il 18 ottobre 2008 nel Convegno che dette vita al Gruppo di Volpedo, che il recupero della nostra migliore storia sia fondamentale per ri-costruire in Italia una cultura socialista, il libro in questione è utilissimo per questo lavoro.

Nel nostro piccolo di Labouratorio stiamo scrivendo un piccolo libretto divulgativo sulla figura di un altro grande socialista dell'epoca per l'appunto BUOZZI trattato malissimo dalla storiografia ufficiale (Spriano lo definì in Torino operaia e socialista un "destro"). Personaggio che con Turati nel 1920 tentò un accordo (boicottato e bocciato dai massimalisti e dai comunisti del PSI) con Giolitti, per fuoruscire dalla crisi del biennio con un accordo tra Liberaldemocratici e socialisti, che probabilmente ci avrebbe evitato in ventennio fascista.

Sarebbe anche il caso di andare tutti quanti a rileggersi il pensiero sul marxismo del Rosselli di Socialismo liberale.

Turati morì esule a Parigi, ed ancora oggi è li sepolto, altri grandi leaders socialisti, Buozzi, Rosselli e Matteotti, furono tutti eliminati dal fascismo (dimostrazione pratica di chi il fascsimo temeva veramente) ed i socialisti furono privati delle loro migliori teste pensanti. Gli assassinii fascisti consentirono di collocare Matteotti, Rosselli e Buozzi tra i "martiri" evitando così di dover fare i conti con le loro posizioni politiche.

Oggi è tempo di rispolverare (proprio nel senso di togliere la polvere) da scritti e pensieri che si rivelano sempre più necessari per l'avvenire di questo paese.

Dario Allamano

PS

domani è l'8 marzo e mi piace ricordare che Turati ebbe al suo fianco per tanti anni una GRANDE DONNA: Anna Kuliscioff che meriterebbe da sola un libro, anche lei purtroppo scordata dalla sinistra italiana

franco ha detto...

Sta di fatto che Gramsci era stato isolato dai compagni comunisti perchè considerato eretico, le religioni antiche e moderne sono così, parlava invece con Pertini che era socialista e quindi aveva un rigore morale e una apertura mentale che gli impedivano disumanità. A dimostrazione che il socialismo e Turati erano meglio. Gramsci scontava la rigidità del partito che aveva contribuito a costruire e che Turati considerava giustamente fuori strada. E' chiaro che di fronte alla dittatura fascista tutte le forze erano utili per sconfiggerla, ma una volta ritrovata la democrazia non si poteva riprendere con una dittatura di sinistra. Le dittature sono dittature. Saviano che ha conosciuto la dittatura camorrista queste cose non può non sentirle, è un uomo che vuole una società più umana. Cosa che noi socialisti perseguiamo ovunque.
Franco Da Rif