sabato 25 ottobre 2008

rusconi: l'alibi della società civile

da La Stampa


24/10/2008

L'alibi società civile





GIAN ENRICO RUSCONI

Mi auguro che la manifestazione annunciata e attesa per domani a Roma non adotti lo slogan di esprimere le «forze antiberlusconiane della società civile», come suggeriscono gli amici di MicroMega. Capisco perfettamente la logica contestativa dello slogan. Ma sarebbe ingannevole nella sostanza. Il berlusconismo infatti è anche espressione della società civile italiana. Il problema del nostro Paese è la scissione e il disorientamento proprio della società civile nel suo insieme. Da questa situazione una parte di società è tentata di uscire forzando lo strumento politico.

Smettiamo dunque di usare il concetto di «società civile» per indicare tutto il positivo della società italiana che viene rimosso, conculcato o nascosto dal berlusconismo o da altri fenomeni (mafia, corruzione politica, xenofobia o tentazioni autoritarie). Mettiamo in soffitta una volta per tutte questo nobile concetto che ha svolto una grande funzione chiarificatrice ed emancipativa, ma che oggi rischia di essere retorico e illusorio.

Lo so che sarà dura abbandonare questa espressione passe-par-tout, che si tira dietro altre coppie concettuali consolidate e apparentemente chiare (Paese reale contro Paese legale, palazzo contro società ecc.). Rischia però di essere tutto ciò che resta della costruzione ideologica della sinistra. Ma quando a Palazzo Chigi c’erano Prodi e D’Alema, quando a Montecitorio c’era Bertinotti e al Quirinale Ciampi, la società civile gestiva forse la politica? O vi influiva davvero? Naturalmente no, e non solo perché gli intransigenti evocatori della «società civile» erano sempre sul piede di guerra.

Non vorrei essere frainteso. Non sto polemizzando contro chi combatte energicamente il berlusconismo. Non si tratta neppure di dichiararsi pro o contro la ricerca di un ragionevole dialogo con la maggioranza o viceversa di considerare intrattabili le reciproche posizioni ideali e politiche. L’obiezione è assai più radicale. Si tratta di ammettere che il male è dentro la società civile, non fuori di essa. E quindi non ha senso evocarla come una soluzione.

Si può suggerire la scappatoia di definire il berlusconismo una patologia della società civile. Paradossalmente è già un passo in avanti nell’analisi. Vuol dire infatti riconoscere che la voglia di autoritarismo e di decisionismo comunque sia, le ventate antisolidali e di razzismo latente che percorrono il Paese, la strafottenza verso i perdenti e i deboli, l’opportunistica e ipocrita deferenza verso la Chiesa non vengono dal di fuori o per colpa di pochi malintenzionati, ma dal ventre profondo della società civile. E il berlusconismo, lungi dal correggere questi fenomeni, li interpreta e li legittima, verosimilmente al di là delle sue buone intenzioni.

Ma qual è la forma politica di questa situazione? Qui accade un altro fenomeno sorprendente nel nostro Paese logorroico e con un sistema mediatico-comunicativo ipertrofico: ci mancano le parole adeguate per definire la situazione reale. Da quindici anni si parla di «berlusconismo» o di «populismo». La prima espressione è tautologica, la seconda è troppo vaga e utilizzabile per molte altre circostanze e personalità politiche.

Ma non abbiamo di meglio e quindi dobbiamo passare attraverso la strettoia di queste due espressioni, resistendo alla tentazione di contrapporvi in positivo, appunto, la bella e buona società civile. Il populismo berlusconiano interpreta la voglia del popolo-elettore maggioritario per decisioni rapide, drastiche e visibili. E viene accontentato: la scomparsa della spazzatura napoletana, la soluzione - a qualunque costo - della questione Alitalia, l’interventismo pronta cassa a sostegno delle banche e dell’industria ecc.

Berlusconi interpreta questo ruolo portando di fatto il sistema politico verso un presidenzialismo informale strisciante. Non ha bisogno di ricorrere a impegnative riforme istituzionali. Gli basta apparire in tv ad enunciare decisioni che la sua maggioranza sosterrà zelantemente in Parlamento. Ma l’idea del leader vicino alla gente, non prigioniero nei giochi di palazzi, non era una richiesta sociale? La domanda di una semplificazione del sistema politico e la fine delle risse intrapartitiche non era forse emersa dal profondo della società civile? Eccola servita.

1 commento:

Anonimo ha detto...

la società civile ci ha fornito tanti politici incivili, presuntuosi, inamovibili, senza il respiro di proporre una riforma, ma pronti a adeguarsi alle mode. Tra cui, pericolosissima, quella della liberalizzazione a oltranza, con stipendi e consulenze maggiorate per parenti e amici della società civile. E acquisti di derivati incivili, ma tanto di moda...