venerdì 17 ottobre 2008

Oggi leggendo su l’Unità un articolo di Alfredo Reichlin (che allego) ho avuto un moto di stizza quando ho letto….testuale:



“…..non si è capito e si continua a non capire: quanto conta, più della ricchezza il cervello della gente.”



È davvero ineffabile, detto da un intellettuale sostenitore del PCI diventato PDS e ancora sostenitore di quello diventato, più che un partito, un gioco enigmistico che assomiglia ad una sciarada a rovescio, per cui da una parola, in questo caso per la precisione un acronimo, si è giocato a togliere anziché ad unire, facendolo diventare prima DS e poi PD.



E tanta ineffabilità mi ha fatto tornare alla mente “Filippo il solo”.



La rivista Diario (della settimana) durante la sua prima vita, ha offerto per qualche tempo ai suoi lettori un fascicolo di piccolo formato, separato dal corpo della rivista stessa ma a lei allegato, che si chiamava “agenda della settimana”; in quella rimasta in edicola dal 3 al 9 dicembre 1997, sotto l’icona LEGGERE, campeggiava appunto un titolo, “Filippo il solo”, (quanto mai eloquente), che rimandava ad un libro dove erano raccolti i discorsi di Turati.



Anche alla luce della parole di Reichlin mi sono ri-tornati alla mente alcuni passi del suo discorso tenuto il 19 gennaio del 1921, al congresso di Livorno, in uno affermava:



“Organicamente la violenza è propria del capitalismo, non può essere del socialismo”.



E ancora….



“…. nessuna formula  neanche quella di Mosca  sostituirà mai il possesso di un cervello, che in contatto coi fatti e con le esperienze, ha il dovere di funzionare”.



E ancora ancora….



“La forza del Partito (di un partito), se esiste, non è in determinati uomini, ma nella coscienza del gran numero dei suoi componenti”.



Con l’impertinenza che accompagna la mia consapevolezza di essere intellettualmente infinitamente meno attrezzato di Reichlin, mi sento di parafrasare così la conclusione del suo articolo.



«Gli uomini come Reichlin hanno l’intelligenza e il livello per contribuire ad aiutare la crescita di coscienze e cervelli. Troppi di loro in questi anni non lo hanno fatto. Eppure non ci voleva la zingara per capire che questo gigantesco gioco sul socialismo negato era ed è insostenibile. Perciò non mi piace che adesso siano gli stessi a dirci che la irrilevanza del partito che hanno appena “messo lì” è grave, aggiungendo però che non ci sono le condizioni per cambiare. So anch’io che non sarà facile cambiare. Ma anch’io pongo una condizione. È quella di poter dire alla gente che esiste una grande e nobile ragione per cui costruiamo un partito nuovo, e che questa consiste nella convinzione che è giunto il momento di “ripercorrere completamente ….la via dei social-traditori di una volta; e di doverlo fare perché è la via del socialismo, che è il ….nucleo vitale che rimane”, anche dopo che il mondo è cambiato, perchè il momento di lottare per un mondo più giusto, non è giunto, ma semplicemente non è mai passato, e per questo compito, serve ancora oggi più che mai una nuova sinistra socialista europea che sia protagonista.»



Vittorio Melandri



Sta cambiando il mondo l’Unità 16 Ottobre 2008

di Alfredo Reichlin

Sinistra

Michele Salvati riconosce, sul Corriere della Sera, che non è scoppiata solo una bolla speculativa. È successo qualcosa di molto grosso che segna una data. È arrivato al capolinea un ordine economico. Cambiano i rapporti tra i poteri mondiali. Mi scuso se non sono un economista, ma di questo si deve parlare. Noi abbiamo assistito a una vicenda del tutto nuova nella storia moderna, cioè al fatto che una oligarchia politico-finanziaria ha preteso di governare il mondo sottomettendo al suo potere la politica, intendendo per politica la sovranità dello Stato (moneta compresa) i diritti universali del cittadino, quale che sia la sua capacità di consumo, la società intesa come storie, culture, legami, progetti, non riducibili allo scambio economico. Di questo si è trattato. Ed è tanto vero che il mondo esulta perché gli Stati europei hanno mostrato l’intenzione di restituire il comando al «Sovrano». Era evidente (almeno per menti libere) che non poteva continuare all’infinito un sistema in base al quale somme immense di denaro (molte volte più grandi della ricchezza reale prodotta) si muovono da un luogo all’altro del mondo in tempo reale prescindendo dai bisogni veri della gente, dalle relazioni umane, dai diritti sociali, dalle risorse reali, dai territori. Il fenomeno è stato, davvero, grandioso e certe polemiche anti-capitalistiche di “rivoluzionari” invecchiati lasciano il tempo che trovano. In questo modo è stata anche favorita l’apertura di nuovi mercati e il finanziamento di cose straordinarie come l’intelligenza artificiale, le medicine (e - perché no? - le armi del 2000). E tutto ciò ha anche reso possibile un salto nello sviluppo dei paesi emergenti. Tuttavia è grazie a questo sistema che il paese più ricco del mondo ha potuto vivere a credito molto al di sopra delle sue risorse attirando, grazie al ruolo imperiale del dollaro l’ottanta per cento del risparmio mondiale. Mentre all’interno (ma non solo all’interno degli Stati Uniti) si sviluppava un enorme gioco speculativo: credito facile, indebitamento di massa, ben al di là dal ricavato del proprio lavoro, creazione di una economia di consumi la quale si è tradotta in un crescente aumento delle disuguaglianze e in una devastante pressione sui beni pubblici e sulle risorse naturali. E mentre ai lavoratori e ai ceti medi si offriva l’eterna illusione che indebitandosi si potevano arricchire all’infinito con l’idea che il denaro si può fare col denaro, avveniva in realtà una impressionante redistribuzione del potere e delle ricchezze a favore delle oligarchie dominanti. Un enorme gioco di specchi che si è rotto quando - come diceva Keines - «lo sviluppo del capitale reale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un “casinò”». Salvati non lo dice con queste parole. Ma mi è sembrato significativo il suo riferimento al libro di Robert Reich ferocemente polemico con questo sistema. Bene. Ma se è così un problema molto grosso - politico ma anche intellettuale e morale - non può non porsi. E non solo a chi scrive. A me sembra evidente che il cominciare a pensare a un modello diverso per il governo dell’economia mondiale è un compito (ma anche un dovere etico-politico) non più rinviabile. Oltre tutto i governi europei hanno messo sul piatto qualcosa come due o tremila miliardi di dollari (tratti, evidentemente dalle tasche della gente, pensionati e operai compresi) per salvare le banche. Benissimo. Si può almeno cominciare a pensare a un futuro diverso?
Salvati non sfugge a questo problema. Egli non nega che una alternativa sarebbe necessaria e riconosce che i modelli capitalistici possano essere diversi tra loro, anche profondamente, così come il modello keinesiano, cioè il compromesso tra il capitalismo e la democrazia era del tutto diverso dalla svolta ultra liberista degli anni 70. Salvati non è Ostellino. Il problema che lui solleva è un altro ed è il vero problema che sfida oggi la sinistra e giustifica la sua inerzia. Mancano - dice - le condizioni. E le condizioni di cui parla non sono tanto quelle oggettive (la profondità della crisi, la insostenibilità del modello attuale) quanto quei “grandi riorientamenti ideologici, culturali, teorici e, da ultimo, politici altrettanto profondi” che consentirono quei due grandi passaggi (il keinesiano tra gli anni 30 e 40 e il neo-liberismo degli anni 70).
Io ho molto rispetto per Salvati, un vecchio amico che ho sempre ascoltato con attenzione. Ma non resisto al bisogno (anche morale) di ricordare, a proposito di condizioni culturali, che cosa è stata in questi anni la vera e propria distruzione del pensiero politico della sinistra e di una sua qualunque visione autonoma rispetto al pensiero unico dell’oligarchia finanziaria. Un martellamento quotidiano mai visto prima contro i salari, (sempre troppo alti), i sindacati (inutili), la privatizzazione delle pensioni come condizione per lo sviluppo, (se ne accorgeranno i pensionati americani legati ai valori di Wall Street) le imprese che valgono solo per il valore delle azioni e non per ciò che producono. Per non parlare della scala dei valori dominanti: l’ossequio perfino ridicolo per la ricchezza e la genialità dei banchieri, questi nuovi eroi del nostro tempo.
Forse parla in me un vecchio comunista che dovrebbe solo tacere. Parlino allora i liberali. Ci spieghino dove va a finire non la “classe” ma la libertà della persona se la società viene ridotta a società di mercato, se gli uomini sono messi in relazione tra loro non in rapporto alla loro sostanza umana ma in quanto “maschere” dietro alle quali non ci sono creatività e progetti di vita ma individui che si misurano con un solo metro: la capacità di consumo, il denaro. Perché Salvati chiama questo sistema “liberale”?
Mi dispiace, io non sono d’accordo. E non perché non capisca la necessità di una rivoluzione culturale oppure sottovaluti la debolezza della sinistra che paga anche per la sua illusione di ritagliarsi uno spazio (una “terza via”?) nel “casinò” di questi anni. Non c’erano le condizioni: così ci è stato detto. È molto triste sentirlo ripeterle. Certo, anch’io come Salvati non vedo in giro un nuovo Keines e non credo che Obama abbia la statura di Roosevelt. Ma respingo l’idea della politica che c’è in questo modo di ragionare. È esattamente ciò che ci ha portato non al rischio di perdere (si può sempre perdere e poi rivincere) ma di finire nell’irrilevanza. Le condizioni si creano. Questo non si è capito e si continua a non capire: quanto conta, più della ricchezza il cervello della gente. Le condizioni non ci saranno mai se la politica non torna ad essere prima di tutto conoscenza, scoperta della realtà, libertà di pensiero, idee forti e quindi energie nuove rimesse in movimento. La storia di questi anni dovrebbe insegnare qualcosa.
Gli uomini come Salvati hanno l’intelligenza e il livello per contribuire a creare queste famose condizioni, almeno culturali. Troppi di loro in questi anni non lo hanno fatto. Eppure non ci voleva la zingara per capire che questo gigantesco gioco sui debiti era insostenibile. Perciò non mi piace che adesso siano gli stessi a dirci che la crisi è grave aggiungendo però che non ci sono le condizioni per cambiare.
So anch’io che non sarà facile cambiare. Ma anch’io pongo una condizione. È quella di poter dire alla gente che esiste una grande e nobile ragione per cui costruiamo un nuovo partito. E che questa consiste nella convinzione che è giunto il momento di lottare per un mondo più giusto nel quale una nuova sinistra europea sia protagonista.

1 commento:

Anonimo ha detto...

> Sottoscrivo toto corde la giusta e profonda riflessione di Vittorio
> Melandri.
> L'articolo di Reichlin sarebbe bellissimo, se non fosse di una sconfinata
> impudenza.
> Reichlin in questi anni si è reso volenteroso complice del pellegrinaggio
> verso il nulla che hanno chiamato PD. Ha assunto ruoli chiave, come quello
> di presidente della commissione dei saggi che ha prodotto documenti
> fondativi aventi il solo scopo di certificare lo svaporamento di qualunque
> tratto distintivo della sinistra.
> E adesso questo stesso signore ha il coraggio di prendersela con Salvati
> (che poi è l'unico intellettualmente onesto della banda: liberale dichiarato
> e manifesto) e di fingersi estraneo e severo osservatore !
> Leggendo "Compagni di scuola" di Andrea Romano ho capito meglio quanto sia
> smisurato l'opportunismo del gruppo dirigente che da 20 anni guida
> immutabile il Pci-Pds-Ds-Pd.
> Reichlin, di quei "compagni di scuola", è il degno capoclasse.
>
> Luciano Belli Paci