lunedì 8 settembre 2008

Claudio Vercelli: Ebrei in Italia

Sulla questione delle leggi razziali, con l'intervista di Alemanno al Corriere della Sera del 7 settembre, posto questo mio articolo, anche se già ucito un paio di mesi sul bimestrale ebraico Ha Keillah.
CV
Ebrei in Italia

Qualcosa di nuovo sotto il sole di Roma?
di
Claudio Vercelli


L’onda lunga della vittoria politica ed elettorale del centro-destra non si è ancora esaurita e tuttavia il quadro appare già sufficientemente chiaro. Pur bandendo gli allarmismi di circostanza, occorre prendere atto che i partiti che si riconoscono sotto l’egida di Berlusconi sono maggioranza non solo dentro le urne ma anche nell’intero paese. Parliamo di una maggioranza che esercita una sostanziale egemonia culturale, ovvero che raccoglie una diffusa e condivisa opinione, generando e riproducendo un senso comune. L’esito delle elezioni per il Comune di Roma sono la cartina di tornasole di quanto stiamo affermando. La vittoria di Gianni Alemanno, esponente di primo piano di Alleanza Nazionale e capofila della cosiddetta "destra sociale" (l’area più prossima per sensibilità culturale al lascito missino), costituisce il segno tangibile dello spostamento a destra del baricentro politico. I consensi sono stati raccolti laddove un tempo quel medesimo elettorato avrebbe invece optato, quanto meno nella maggioranza dei casi, per la sinistra. A fronte di un processo di impoverimento di una parte dei ceti medi, e di una sempre più evidente marginalità di quelli già proletarizzati, gli uni e gli altri scelgono, nella crisi del loro status e nell’apparente assenza di prospettive, di farsi rappresentare da una destra con connotazioni fortemente populiste, a suo evidente agio nelle dinamiche innescate dai processi di globalizzazione.
Più che pensare ad un ritorno – anche solo in forme mascherate – di un trascorso, dobbiamo invece prendere atto che qualcosa che pensavamo esistere non c’è più: in altre parole, che la cultura antifascista, intesa come insieme di valori fondanti la storia costituzionale, politica e morale della Repubblica, ha oramai completamente perduto quella rilevanza che ancora in anni recenti riusciva a raccogliere. Non è più una discriminate decisiva nella formazione del giudizio politico. La vicenda romana, per l’appunto, ne è l’indice più eloquente. La squillante vittoria del candidato del Popolo delle Libertà, peraltro velocemente archiviata dagli sconfitti, non è avvenuta malgrado la sua origine politica, dichiaratamente neofascista (e come tale rivendicata con orgoglio), ma semmai grazie ad essa. Non è qui in discussione il grado di adesione ai principi della democrazia da parte di Alemanno. Semmai è legittimo interrogarsi quanto una cultura politica quale quella rappresentata dal nuovo sindaco di Roma possa coesistere con la democrazia stessa, nata dal ripudio dell’esperienza storica del fascismo.
Una cartina di tornasole, da poco inaugurato il suo mandato, è stata la querelle – destinata prevedibilmente a ripresentarsi in futuro, a Roma come in altre città – sulla intitolazione di una via a Giorgio Almirante, leader del partito che fu di Fini e di molti esponenti dell’attuale maggioranza di governo. La motivazione conclamata è che il leader missino sarebbe stato, sia pure a suo modo, uno dei "padri della Repubblica" o, per meglio dire, del suo sistema partitico. In questo avrebbe assolto ad una funzione di educazione alle regole del gioco di quanti, fuoriusciti da Salò con il convincimento di dovere restare fascisti, avrebbero invece così optato per una più rassicurante accettazione delle norme imposte dall’ordinamento costituzionale e legale. Il corollario implicito di questo ragionamento demanda, ancora una volta, ad una parificazione tra le ragioni della sinistra storica e di quella destra radicale sostanzialmente estranea al circuito democratico ma in essa parassitariamente inserita, così come lo fu per tutta la sua esistenza il Movimento sociale italiano. Il ruolo che in questa vicenda è stato assegnato agli ebrei italiani (d’ufficio, in maniera insipiente ma non casuale, aggregati ancora una volta ad Israele) è, a tale riguardo, sconcertante. Ad essi è attribuito l’assai poco invidiabile primato di fornire (ma non di negare) patenti di democrazia. In altre parole, l’assenso di alcuni tra di loro avrebbe costituito il manifesto riscontro della legittimità dell’altrui agire. Sintomatico che Alemanno, alle prime, corali doglianze (anche e soprattutto da parte ebraica) per la ribadita intenzione riguardo ad Almirante, abbia risolto la questione dicendo che ne avrebbe parlato con gli "ebrei della Comunità di Roma". A quale titolo il loro giudizio (forse ne esiste uno che valga per tutti o al di sopra di tutti?) debba risultare dirimente non è dato saperlo, mentre l’ambiguità di questo fare dovrebbe risultare oramai chiara a molti. Se non altro in virtù del principio per il quale chi è oggi delegato a giudicare sarà un giorno chiamato ad essere giudicato. Un peso insopportabile, del quale si dovrebbe avere la capacità di fare a meno. Non meno insopportabili – e tutto ciò sta di buon grado dentro la logica che vogliamo denunciare – sono sia il pregiudizio che la pregiudiziale che si accompagnano a questa affettata e sospetta distribuzione di facoltà. Il pregiudizio è quello che, ancora una volta, attribuisce agli ebrei una eccezionalità (non importa se positiva o negativa) in ragione della quale li si lusinga, li si vezzeggia o – alternativamente – li si dileggia, a seconda del prevalere di sentimenti o di risentimenti. Il pregiudizio è tale indipendentemente dal segno che lo precede: il credere che gli ebrei siano, come tali, migliori dei loro contemporanei è non meno foriero di inquietanti equivoci del pensare che essi siano peggiori. Si tratta, nell’uno come nell’altro caso, di una valutazione ascrittiva, attribuita ad una persona non per quello che fa ma per ciò che si presume sia in quanto appartenente ad un gruppo, indipendente da qualsiasi riscontro di merito. Gli ebrei, che siano buoni o cattivi, secondo questo criterio sono sempre "i soliti ebrei": come si dice oggi di stimarli, domani li si può odiare. A partire dal potere di veto che gli si è falsamente attribuito. La pregiudiziale, invece, è quella a-fascista, che si è affermata nel nostro paese e che sta producendo un pericoloso cortocircuito tra l’immagine del fascismo storico (non meno che dei suoi derivati, a partire dal neofascismo) e la sostanza del suo operato. Laddove della prima si edulcorano tutti gli aspetti, occultando completamente la tragicità del secondo. Che non si tratti di un mero problema storiografico bensì di una questione tutta politica sarà chiaro a molti dei lettori. Poiché l’anestetizzazione del passato, che si consuma attraverso la svalutazione dell’antifascismo (ridotto alla sua macchiettistica scimmiottatura) e la simmetrica rivalutazione degli esponenti dall’antidemocrazia, è la via maestra per legittimare la secca riduzione degli spazi di libertà e il ritorno agli autoritarismi. La vicenda della tentata titolazione di una via ad Almirante diventa così l’indice di un processo culturale che è in corso, ben lontano dall’avere esaurito tutti i suoi effetti. Anche nel torpore delle equiparazioni maturano le condizioni per rendere accettabile quello che, altrimenti, non lo sarebbe. Che gli ebrei siano chiamati a fare da sponda legittimante per tutto ciò non può che fare rabbrividire (e riflettere) ancora di più.
Claudio Vercelli

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