giovedì 11 settembre 2008

Alessandro Litta su Gramsci

Dall'Opinione

C’è un Gramsci da salvare

di Alessandro Litta Modignani

Il ministro dei beni culturali Sandro Bondi invita a leggere Gramsci nelle scuole, ma il ministro-ombra del Pd Vincenzo Cerami confessa di averne fatto indigestione, provocando il caustico commento di Orso di Pietra sulla prima pagina di questo giornale. Al di là del divertente minuetto, la questione si presta a qualche riflessione, sul piano storico e culturale.
Antonio Gramsci è stato il fondatore del Partito comunista d’Italia e, in quanto tale, il giudizio di condanna nei suoi confronti da parte della cultura liberale deve essere netto e inappellabile. Non ci possono essere equivoci al riguardo. Il pensiero politico gramsciano, per quanto originale, presenta caratteristiche indiscutibilmente autoritarie e totalitarie. Il Partito con la “P” maiuscola, “intellettuale collettivo” e versione moderna del Principe descritto da Machiavelli, fa venire la pelle d’oca; la conseguente necessità, per gli intellettuali propriamente detti, di essere “organici” al Partito (ne abbiamo conosciuti tanti) è semplicemente aberrante, perché un intellettuale che si rispetti deve essere organico alla verità e a nient’altro.
Ciò detto e chiarito, cosa salvare del pensiero di Gramsci ? Sicuramente le pagine su “Letteratura e vita nazionale”, nella quali il padre nobile del comunismo italiano mette in luce il provincialismo storico della nostra cultura, perennemente sottomessa alla funzione “cosmopolita”, e dunque anti-nazionale, della Chiesa cattolica.
Anche le categorie politiche di “blocco storico” e “crisi organica” sono tuttora utili, per interpretare i fenomeni collettivi nelle democrazie moderne. L’alleanza fra le forze sociali emergenti – quelle “energie nuove” di cui parlava Piero Gobetti per una possibile rivoluzione liberale – è un concetto sempre attuale: non si parla oggi di “popolo delle partite Iva” e di “nuove professioni” ? Quanto alle crisi di sistema, Gramsci ne conobbe e studiò principalmente due: quella russa e quella italiana, che produssero rispettivamente il comunismo e il fascismo. Ma indipendentemente da quei tragici esiti, le crisi di consenso tuttora provocano il collasso dei sistemi politici. La capacità dimostrata nell’interpretarne i meccanismi, fanno di Gramsci un’intelligenza politica di prim’ordine.
Proprio quell’intelligenza che il Tribunale speciale fascista gli riconobbe, quando disse che bisognava “impedire a quel cervello di pensare per vent’anni”. Venne condannato, ma lo scopo non fu raggiunto. Al contrario, proprio dal carcere Gramsci poté produrre quei “quaderni” che oggi fanno parte a pieno titolo della nostra cultura nazionale.
Se fosse stato lasciato libero, sarebbe finito sicuramente peggio. Sarebbe infatti emigrato a Mosca, dove l’intimo rigore e l’onestà intellettuale gli avrebbero inevitabilmente procurato un viaggio senza ritorno verso un gulag siberiano. Egli infatti non possedeva quella proverbiale “doppiezza” che fu invece il tratto distintivo della personalità di Palmiro Togliatti.
Gravemente malato, Gramsci rifiutò di sottomettersi e di chiedere la grazia al fascismo. “Ci sono circostanze nella vita - scrisse alla vecchia madre - nelle quali è destino che i figli debbano dare un grande dolore alle loro madri, se vogliono mantenere la loro dignità di uomini”. Sandro Bondi ha ragione: anche per un liberale, Antonio Gramsci può essere una lettura istruttiva.

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