sabato 6 settembre 2008

Biagio De Giovanni: nel PD

Nel Pd non gira un’idea che sia una
• da Il Riformista del 5 settembre 2008, pag. 1
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di Biagio De Giovanni
Ipnotizzato da Berlusconi, dal berlusconismo e soprattutto dall’antiberlusconismo, il centrosinistra italiano non sembra essersi reso conto non dico dell’entità della sconfitta subita, ma del carattere periodizzante delle elezioni di aprile e delle radicali novità di storia politica che esse comportano. Per la prima volta tutte le forze che hanno governato la Prima Repubblica sono state collocate all’opposizione; per la prima volta, una coalizione di centrodestra, senza confini a destra se non marginali, governa l’Italia, priva anche del contributo di alcuni eredi della Dc; per la prima volta, nella storia dell’Italia democratica, un grande partito di centrodestra in formazione (la De era tutt’altra cosa) si va radicando nella società, e sviluppa i tratti di una sua cultura politica e si colloca in una reinterpretazione dei canoni più consolidati della stessa storia repubblicana, a muovere dal senso dello Stato unitario, ricostituendo le linee di una sua nuova e inedita legittimazione.
Quante cose stanno accadendo per la prima volta! Dinanzi a questo terremoto culturale e politico, sicuramente di portata storica, sul fronte opposto dominano scarsa consapevolezza della posta in gioco, poco coraggio di interrogare l’Italia e se stessi, e ci si divide tra un fragile gioco di rimessa e una persistente analisi paragiudiziaria del berlusconismo, visto o come una clamorosa e provvisoria(!) eccezione, o come causa ed effetto di una mucillagine sociale - che Berlusconi ha magari contribuito a produrre e che lo riproduce moltiplicato per mille - dentro la quale si vanno disperdendo i "valori" di una comunità nazionale ed emerge la "vitalità" dell’Italia peggiore. Di una analisi storico-politica non sembra che si avverta il bisogno. Su questo fronte, a parte la differente eleganza e complessità delle argomentazioni, si ritrovano insieme Eugenio Scalfari e Furio Colombo, e mi scuso con il fondatore di Repubblica per questa semplificazione che tuttavia non mi pare inappropriata. Non parlo di Antonio Di Pietro, che la sua piccola rendita la realizza proprio nella diagnosi indicata e dunque non può che riprodurla per naturale istinto di sopravvivenza.

In questo quadro, la difficoltà del centrosinistra appare anzitutto culturale, come avviene sempre quando la crisi di una forza politica è talmente profonda da toccare la struttura intima del suo sistema ideale. Il Partito democratico ha commesso un clamoroso errore nell’immaginare di poter nascere, come è stato detto, «perché il Novecento è finito», e dunque i vecchi sistemi di idee potevano semplicemente andare in soffitta. La verità è che essi erano attraversati pur sempre da un senso della storia e germinavano da una dialettica storica e politica che dava corpo e sostanza alle forze esistenti. Perché nella "melassa conflittuale" del Partito democratico non gira una idea? Forse perché, vichianamente, «natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise», e se quel partito ha deciso di nascere mettendo insieme delle oligarchie almeno in parte stanche e sconfitte, rinunciando a costruire un processo autocritico di rilettura della storia d’Italia e della propria funzione nazionale, il risultato non poteva essere granché diverso. Veltroni ha provato a dare una scossa, ma si è come fermato a mezz’aria, bloccato da che cosa? Un elemento è nella sottovalutazione della strategia avversaria, di quella capacità del centrodestra di trasmettere una visione dell’Italia, di mettersi in sintonia, insieme, con gli strati più vitali e aggressivi e quelli più tradizionalisti (l’Italia peggiore nella rappresentazione di Eugenio Scalfari), in un quadro rozzo e profondo, demagogico e penetrante, parolaio e decisionista, ma capace di rimettere in discussione idee che sono state cardini della storia repubblicana. La raffinata sinistra perde il confronto proprio sulle idee, dopo aver dominato in lungo e in largo, attraverso di esse, l’Italia repubblicana? Sarebbe un bel contrapasso, ma è proprio così che si stanno svolgendo le cose. Il centrosinistra è senza idee, è come lo stanco erede di se stesso, disunito e conflittuale non sulle idee ma sulle microlotte di potere al proprio interno.

Il centrodestra sembra invece avere una visione dell’Italia, e a modo suo la porta avanti. Ha mandato in soffitta la questione meridionale, e quella decisiva rappresentazione della storia d’Italia che ha fatto perno su di essa. Il Mezzogiorno oggi dibatte sul federalismo fiscale. La questione settentrionale indica un’altra direzione alla storia d’Italia: la "rozza" Lega (ma si può star tranquilli: Colombo ci ricorda di non aver mai stretto la mano a Calderoli) ha deciso, con genuino istinto politico, le priorità di questa agenda, che costituisce un altro modo di leggere la formazione della coscienza nazionale e un’altra risposta al dualismo italiano. Il revisionismo storiografico (che non appartiene, certo, esaustivamente a un campo politico, ma che è comunque segno di una sensibilità una volta inconsistente) sta lavorando ai fianchi la lettura mitica della Resistenza e anche della Costituzione, mettendo in discussione l’enorme patrimonio di egemonia accumulato nella Dc e nel Pci per cinquant’anni. Si va incrinando il corporativismo sindacale, e si mostra che il re è nudo: il paese più sindacalizzato d’Europa - risultato del compromesso Dc-Pci - è quello con i salari più bassi d’Europa e con la strage pressocché quotidiana delle morti bianche. Alla visione di Giulio Tremonti sulla globalizzazione, al netto di tutte le ironie che si è tirato dietro, non corrisponde molto sul piano opposto se non spesso una vaga melassa cosmopolita. E si potrebbe naturalmente continuare.

Nessuno è in grado di prevedere, certo, quale fisionomia avrà l’Italia alla fine della legislatura. Ma sarà assai diversa da quella attuale, e al centrosinistra servirà un Tony Blair - dopo, mutatis mutandis, Berlusconi-Thatcher - per riprendere il filo di un proprio discorso con questa Italia che la "cultura" del centrodestra (posso utilizzare questa parola senza scandalo a sinistra?) avrà certamente contribuito a cambiare. Per ora, questa figura non si intravede. come non si intravede l’abbozzo di una nuova cultura politica, ma se non dovessero, prima o dopo, quella figura e quella cultura irrompere sulla scena politica, sarà difficile ridurre i tempi di una lunga separazione del centrosinistra italiano dall’Italia reale.

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