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Criticare gli eletti dal popolo
Data di pubblicazione: 13.10.2009
Autore: Prosperi, Adriano
“È difficile cercar di ragionare con un presidente del Consiglio dei Ministri che scatena il suo uditorio contro due pilastri del sistema politico”. La Repubblica, 13 ottobre 2009
La cronaca di oggi reca un invito alla ribellione contro un giornale – questo giornale – perché «parla male del governo». È difficile cercar di ragionare con un presidente del Consiglio dei Ministri che scatena il suo uditorio contro due pilastri del sistema politico, non solo di quello italiano: la libertà di opinione, incluso il sacrosanto diritto di critica della libera stampa e la funzione di supremo garante del nostro ordinamento svolta dal presidente della Repubblica. È una violenta semplificazione del sistema fondato sulla separazione dei poteri fondamentali e sulla gelosa tutela dei diritti sanciti dalla Carta costituzionale, sottratta per definizione alle turbolenze della politica quotidiana. Di questo attacco, indiscutibilmente eversivo, vorremmo qui esaminare pacatamente l´unico argomento su cui si regge, che è questo: l´eletto del popolo, chi possiede la maggioranza del consenso popolare, non deve essere criticato né può sottostare alle regole dei normali cittadini. Chi lo critica o lo ostacola boicotta il paese intero che lui incarna per effetto dell´investitura popolare. Da tempo in Italia si fa un uso quotidiano, aggressivo ma anche fastidiosamente lamentoso e piagnucoloso del principio di maggioranza. Si dice: la maggioranza parlamentare ha il diritto di governare . Il governo è l´espressione della maggioranza degli elettori, dunque le leggi varate dalla maggioranza non debbono essere ostacolate dalle minoranze. I ministri rivendicano il diritto-dovere di comandare e di essere obbediti. Un preside di scuola non obbedisce al ministro della Pubblica istruzione? Un magistrato applica una sentenza e consente la sospensione delle cure a un malato terminale? Ecco fioccare dalla maggioranza disobbedita ispezioni, minacce, ritorsioni. E il principio è sempre quello: gli eletti del popolo rappresentano la maggioranza e non debbono essere ostacolati. La punta massima di questa tendenza è stata toccata dagli avvocati/parlamentari di Berlusconi che hanno sostenuto davanti alla Corte costituzionale che il leader eletto dal popolo è non un primo tra pari ma il primo sopra tutti e perciò sottratto alla legge comune: un principio che solo il papato teocratico del Medioevo tentò di sostenere, sia pure in nome di Dio. Alla ambizione del leader e dei suoi corrisponde un sentimento di frustrazione, un misto di rabbia e di violenza impotente ogni volta che nei campi più diversi, dalla giustizia all´economia, dalla politica alla religione, non si riesce ad applicare il principio dell´incontrastato diritto della maggioranza di comandare. Comandare, non governare. Ci sono minoranze religiose in Italia ma l´unico insegnamento obbligatorio è quello della religione cattolica . C´è un milione di disoccupati ma la maggioranza se la cava bene e di quelli non s´ha da parlare. C´è un giornale che critica e domanda: è un nemico, non si risponde e si chiede di boicottarlo. Il diritto della maggioranza di cancellare la minoranza si declina anche in chiave locale: e così via l´italiano , avanti i dialetti; via dal nord gli insegnanti e i presidi meridionali; via la minoranza degli immigrati, per definizione senza diritti. Intanto la maggioranza si prepara a infliggerci l´obbligo di cure forzate anche per chi vorrebbe avere il diritto di scegliere la sua morte, a saldo del conto livoroso aperto col caso Englaro. Così, passo dopo passo, è tornato in vigore il principio che ciò che vuole il capo eletto dalla maggioranza deve essere legge per il popolo, senza che nessun altro organo dello stato possa opporsi. Come il borghese gentiluomo di Molière, il nostro presidente del Consiglio e i suoi parlano in prosa senza saperlo: una prosa non neoliberale come mostrano di credere gli ossequienti commentatori dell´establishment italiano, ma vetero-dittatoriale. E perché inconsapevoli della lingua che usano , osano sostenere che per l´ideologia neoliberale chi ha avuto l´investitura dal popolo deve comandare senza intralci. Da qui le continue grida di un fastidio volgarissimo anche nei modi (ci vorrebbe altro che Monsignor Della Casa) verso le lentezze del potere legislativo, l´autonomia del potere giudiziario, la funzione di garanzia della Presidenza della Repubblica, la stessa carta costituzionale e la Corte che si ostina - con indubbio coraggio civile - a tutelarla. C´è chi prova a alleggerire la tensione suggerendo di ricorrere al bromuro. Ma queste sono manifestazioni di una sindrome assai più grave di una alterazione di umore individuale: una sindrome che si riassume nell´idea che il capo dell´esecutivo non debba conoscere limiti alla sua volontà in quanto espressione mistica della volontà di tutti. Come ha osservato Hanna Arendt, questa idea si fonda su di una finzione: la maggioranza finge di essere la totalità e facendo di questo la regola di una democrazia senza costituzione, schiaccia i diritti delle minoranze e cancella il dissenso senza nemmeno ricorrere alla violenza. Sono parole da meditare in un paese come il nostro dove dissenso e diritti di minoranza stanno scomparendo silenziosamente e la costituzione è sotto attacco.
In Italia c´è stato chi ha spiegato bene come sia nato e quanti problemi abbia posto il principio di maggioranza: è stato Edoardo Ruffini, autore di un profilo storico del principio maggioritario uscito nel lontano 1927 , mentre il padre suo Francesco Ruffini , maestro del giovane Bobbio, pubblicava i suoi «Diritti di libertà» per le edizioni di Piero Gobetti. Edoardo Ruffini spiegò qui e in altri studi, ripresi e stampati poi tra il 1976 e il 1977, come il principio maggioritario avesse dovuto fare i conti nella sua lunga e non lineare storia col problema della tutela dei diritti delle minoranze, garantiti per esempio nel caso degli Stati Uniti d´America sottraendo le leggi fondamentali all´arbitrio della maggioranza. Le ragioni di quella ricerca si radicavano nella coscienza dell´autore e trovarono un esito nelle sue scelte di cittadino. Per lui i diritti individuali della libera coscienza erano il limite insuperabile da opporre alla dittatura di una maggioranza che tendeva alla soppressione delle minoranze. Edoardo fu, accanto al padre Francesco, uno dei dodici professori che non si piegarono all´infamia del giuramento di fedeltà al regime fascista e persero di conseguenza la cattedra.
Dodici su dodicimila. Una trascurabile minoranza: «sublimato all´un per mille», scrisse la stampa del regime. E il regime, che dal consenso della maggioranza aveva fatto nascere uno stato totalitario, tirò dritto per la sua strada. Oggi sappiamo come finì.
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