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Appunti per la sinistra da fare
di Redazione - Categoria: News - 14 ottobre 2009 - Letto 26 volte
di Giacomo Marossi – da Mileft
Quando muore un’idea politica o ne nasce una nuova di solito vuole dire che sono nati anche nuovi motivi o che ne sono morti di vecchi. Quando muore un’idea politica vuole dire che le ragioni sociali e ideali che la rendevano viva sono scomparse e che altri problemi sono sorti rendendo i vecchi superati. Noi non crediamo che i motivi che ispirano da un secolo a questa parte l’azione dei partiti della sinistra siano finiti ma anzi che essi si ripropongano oggi, sempre irrisolti, con una potenza e una carica più forte che mai prima d’ora. In questi 15 anni di sbandamento politico-culturale seguiti alla caduta del muro e, in generale, in questi 20 anni seguiti a quella che è stata chiamata con grande bellezza (nel nome se non altro) fine delle grandi narrazioni si è sentito ripetere ogni giorno che la sinistra era finita ed aveva perso di senso.
La sinistra, e non intendiamo con questo la sinistra marxista, ma tutta quella sinistra in genere individualista, socialista, anarchica, riformista, secondo queste tesi sarebbe morta e sepolta perché i problemi che ci troviamo ad affrontare oggi sarebbero “altri”. Credo che basti farsi un giretto in un quartiere qualsiasi della periferia milanese osservandone il degrado crescente, la dignità e la modestia decorosa in calo vertiginoso, per rendersi conto di quanto questi “altri” problemi siano, in realtà, sempre gli stessi. Basta poi dare uno sguardo al panorama sociale del nostro paese per rendersi conto che gli obiettivi di mobilità sociale che hanno ispirato per 100 anni l’operato dei partiti riformisti (cattolici e socialisti) non solo non sono stati raggiunti, ma si sono fatti molto più lontani. L’obiettivo chiaro di una politica di sinistra è l’emancipazione della società da tutte le sue “tare”, da tutti i suoi virus pericolosi: nepotismo, oltranzismo religioso, corporativismo, sfruttamento degli altri, illiberalismo…
Sentendo parlare giovani e meno giovani appartenenti ai grandi partiti politici di oggi ci viene sempre spiegato come “le vecchie famiglie politiche del ‘900 siano a dimenticare, da superare”. Hegel insegna però che il superamento non significa un sorpasso da destra in corsia d’emergenza quando c’è coda, ma una sintesi tra nuovo e vecchio che permetta un progresso, un continuare su una strada rivelatasi giusta aggiornando ed aggiungendovi il nuovo.
La fine delle grandi narrazioni ha singnificato per la sinistra politica un’incapacità di parlare. Come nella letteratura in politica ci si è rinchiusi in giochi linguistici di scarso peso per nascondere la mancata comprensione del mondo che circondava i protagonisti.
In questa incapacità di parlare, causata da un’incapacità evidente di capire, è maturata la convinzione che la sinistra fosse destinata a morte certa, e sicuramente, perché sia chiaro che qua non si vuole difendere ed accusare nessuno, i rappresentanti politici della cosidetta “sinistra” non hanno contribuito a smentire questa tesi col loro pessimo operato.
Questa convinzione, però, non ha fatto i conti col mondo circostante.
Qualche esempio:
• Il presidente americano Obama vince le elezioni in un paese storicamente super liberista proponendo un modello di welfare state simile (molto alla lontana) al cosidetto welfare europero frutto della collaborazione tra cristianosociali e socialisti nel dopoguerra.
• La Lega Nord, nato come partito delle classi medio alte “padane”, spadroneggia oramai nel classico ambiente operaio e, più in genere, “proletario” (sempre che questa parola significhi ancora qualcosa) divenendone la principale rappresentante.
• Silvio Berlusconi governa l’Italia (praticamente da vent’anni) su parole d’ordine non di sinistra ma che mirano a risolvere problemi storicamente di sinistra: siamo al paradosso che mentre il ministro del tesoro Tremonti accusa i banchieri e l’elite economista di scarsa comprensione della congiuntura economica, la sinistra li difende; che mentre Berlusconi, per motivi altri naturalmente dal laicismo, attacca a testa bassa la Chiesa Cattolica, la sinistra la difende stracciandosi le vesti.
Questi esempi manifestano una semplice verità: i problemi da cui la sinistra era nata, le idee di cui si era nutrita non solo non sono morti, ma permettono anche di vincere le elezioni e di governare un paese.
Il problema allora è veramente linguistico, o meglio comunicativo, o meglio, in fin dei conti, puramente politico. Il problema è l’incapacità di grandi fette della sinistra, dalla più estrema (quella si morta perché inesistenti i motivi legati ad uno sbagliato modello reiterativo del marxismo fondato sul conflitto sociale e sulla lotta proletaria) alla più moderata di fare autocritica, riorganizzarsi e ricominciare a fare politica. Già perché fare politica è soprattutto convincere il prossimo che le idee in cui crediamo sono migliori di quelle degli altri. Fare politica è, ha detto qualcuno, adeguamento della propria azione alla realtà vivente che cambia. Quindi ricominciare a spiegare quali sono quelle idee, cosa vuole fare una sinistra oggi per cambiare il paese, è la prima cosa che una sinistra vera e propria dovrebbe cominciare a fare.
Così arriviamo al motivo di fondo: la sinistra dopo la caduta del muro, per la fretta di nasconderne sotto il tappeto le macerie al grido di “mai stati comunisti!”, ha seppellito insieme a quelle tutta la storia della sinistra italiana; ha nascosto e poi dimenticato sotto il tappeto tutte le idee buone che la muovevano, tutte le idee vincenti, per paura che la mamma, tornando a casa, trovasse i cocci rotti del suo prezioso vaso ming. Ma come sanno bene tutti i monelli di questo paese, la mamma può non vedere i cocci, ma la mancanza del vaso prima in bella vista in salotto e ora sparito certo non può non notarla: ed eccoci al punto i cittadini elettori hanno visto benissimo che le idee sono sparite, che la ristrutturazione, sacrosanta, postcomunista non ha portato ad idee nuove per la risoluzione di quei sempre vecchi problemi di emancipazione sociale, ma ha semplicemente portato ad un vuoto desolante, ad un deserto della ragione in cui non rimane (per dirla con Ungaretti) “Che qualche/ Brandello di muro/ Di tanti/ Che mi corrispondevano/ Non è rimasto/ Neppure tanto”.
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