da La Stampa
23/10/2009 - IL VECCHIO CRONISTA
La feroce estate dei colonnelli
IGOR MAN
Abbasso i colonnelli, ha gridato un giovine deputato durante un acceso dibattito in televisione. Siamo abituati alla canizza che fantasiosi ospiti scatenano alla tv con evidente divertimento personale ma quel richiamo ai «colonnelli» ci ha velocemente portati (con l’ascensore della memoria) alla rovente estate del 1965 allorché tre colonnelli, giustappunto, con un golpe da manuale presero il potere (col tacito consenso di Costantino, re di Grecia) instaurando una volgare dittatura sui generis: un mix di destra militarfascista grottesca eppur feroce, unmoralismo accattone con seriosecampagne contro i capelloni e la minigonna. Il lutto sottobraccio con le grandi democrazie occidentali. Oggi è facile ricordare quel colpo di stato nel Paese culla della democrazia, maallora fu una tragedia. (Un piccolo dettaglio: la stampa italiana spedì giovani giornalisti coraggiosi in Atene e quei ragazzi denunciarono la brutalità dei colonnelli, pagando brutto pegno: l’arresto, il sequestro del materiale, l’espulsione. Atene era in lutto stretto,maquella gente tenne accesa la speranza e l’orgoglio d’un popolo fiero, apparentemente incasinato).
Oggi che un ragionevole governo democratico restituisce ai greci la parola, il vecchio cronista ricorda un momento dell’estate insanguinata dal golpe di Papadopulos & C.; trascrivo dal taccuino: «Oggi ho vistoGeorge Papandreu. I colonnelli volevano provare ch’egli è vivo e lo han costretto a ricevere la stampa. Siamoin cinquanta a salire le scale dell’ospedale militare. È l’ora del pasto, nell’aria galleggia un tanfo di zuppa e acido fenico. (...) Entriamo nella stanza 625, tre alla volta: tre dentro, tre fuori. Ci concedono due domande. George Papandreu è seduto su diuna bassa poltrona, la schiena abbandonata all’indietro, ma non appena entriamo erge il busto levando la testa spoglia inungesto di sfida. Alla sua destra unmedico, alla sinistra un ufficiale. Un grande mazzo di rose rosse, untelevisore, un transistor. Sulcomodino una tazza di caffè consumata a metà. In un angolo una valigia di cuoio, zeppa di etichette. Possiamo rivolgergli due domande. Prima: «Come sta, è ben curato?» - Risposta: «Il trattamento all’ospedale è ottimo». Seconda: «Cosa puòdire del trattamento dei soldati? ». «I soldati fanno il loro mestiere», e ha un gesto di fastidio. Chinandosi su di lui: «Good luck mister President» mormora un collega americano. «Buona fortuna, signor Presidente da parte dei lettori della Stampa », gli dico in francese prendendo così in contropiede l’ufficiale-mastino. «Merci mon petit», risponde il grande vecchio, in francese, rapidissimamente, un guizzo divertito sulle labbra affilate. Ratto si impadronisce del microfono del corrispondente della tv dei colonnelli. Scandisce: «Wla liberté», e la sua voce, ora, èquella diunpatriarca.
Uscendo qualcuno dice: «Quello che abbiamo visto ora è il simbolo della democrazia umiliata». Andiamo via alla spicciolata, mortificati.Masappiamo che la democrazia nonmuore. Mai.
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