Dall'Unione Sarda, 16 ottobre 2009
La lezione di Bobbio e il futuro della sinistra italiana
“Non sarebbe bene di finirla con le questioni di parole e affrontare con maggiore impegno i problemi che riguardano le cose da fare in questo paese che sta andando alla deriva?” Così domandava in una sua lettera allo storico Tamburrano Norberto Bobbio, il grande filosofo del diritto e scienziato della politica del quale in questi giorni, era nato infatti il 15 ottobre 1909, sono iniziate le celebrazioni a livello nazionale ed internazionale per il centenario della nascita. Molti saranno i convegni e le riflessioni che si soffermeranno su questo grande italiano del Novecento, oltre che i libri tra cui si segnala l’antologia curata da Marco Revelli dal titolo Etica e politica (I Meridiani Mondadori, pp. 1718, € 55).
La politica, oggetto di studio ma anche di passione civica, coltivata quasi mai da militante, se si escludono le parentesi azionista e nel Partito Socialista, a cui anche da ultranovantenne e sino alla morte, avvenuta il 9 gennaio 2004, Bobbio continuò a dedicare riflessioni fondamentali. Può essere assai stimolante tornare ad esempio sulle considerazioni del filosofo torinese rispetto alla natura e alle prospettive della sinistra italiana. Dopo la fine dell’esperienza del Partito d’Azione, rimasto fedele agli ideali del liberalsocialismo, dedicò infatti molte delle sue energie intellettuali al dibattito e al confronto, spesso aspro, con i comunisti italiani, a partire dalla polemica degli anni Cinquanta con Togliatti, poi raccolta nel fondamentale volume “Politica e cultura”, dove sostenne senza riserve il primato dell’autonomia dell’intellettuale rispetto ai partiti (“il suo compito è quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze”) e ribadì la centralità della libertà di pensiero e di critica come elemento fondante dell’impegno culturale. Tutti elementi, osservava il filosofo, che non sussistevano nel mondo sovietico dove evidentemente esisteva un grande problema di assenza di libertà, di verifica del consenso tramite elezioni aperte a tutti e di mancanza di divisione dei poteri, concentrati tutti nell’apparato del PCUS. Peraltro, proprio in merito ai suoi rapporti con il PCI, i suoi critici non mancarono di accusare lui e gli altri azionisti di “liberalismo strabico” per il loro mai celato obiettivo di favorire la trasformazione dei comunisti italiani in socialisti europei secondo il modello continentale e scandinavo.
Gli anni Settanta, dopo la delusione per la riunificazione socialista del 1966, videro il suo impegno concentrato soprattutto sulle pagine della rivista di cultura socialista “Mondoperaio” da dove criticò il disegno della terza via dell’eurocomunismo berlingueriano, giudicata una battuta d’arresto inutile rispetto al raggiungimento della prospettiva socialdemocratica, ma anche il progetto sostanziale del compromesso storico, a suo avviso un pericolo per il profilo democratico del sistema italiano in quanto l’amplissima maggioranza avrebbe reso difficile la formazione di ogni possibile alternativa. Gli anni di Craxi videro invece Bobbio biasimare il nuovo segretario socialista per il suo atteggiamento nei confronti del PCI, paragonato a quello di chi attende invano il cadavere del nemico sulla riva, a cui rimproverò di aver ostacolato il dialogo verso la riunificazione della sinistra, vera anomalia italiana ma anche di aver introdotto tendenze plebiscitarie e presidenzialiste nella storia socialista, arrivando a definire “democrazia dell’applauso” in un famoso articolo la rielezione craxiana per acclamazione al congresso PSI di Verona nel 1984. Atteggiamenti condivisi dall’allora inquilino socialista del Quirinale, Sandro Pertini, a cui lo legava peraltro la comune concezione del socialismo come unione fra giustizia sociale e libertà, che lo nominò Senatore a vita nel 1984.
Il pessimismo e la delusione per gli scenari apertisi dopo il 1989 e il 1992, con quella che gli parve una grave degenerazione del sistema politico italiano culminata con l’ascesa di Berlusconi (che fu tra i primi a criticare duramente soprattutto su “La Stampa”), e della Lega (con la Padania definita impietosamente “uno sgorbio storico e geografico”), lo portarono alla stesura del bestseller “Destra e sinistra”, pubblicato da Donzelli, un testo dove riaffermò la distinzione tra le due categorie politiche a partire dal tema della disuguaglianza. Fu in quei frangenti che la sinistra, secondo Bobbio, perse l’occasione di rinascere dalle macerie del Muro all’insegna di un nuovo progetto unitario rappresentato da un socialismo umanista capace di coniugare giustizia sociale, libertà e repubblicanesimo. E non mancò di lanciare avvertimenti alla sinistra post-comunista per evitare che, ansiosa di legittimazione, potesse diventare succube della proposta neoliberista limitandosi ad accettare la realtà senza rilanciare in chiave democratica nel XXI secolo quelle tematiche che nell’Ottocento avevano portato alla fondazione dei partiti socialisti. Senza dimenticare le sue molteplici critiche contro l’affermazione, a destra come a sinistra, di partiti personali ritagliati su un leader carismatico, spesso proveniente dal mondo imprenditoriale, che non accetta la crescita di minoranze critiche interne e a cui i militanti riservano un’obbedienza quasi religiosa.
Sono queste le ragioni per il quale il centenario della nascita di Bobbio può rappresentare l’occasione per riscoprirne la lezione e provare a lavorare, sulla base delle sue riflessioni, per garantire quel profilo di serietà ed impegno ad una politica come quella italiana oggi più che mai all’affannosa ricerca di una sua identità.
Gianluca Scroccu
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