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> di Antonio Massarutto
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> Il premio Nobel a Elinor Ostrom riconosce l'importanza di aver
> ipotizzato l'esistenza di una terza via tra Stato e mercato. Quella di
> Ostrom è una teoria complessiva che identifica le condizioni che devono
> valere affinché una gestione "comunitaria" possa rimanere sostenibile
> nel lungo termine. Una lezione di particolare importanza oggi a
> proposito dei beni collettivi globali, come l'atmosfera, il clima o gli
> oceani. Ma molto significativa anche per l'attuale crisi finanziaria,
> che si può leggere come il saccheggio di una proprietà comune: la
> fiducia degli investitori.
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> Elinor Ostrom (Courtesy of Indiana University)
>
> Uno dei dogmi fondativi della moderna *economia dell'ambiente* è la
> cosiddetta "tragedy of the commons", risalente a Garrett Hardin. Secondo
> questa impostazione, se un bene non appartiene a nessuno ma è
> liberamente accessibile, vi è una tendenza a sovrasfruttarlo.
> L'individuo che si appropria del bene comune, deteriorandolo, infatti,
> gode per intero del beneficio, mentre sostiene solo una piccola parte
> del costo (in quanto questo costo verrà socializzato). Poiché tutti
> ragionano nello stesso modo, il risultato è il *saccheggio del bene*.
> Analogamente, nessuno è incentivato a darsi da fare per migliorare il
> bene, poiché sosterrebbe un costo a fronte di un beneficio di cui non
> potrebbe appropriarsi che in parte.
>
> UNA TERZA VIA TRA STATO E MERCATO
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> Il ragionamento di Hardin partiva dall'esempio delle /enclosures/
> inglesi, precondizione della Rivoluzione industriale. La recinzione
> delle terre comuni, in questa visione, costituiva il necessario
> presupposto di una gestione razionale ed efficiente: mentre in regime di
> libero accesso il pascolo indiscriminato stava portando alla rovina del
> territorio, il *proprietario privato*, in quanto detentore del surplus,
> aveva l'interesse a sfruttare il bene in modo ottimale e a investire per
> il suo miglioramento.
> Quando non vi sono le condizioni per un'appropriazione privata, deve
> essere semmai lo Stato ad assumere la *proprietà pubblica*. Solo i beni
> così abbondanti da non avere valore economico possono essere lasciati al
> libero accesso; per tutti gli altri occorre definire un regime di
> diritto di proprietà privato o pubblico.
> Il merito di *Elinor Ostrom* è stato quello di ipotizzare l'esistenza di
> una "*terza via*" tra Stato e mercato, analizzando le condizioni che
> devono verificarsi affinché le common properties non degenerino. Ostrom
> prende le mosse dal lavoro di uno di quei precursori-anticipatori,
> troppo eterodossi per essere apprezzati nell'epoca in cui scrivevano: lo
> svizzero tedesco, naturalizzato americano, Ciriacy-Wantrup, che ancora
> negli anni Cinquanta osservava che vi sono nel mondo molti esempi di
> proprietà comuni che sfuggono al destino preconizzato da Hardin, come ad
> esempio le foreste e i pascoli alpini. Distingueva appunto le "common
> pool resources" (res communis omnium) dai "free goods" (res nullius):
> nel primo caso, pur in assenza di un'entità che possa vantare diritti di
> proprietà esclusivi, a fare la differenza è l'esistenza di una comunità,
> l'appartenenza alla quale impone agli individui certi diritti di
> sfruttamento del bene comune, ma anche determinati doveri di provvedere
> alla sua gestione, manutenzione e riproduzione, sanzionati dalla
> comunità stessa attraverso l'inclusione di chi ne rispetta le regole e
> l'esclusione di chi non le rispetta.
> Su queste fondamenta poggia l'edificio concettuale della Ostrom, la cui
> opera più importante, /Governing the Commons/, sviluppa una teoria
> complessiva che identifica le condizioni che devono valere affinché una
> *gestione "comunitaria"* possa rimanere sostenibile nel lungo termine.
> Analisi che intreccia con grande profondità e intelligenza la teoria
> delle istituzioni, il diritto, la teoria dei giochi, per lambire quasi
> le scienze sociali e l'antropologia.
> Il campo di applicazione delle ricerche sviluppate in questo filone può
> far storcere il naso: dalle risorse di caccia degli Indiani d'America
> alle comunità di pescatori africani, o alla condivisione delle acque
> sotterranee in qualche remoto sistema agro-silvo-pastorale nepalese. Ma
> come spesso succede, applicare il concetto di base a un oggetto semplice
> consente di mettere a fuoco concetti e teorie di portata molto più generale.
> Non a caso, la lezione della Ostrom è di particolare importanza oggi, a
> proposito dei /global commons/, come l'atmosfera, il *clima* o gli
> oceani. Per applicare la ricetta di Hardin a questi beni, infatti, ci
> mancano sia un possibile proprietario privato, sia un soggetto statale
> in grado di affermare e difendere la proprietà pubblica. Il diritto
> internazionale, in questa prospettiva, altro non è che un sistema di
> governance applicato a un bene comune, e non vi è soluzione alternativa
> alla cooperazione tra i popoli della Terra per raggiungere un qualsiasi
> risultato in termini di lotta ai cambiamenti climatici.
> Ma è importantissima anche in quei casi -- si pensi alla *falda
> acquifera sotterranea* e più in generale alla regolamentazione delle
> fonti di impatto ambientale diffuse -- in cui un principio di proprietà
> pubblica è in astratto possibile e nei fatti esistente, almeno sulla
> carta; ma la sua attuazione effettiva si scontra, da un lato, con
> l'enormità dei costi amministrativi (in Italia ci sono centinaia di
> migliaia di pozzi privati che bisognerebbe monitorare per applicare la
> norma), dall'altro con la difficoltà politica di vietare comportamenti
> che sono prassi consolidate percepite come diritti.
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> UNA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA
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> Il lavoro di Ostrom trova punti di contatto con la *teoria dei giochi*,
> in particolare con quei filoni di ricerca che attraverso il concetto di
> gioco ripetuto mostrano come gli esiti distruttivi e socialmente non
> ottimali (equilibri di Nash, di cui la stessa "tragedy of the commons" è
> in fondo un esempio) possano essere evitati se nella ripetizione del
> gioco gli attori "scoprono" il vantaggio di *comportamenti cooperativi*,
> che a quel punto possono essere codificati in vere e proprie
> istituzioni. È interessante anche notare come il "comunitarismo" della
> Ostrom trovi qui un punto di contatto con "l'anarchismo" antistatale; ma
> Ostrom enfatizza piuttosto l'importanza della comunità, della democrazia
> partecipativa, della società civile organizzata, delle regole condivise
> e rispettate in quanto percepite come giuste e non per un calcolo di
> convenienza.
> Non mi risulta che Ostrom si sia mai occupata di *finanza*, ma è quanto
> meno singolare la coincidenza del premio con la ri-scoperta
> dell'importanza del capitale sociale e delle regole condivise per il
> buon funzionamento dei mercati. Forse anche la crisi finanziaria che
> stiamo vivendo altro non è che un esempio di "saccheggio" di una
> "proprietà comune", la f*iducia degli investitori*, per ricostruire la
> quale servirà qualcosa di più di una temporanea iniezione di capitale
> nel sistema bancario.
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