giovedì 3 settembre 2009

Ritanna Armeni: Torna la domanda

Il Riformista, 02/09/2009

Torna la domanda
Come sarebbe il Pdl senza Lui?

di Ritanna Armeni

Il Popolo della libertà riuscirebbe a sopravvivere all'uscita di scena del suo leader, Silvio Berlusconi, che ne è stato anche il padre padrone, il dominus assoluto? Possiede una cultura politica, valori, una visione del mondo unificante che riesca a tenere insieme - come è stato nel passato per molti partiti politici - anche posizioni differenti e fazioni e gruppi che si combattono fra loro? E ancora: senza Berlusconi riuscirebbe a non essere subalterno, a contrastare o, almeno, ad arginare la prepotente forza egemonica, l'astuzia tattica e il radicamento territoriale della Lega di Umberto Bossi?
Non sono domande astratte e peregrine. Le evidenti difficoltà fra il capo del governo e la Chiesa cattolica hanno posto di nuovo all'ordine del giorno la possibilità che Silvio Berlusconi non riesca a riprendersi e a superare il deterioramento della sua immagine pubblica non sia capace d reggere psicologicamente queste difficoltà e continui ad infilarsi in una serie di errori. Non era mai avvenuto per nessun capo di governo che la Chiesa decidesse - anche se probabilmente non volentieri - di prendere le distanze. Come del resto non era mai avvenuto che ad una popolarità interna che per Berlusconi si dice essere ancora molto alta corrispondesse un discredito internazionale così profondo e diffuso.
Il tema quindi non è peregrino. Non pochi alla domanda sulle possibilità di sopravvivenza del Popolo delle libertà rispondono che la ritengono difficile se non impossibile. E non siamo di fronte ad un wishfull thinking di sinistra. Sono di questa opinione anche osservatori di destra che ritengono il Popolo della libertà inadeguato ad affrontare il "dopo Berlusconi". Non perché - sia chiaro - oggi il Pdl sia un "partito di plastica" privo di un elettorato stabile e di un consenso certo. Nessuno è così sciocco da pensarlo. Ma perché, argomentano gli scettici, il popolo della Libertà sarebbe privo di un gruppo dirigente, all'interno del quale scegliere un leader unitario e sufficientemente carismatico. E sarebbe anche privo di un progetto, della capacità cioè di programmare e pensare il futuro del paese. Di conseguenza di quell'intelligenza che consente di ripartirsi potere e posti di governo mantenendo equilibrio e unità. A queste carenze ha finora sopperito Silvio Berlusconi. Le sue decisioni insindacabili hanno permesso di superare contrasti interni difficili e di mantenere sostanzialmente coeso il partito. Se Berlusconi dovesse abbandonare le ripercussioni sicuramente ci sarebbero e sarebbero forti, la frammentazione delle varie anime sarebbe inevitabile. Si potrebbe senza di lui decidere con tanta tranquillità di un ministro o un direttore di Tg? Probabilmente no. Questa l'analisi dei pessimisti.
All'idea che il Pdl non potrebbe resistere senza Berlusconi se ne contrappone oggi un'altra meno pessimista e più possibilista: se Berlusconi dovesse lasciare i meccanismi della gestione del potere ne risentirebbero di certo, la sua assenza provocherebbe forse all'inizio delle scosse, ma non è detto che le scosse, per quanto intense, riuscirebbero ad abbattere l'edificio del centro destra.
In questi anni, soprattutto per merito del suo leader, la destra e il centro destra si sono notevolmente rafforzati. E questa forza non appare oggi ridotta neppure dall'obiettivo deterioramento della figura del premier. Nel paese è prevalsa una cultura ed una ideologia forte. È passato un liberismo coniugato e reso appetibile dal populismo, è passato un individualismo che sfiora il disprezzo delle regole, un autoritarismo camuffato da democrazia. E' passato un principio di autorità che ha scardinato alcuni principi della cultura democratica. Tutto questo fa parte ormai del patrimonio del Popolo della libertà. Con contraddizioni certo, con minoranze che non ci stanno del tutto, con divisioni a volte anche profonde. Ma quanti partiti nel passato sono riusciti a sopravvivere per decenni anche in presenza di forti divisioni e di correnti l'un contro l'altra armate, perché le univa una idea o più idee di fondo? Siamo sicuri che il Popolo della libertà non possa farlo? Che nel paese una destra forte non riesca a sopravvivere anche senza Silvio Berlusconi? Che Tremonti o Fini non siano adeguati a tenere insieme il Popolo della libertà?
Allo stato attuale di questo esercizio di molti osservatori della politica si possono fare solo delle ipotesi. Molto dipende per dare una risposta positiva o negativa alla domanda sulla sopravvivenza del Pdl senza il suo leader dall'atteggiamento e dal comportamento di Lega di Umberto Bossi che senza la mediazione berlusconiana potrebbe prendere tutt'altro corso.
Ma molto - moltissimo - dipende dall'opposizione. L'eventuale uscita di Berlusconi porterebbe inevitabilmente ad esaurimento naturale l'antiberlusconismo cioè quella opposizione al leader del Popolo delle libertà fondata in gran parte sulla sua persona e sui suoi comportamenti privati a prescindere dai contenuti della sua politica. Di antiberlusconismo finora ha vissuto e si è alimentato gran parte dello schieramento a lui avverso e, molto, anche il partito democratico. A questo punto gli si offrirebbe un'opportunità: quella di affrontare e di combattere senza schermi e senza paraocchi il centro destra, le soluzioni che esso ha offerto al paese. Ne sarebbe capace oppure la fine inevitabile dell'antiberlusconismo svelerebbe anche il vuoto di proposte e di reale contrapposizione dell'opposizione? Anche questa è una domanda a cui è difficile rispondere oggi. Ma è questo l'interrogativo di fondo del congresso del Pd. È questa la domanda a cui si dovrà rispondere nel prossimo autunno.

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