Intervento conclusivo di NICHI VENDOLA all’assemblea SL
venerdì 25 settembre 2009, 19.16.04 | Ania Maslova
Vi ringrazio molto compagne e compagni. Questo vostro calore mi ripaga del gelo che ho provato negli ultimi mesi.
Abbiamo avuto una giornata straordinaria. Un dibattito vero, pieno di energia, incandescente in taluni momenti. E’ una platea che è rappresentativa di una domanda reale che c’è nel Paese. E’ una domanda che vive dentro percorsi e storie differenti, non dobbiamo mai dimenticarlo. Perché vedete, il gioco non può essere tra noi e chi diventa più impaziente degli altri. Siamo tutti molto impazienti di tornare a vivere in una grande avventura politica, di aver un grande partito della sinistra, di popolo, unitario, plurale. E’ una grande impazienza. Se permettete, non è soltanto un’impazienza di coloro che fanno politica, che hanno le loro biografie intrecciate nelle parole della sinistra, ma c’è un’impazienza persino senza parole oscura, da decifrare, che vive nella sofferenza sociale di coloro che non hanno più una rappresentazione politica della loro condizione, della loro estromissione, questo ci deve interessare. E dobbiamo, se posso dire così, con un suggerimento a me stesso: guardare a noi stessi mettendoci al riparo dagli eccessi dell’impazienza e dagli eccessi della pazienza. Perché l’impazienza può essere amica del settarismo. Noi siamo diversi. La composizione di queste diversità non si fa con l’applausometro, si fa con la fatica di conoscersi, con la fatica di camminare insieme. E’ una fatica, ma io vi devo fare una confessione: questa fatica non è la parte più brutta, è la parte più bella della construzione di una nuova sinistra, di una sinistra del tempo che verrà. E poi cercherò di spiegare a me stesso perché.
Naturalmente, la pazienza può essere amica del tatticismo, del politicismo, delle logiche di ceto politico. Quindi dobbiamo tornare ad avere una misura, dobbiamo avere un metro. Dobbiamo trovare proprio un registro oculato su cui scrivere le parole del nostro cammino.
Dobbiamo avere la responsabilità di misurare i nostri passi a partire da questa ambizione grande, che non è mettere su una scialuppa di salvataggio. Guardate che non ci vuol mettere in piedi un “partitino”, un gruppetto, una piccola storia. Io ho l’ambizione di lavorare, coniugare insieme la radicalità della voglia di cambiamento che mi porto dentro e la necessità di parlare ad un popolo grande, e non a qualche avanguardie o a qualche minoranza.
Ma c’è una buona notizia oggi, c’è una buona notizia che dobbiamo cogliere, compagni, tutti quanti insieme. Questa assemblea pone fine a quella specie di dubbio esistenziale, come un’ipoteca: ci siamo? Non ci siamo? Esisteremo? Ci dissolveremo? Perché noi abbiamo fatto un passo in avanti rispetto alle altre storie. Penso ad una storia a cui non hanno partecipato tutti coloro che adesso sono a quest’assemblea: la Sinistra Arcobaleno. Il giorno stesso della sconfitta ci siamo presentati divisi, ognuno a commentare per la propria parte, quella che era una catastrofe globale.
Noi abbiamo portato a casa un risultato importante dolo le elezion e abbiamo fatto lo sforzo in quel momento di non perdere il filo per tessere la trama unitaria e ci siamo presentati insieme. Non era mica facile. Noi non abbiamo un’omogeneità ideologica. Io sono comunista, vengo dalla storia comunista, altri con percorsi diversi vengono dalla storia comunista, i verdi sono stati con noi in tante battaglie diciamo radicali, e poi sono venuti con noi i compagni della storia socialista. No, no. E’ venuto con noi il Partito Socialista italiano, chiaro? Sapete, dobbiamo metterci d’accordo, vi dirò perché considero questo un vantaggio, ma il percorso non è scontato e non si fa con forzature, ma con …… che noi esistiamo, che noi abbiamo l’ambizione di presentarci ovunque alle prossime regionali Sinistra e Libertà. E di farlo per accumulare energie, per accumulare storie, per portare tanta gente dentro a questo cantiere, dentro questo percorso di esperienze noi abbiamo dato vita a quello che è un processo congressuale per arrivare alla fondazione del soggetto politico din Sinistra e Libertà. Non è una rinuncia, perché anche la fretta è nemica del fare bene e di fare un grande partito e non una piccola vicenda, una piccola storia. Va bene compagni.
Poi ognuno può pensare che la misura della propria vicenda è sufficiente per affrontare i problemi che abbiamo sulle spalle e che abbiamo di fronte. Io credo che se partiamo dall’interrogazione del paese, della crisi del paese e del modo in cui stiamo vivendo, forse possiamo arrivare alla conclusione che quest’avventura è partita con il piede giusto. Con tutti i ritardi, i difetti e i sospetti tra di noi, abbiate pazienza, ma sulla guerra e sulla pace, sul mercato del lavoro, sulla politica economica, anche se non abbiamo avuto nel corso degli anni passati pratiche e opinioni coincidenti. Siamo stati dentro grandi e talvolta bollenti dissensi. C’è un terreno possibile di nuova unità? Io credo di sì. Però per trovarlo dobbiamo mettere da parte le alchimie del politicismo, e partire da uno sguardo limpido sullo stato del paese, sulla vicenda dell’Italia.
L’Italia è un paese irriconoscibile. E’ un paese smarrito. E’ come se improvvisamente si fosse disciolto il suo spirito repubblicano, il patto costituente, la sua religione civile, l’idea di sé, l’auto-narrazione, l’auto-identificazione, è come se improvvisamente si fosse sbriciolata. Un grande storia che era passata dal risorgimento alla resistenza ed aveva fatto del dopoguerra l’incontro tra le istanze della cultura del movimento operaio e grandi eredità della cultura liberal-democratica. Un paese che nella vicenda della prima repubblica, al netto di tutte le ombre, era già stato segnato dal protagonismo di grandi corpi collettivi ed aveva visto nella politica la principale proprietà pubblica. Una pratica diffusa, sedimentata nei territori, una pratica di appropriazione del senso della vita.
Siamo in un’altra Italia e talvolta la polemica berlusconiana non ci dà l’agio e il tempo di mettere a fuoco il berlusconismo. Per comprenderne bene il marchingegno riproduttivo, per guardare nella sostanza di potere e quella ideologica. Troppa invettiva antiberlusconiana e poca conoscenza di un fatto per me drammaticamente importante: Berlusconi è l’autobiografia di questa nazione. E’ il figlio di un’ Italia in cui alla scomparsa dei grandi partiti di massa, di grandi protagonisti collettivi si è sostituito il galleggiamento delle corporazioni, delle lobbies, dei localismi. L’Italia del frammento, o come dice De Rita: L’Italia della mucillagine. Berlusconi è figlio esattamente di una ricomposizione volgare, volgarmente ideologica dell’Italia delle mille ferite, dei mille frammenti, dell’Italia delle scissioni.
O guardiamo questo punto, che è molto più per noi provocatorio di quanto non sia trovare uno slogan o cavarcela con una maledizione. Siamo in un sultanato, lo ha detto Pierferdinando Casini. Ma come è stato possibile? Daniel Cohn-Bendit, ieri al margine del dibattito, mi ha chiesto “Ma come è stato possibile?” che il paese che aveva la sinistra più ricca, più complessa, più autonoma, più articolata del mondo sia precipitato nel buco nero del berlusconismo?” Questo non riguarda solo la malizia dell’avversario. Compagne e compagni questo riguarda noi, la nostra lunga subalternità culturale, la perdità di autonomia! E dobbiamo cercare in qualche maniera anche di ricostruire i fondamentali della discussione pubblica sottraendoci alla spirale della ritorsione polemica. Perché vedete, se io trovo una battuta adeguata per rispondere alle insolenze e alle volgarità di Renato Brunetta e se scelgo quel livello io penso che contribuisco al degrado della vita pubblica. Brunetta, questi ministri, il rumore di fondo della politica come gossip, come chiacchiericcio, la violenza verbale, io penso sono fenomeni che vanno letti come passivizzazione di massa. La politica come proprietà di élite sempre più urlatrici, sempre più violente, e il rischio è che dentro la spirale della ritorsione polemica tu non ricostruisci il rapporto con il tuo popolo nella comprensione dei problemi per suscitare movimenti che sappiano ricostruire speranza a questo paese.
La tragedia è in questo paese è la fine della mobilità sociale, la tragedia in questo paese è la generalizzazione della precarietà come destino, questo è il punto. E oggi, che viene percepito in maniera molto più larga di quanto non sia il recinto della sinistra, come una minaccia persino la convivenza, la precarietà. Oggi noi dobbiamo avere pratiche sociali e pratiche politiche per consentire davvero l’organizzazione di una lotta sistemica contro la principale minaccia alla civiltà , contro la precarietà che uccide il destino delle giovani generazioni. E’ una battaglia, e scusate se mi soffermo su questo, che va fatta in forme non minoritarie. La lotta contro la precarietà può richiamare immediatamente modelli per minoritari di lotta politica e sociale. La precarietà non è il tema di quote marginali di giovani lavoratori, la precarietà è il tema generale dell’attuale organizzazione del mercato del lavoro. O siamo in grado di identificare così il problema, e quindi di costruire una proposta generale che abbia un’ambizione egemonica, oppure saremo un volantino aggiunto agli altri e non una piattaforma politica che coglie persino la crisi antropologica che c’è dentro la generalizzazione delle forme di precarietà.
Dobbiamo raccontare il disagio sociale per come esso oggi si manifesta, e qui c’è il ruolo specifico della sinistra, badate, perché è vero quello che scrivono tanti giornali - gli attentati alla libertà d’informazione, al diritto di critica, al diritto di cronaca - ma il punto è che se noi non mettiamo in connessione l’assedio che vi è al diritto che riguarda una libera informazione e in generale ai diritti di libertà, una connessione con l’aggressione che vi è al mondo del lavoro, alle sue tutele, alle mille solitudini che oggi tornano a riattraversarlo. Si colpisce la libertà oggi di un giornale, si intimidisce, si usa il ricatto, ma perché questo è una specie di prova generale del tentativo di intimidazione del conflitto sociale, che invece legittimamente deve tornare ad esprimersi contro la politica economica e sociale del governo Berlusconi. Questo è il punto.
Oggi abbiamo proprio questa necessità di intrecciare fortemente questi temi e di non sbagliarci noi, compagni. Io ho litigato con qualche compagno quando vi è stata la vicenda del direttore di Avvenire Boffo. Perché qualche compagno mi ha detto: ma in questo caso Feltri si è dimostrato come un giornalista anticonformista, politicamente scorretto, ma viva dio, ha svelato una grande ipocrisia. Io sono proprio in dissenso da questa lettura. Primo perché Feltri è un sicario e non verrai che lo dimenticassimo mai. Secondo perché penso che a nessuna persona debba essere offerto un trattamento violento come quello che ricevuto il direttore di Avvenire, penso che sia barbarico, disumano e intollerabile. Penso che se non recuperiamo noi la cultura del rispetto della vita di chiunque e della dignità di chiunque saremo noi prima o poi uno dopo l’altro stritolati. Non so se è chiaro.
E dobbiamo raccontare le varie forme del disagio sociale. Sono forme antiche e sono forme moderne. Sono legato all’andamento della crisi recessiva e alle risposte che il governo Berlusconi dà su questo piano. Dobbiamo cercare di porci il problema non dei gruppi razzisti, xenofobi e fascisti che tornano a circolare liberamente, sdoganti in qualche maniera, sdoganati dal linguaggio dell’élite dirigenti, ma dobbiamo porci un altro problema: sembriamo noi che appariamo minoritari quando difendiamo quelli che dovrebbero essere valori fondativi della civiltà. E loro con gli stilemi del razzismo, della mitizzazione negativa del diverso, dell’altro da sé, invece, appaiono in sintonia con le viscere di questo paese. Beh, li vi’è stato un cortocircuito, li quelli hanno costruito l’egemonia, hanno segnato l’immaginario, hanno dettato le forme del senso comune. E allora il nostro dovere non è semplicemente quello di respingere ogni attacco, ogni aggressione, ogni violenza, di denunciarla, ma di porci il problema di come ricostruiamo l’educazione sentimentale alla tolleranza, all’accoglienza, alla convivialità delle differenze in questo paese. Abbiamo perso il racconto, e allora non c’è sinistra, non c’è partito, non c’è niente, sono tutte quante evocazioni volontaristiche, se il problema fondamentale tra noi non è questo. Come ricostruiamo il racconto di un’Italia civile, di un’Italia capace di lottare intimamente contro ogni forma di barbarie, di disumanità? Questa è la fondazione della sinistra che verrà.
Attenzione, compagni, ci sono molti forme per uccidere un bambino. Una forma è quella di non considerare con attenzione quali siano i problemi della crescita e quale sia il contesto in cui questa creatura si trova a nascere. Dobbiamo avere un’attenzione precisa per l’Italia di oggi. Quello che sta accadendo nel mondo della scuola è l’altra faccia della medaglia di quello che accade nel mercato del lavoro. E’ come se avendo segnato il destino produttivo delle giovani generazioni dal paradigma della precarietà, oggi debba seguire una riorganizzazione della scuola come pedagogia della precarietà, l’asse della didattica modello Gelmini.
Io sono stato l’altro giorno, un’ora, col Ministro Gelmini per sottoscrivere un protocollo con il quale devo salvare nel mio territorio 1500 lavoratori precari della scuola e a trasformarli ….
Badate, lo sforzo non è stato quello di mettere in campo un ammortizzatore sociale, lo sforzo è stato quello di mettere in campo un esercito di lavoratori intellettuali mirati alla tutela del diritto all’apprendimento per bambini delle aree più povere e disagiate della Regione.
Questo è un tema che noi dobbiamo guardare con attenzione. Questa vicenda della scuola interroga tutti, interroga le famiglie, interroga il mondo della scuola. Però, in qualche maniera quella rabbia è come ipotecata. E’ come se ciascuno la vive avendo la consapevolezza che essa è destinata alla sconfitta. E talvolta anche noi abbiamo la sensazione che quella rabbia sia destinata alla sconfitta, sia segnata da questo destino fatale. Io credo che c’è un elemento di verità in questo ed è figlio della sconnessione tra la lotta sociale generale e la lotta nel mondo della scuola.
Noi dobbiamo riconnettere la consapevolezza che vogliono educarci alla schiavitù moderna del precariato , che la scuola deve essere dequalificazione di massa, deve essere 40 bambini per classe, bambini diversamente abili senza insegnante di sostegno.Questo è funzionale ad un mercato del lavoro che ti prende, ti usa e ti getta via come un fazzolettino di carta, ad un modo di affrontare la crisi economico-finanziaria senza mettere in discussione gli elementi strutturali e fondanti che quella crisi hanno prodotto in tutto il mondo.
Noi non ce la caviamo con una decisione soltanto emotiva. Le vostre emozioni sono meravigliose e sono il principale patrimonio sul quale noi possiamo costruire la nostra avventura. Però la costruzione di un soggetto politico richiede fino in fondo una virtù che è quella della razionalità politica.
Allora torniamo un attimo a noi. Movimento per la sinistra, Sinistra democratica, socialisti, unire la sinistra, liberaldemocratici e verdi , possiamo cavarcela con la furbizia cercando di mettere insieme il minimo comune denominatore e sostanzialmente non sciogliendo ciascuno la propria appartenenza dentro una appartenenza più generale. Io penso che la furbizia non ci porterebbe da nessuna parte. Possiamo cavarcela dicendo mettiamoci insieme secondo criteri di omogeneità pregressa. Per me è più facile mettermi insieme con Umberto Guidoni, con Grazia Francescato che non con Riccardo Nencini. Voglio parlare con questa semplice brutalità perché ci dobbiamo intendere,
Io insisto moltissimo su un concetto. La sinistra è stata schiantata non solo dai processi di trasformazione del mondo, ma anche dalle sue scelte. Ieri dicevo a Daniel Khon Bendit: la sinistra in Italia è un bellissimo ricordo. E’ un bellissimo ricordo soprattutto se lo misuri guardando i costumi degli italiani, per usare un’espressione di Leopardi. Se l’Italia è un sultanato e l’epifania del sultano suscita ammirazione neanche tanto occulta di tanta parte dell’opinione pubblica, vuol dire che c’è qualcosa di malato profondamente. Non c’è più il senso di che cosa debbano essere le virtù civiche che governano le funzione dirigenti di un Paese. C’è qualcosa che accaduto nel profondo di questo Paese.
Siamo tutti sconfitti e sentiamo, ciascuno di noi l’insufficienza della propria storia. Io non ho nessuna intenzione di rinunciare alle glorie della storia della tradizione dalla quale provengo. Non è questo il tema, non sto parlando del mio partito di ieri, della mia famiglia politica, persino della mia famiglia privata. Stiamo parlando di come rimettiamo in piedi qui e ora di fronte a questo Paese devastato un soggetto politico significativo che possa interrogare la vita delle persone, che possa esercitare politica nel senso di scuotere la materialità dei processi sociali, entrare dentro condizioni culturali, ideologiche, materiali che sembrano consolidate e granitiche.
Allora io vi devo dire la verità: Sinistra e libertà è il nome che abbiamo scelto insieme e abbiamo fotografato nel simbolo, in quel momento, le tre famiglie europee di appartenenza. Personalmente con una grande speranza: che possano rimescolarsi le carte nelle famiglie delle culture del progresso in Europa e nel mondo. Abbiamo bisogno di far vivere più contaminazione, confluenza di storie differenti. Ma io la parola “ecologia” non la vedo come un contributo al congresso dei Verdi. La vedo come una necessità assoluta, persino disperata, per costruire e rifondare la sinistra.
Non siamo di fronte ad un qualunque passaggio d’epoca. Vedete, una cosa che mi ha turbato molto nella lettura della Enciclica del Papa è la parte sull’ambiente.C’è una parte scolastica in cui si dice che l’ambiente naturale è al servizio dell’uomo e non può essere sacralizzato e che esprime lo stesso antropocentrismo della mia cultura marxista.
Ma noi non siamo a cento anni fa, a cinquanta anni fa o in qualunque luogo della storia del mondo. Siamo collocati davvero su una polveriera e la crisi catastrofica del mondo propone in forme inedite la questione ecologica come questione fondativa del percorso e del futuro della sinistra.
Non è una furbizia e non è neanche un fastidio.
Questione dell’Afghanistan : otto anni io e Riccardo Nencini avevamo letture differenti sulla vicenda. Oggi dobbiamo fare la contesa tra noi su chi avesse ragione otto anni fa? Oppure, insieme, prendiamo atto che l’opzione militare in tutte le situazioni del mondo ha prodotto molti più problemi di quanti non ne abbia risolti e ha portato il pianeta in un pantano?
La pace oggi deve tornare a essere non soltanto un ricco vocabolario che entra nella vita quotidiana ma la forma prevalente dell’agire politico, un punto cruciale nella agenda della politica. Perché la pace è nell’agenda della lirica, nell’agenda dei buoni sentimenti, è nelle omelie domenicali, mentre la realpolitik di tutti noi è quella che dal lunedì al sabato trova formule giustificative della opzione bellicista, fino a quella che io secondo la mia cultura ho considerato una aberrazione. L’espressione “guerra umanitaria”.
Ma qui e ora, al saldo della stagione di Bush, quando finalmente si è disarticolata la grammatica e la sintassi della guerra infinita e tutti vedono quale sia il pozzo senza fondo orrore e di infamia in cui sono precipitate alcune zone del mondo , noi abbiamo la necessità di far vivere questi due elementi, quello profetico e ideale e quello pragmatico e politico che insieme possono fare di Sinistra e Libertà la protagonista di una grande politica di pace in Italia, in Europa e nel mondo.
La “libertà”, l’abbiamo messa questa parola ma non è mica vero che siamo sempre stati d’accordo. Non è mica vero che abbiamo tutti considerato la libertà come un bene non negoziabile, come un primato assoluto su qualunque altro valore. Il tema della libertà che è anche la libertà del mio nemico, mi propone in forme inedite il tema della umanità, che è anche l’umanità del mio nemico.
Io vi devo dire la verità, l’ho detto tante volte in campagna elettorale, l’ho detto con sincerità, che da questo punto di vista il contributo della storia del socialismo italiano è necessario per rimettere in piedi una sinistra che mai più, per nessuna ragione, sacrifica la libertà di qualcuno o la vita di qualcun altro.
La libertà significa riprendere nelle nostre mani la bandiera delle garanzie e del garantismo che è stata lasciata sciaguratamente nelle mani della destra. Non aver coltivato questo terreno storico della sinistra, ci ha reso più difficile essere compresi quando lottavamo per i diritti dei migranti e contro i CPT, perché la cultura delle garanzie è stata progressivamente manipolata e non riuscivamo a spiegare che arrestare una persona senza alcun provvedimento di un giudice ma con un atto amministrativo e rinchiudere un povero a causa della sua povertà in una galera dissimulata, era un fatto di incredibile barbarie. E anche i respingimenti, oggi, persino con la difficoltà di raccontare che significa essere spinti nelle braccia di Gheddafi, di finire nei lager libici, di uomini e donne che avrebbero il diritto di vedersi riconoscere lo status di rifugiati, è una bestemmia, una bestemmia che attraversa le epoche storiche, le civiltà più antiche, Il fondamento di quelle civiltà era l’accoglienza del forestiero se era a rischio della propria vita per qualunque ragione . Ho letto un libro di teologi olandesi che spiegano che persino il fuoco su Sodoma non era dovuto per le ragioni di cui si occuperebbe volentieri Feltri, ma era dovuto alla violazione del dovere di ospitalità che noi ogni giorno violiamo qua in questa Italia barbarica.
Da Fulvia Bandoli ho sentito un riferimento alla cultura delle donne come di un fatto che appartiene alla realtà, alla realtà più larga che ha segnato la storia di questo secolo. Credo che su questo piano, noi, dobbiamo essere molto più rigorosi con noi stessi. Per esempio stamattina noi abbiamo cominciato male perché l’estrazione a sorte non prevede il fatto che la sorte è un criterio neutro e che noi abbiamo bisogno per vivere di arricchirci con la voce delle donne e con i percorsi di libertà delle donne.
Non c’è sinistra se non è capace di scorgere dentro quella voce una lettura radicale profonda della struttura di potere del mondo. Io penso che dobbiamo fare degli sforzi. Vedete, noi siamo tanti e diversi, ognuno deve fare una cessione di sovranità per poter avanzare tutti insieme in una nuova direzione, ma, poi, alla fine penso che il genere maschile di tutte queste formazioni politiche di Sinistra e libertà debba fare una significativa cessione di sovranità verso il genere femminile.
La ricchezza di ciascuna delle culture, delle storie, delle narrazioni che abitano questa avventura, è molto gonfia del sentimento del lavoro che ha fatto, del percorso che ha compiuto. Ognuno di noi deve concentrarsi di più sul proprio settarismo. Io sono molto bravo a vedere il settarismo degli altri e gli altri sono molto bravi a vedere il mio settarismo. Siamo tutti orgogliosi ciascuno della propria storia, mala propria storia non è l’ombelico del mondo, è una storia tra tante.
Per stare insieme, imparare a vivere dentro nuove regole, in una nuova casa bisogna che ciascuno di noi passi dalla diffidenza e dal settarismo al reciproco affidamento e alla curiosità che può fare ricchezza comune delle diversità. Vi siete accorti durante la campagna elettorale che in tanti territori quello che sto dicendo si è generato quasi spontaneamente, che in tante realtà si sono rimescolate le appartenenze. Questo è stato un bene perché. Ci siamo difesi in astratto però è rimasta l’idea che “quello, sempre un socialista è”, oppure che quell’altro “sempre un comunista è”.
Ora, lo dico io che vengo da una tradizione politico culturale che ha dovuto ingaggiare una lotta strenua contro il settarismo, perché il settarismo portato alla sua apoteosi prevede anche cose terribili di pratica e di strumentalizzazione della vita degli altri.
Ognuno di noi deve sentire l’urgenza di questo esodo dalle proprie identità consolidate e granitiche per poter fare insieme quel cammino di cui ho parlato. Ed è bellissimo quando Lisa Clark viene e dice “esterna a me?”. Se uno dovesse dire “Sinistra e Libertà”, io direi le parole di Lisa, le parole di Giuliana, le parole di tante persone, le parole di tanti uomini e donne che si dette indipendenti, ma erano molto più di noi dipendenti da questo bisogno di sperare e di costruire un sogno chiamato Sinistra e Libertà.
Dobbiamo essere attenti a vedere quello che è fuori di noi, non possiamo essere sbrigativi di fronte alla questione del sindacato. Il sindacato vive una processo di delegittimazione che è una parte del costruzione del dominio della destra. Nel sindacato ci sono forze che hanno perso quote di autonomia politico-culturale dal terreno che il Governo propone. Qui bisogna costruire una iniziativa nostra, intelligente, anche qui di ascolto, di conoscenze, di ascolto, e di intreccio di lotte e di vertenze, Insomma, compagne e compagni, noi dobbiamo mettere in campo una Carta programmatica, ed è giusto che cominciamo a lavorarci per arrivare entro Natale ad una Conferenza programmatica, perché ci vuole questo tempo per fare le cose con serietà. Dobbiamo lavorare ad una Carta delle idee perché noi abbiamo un problema con riguarda il vocabolario. Perché la sinistra è scomparsa? Perché è scomparso il vocabolario della sinistra, perché molte parole della sinistra sono state furbescamente manipolate dalla destra, perché noi siamo entrati in una crisi di afasia, in una sindrome orwelliana e abbiamo consentito che le parole fossero semanticamente rovesciate nel loro significato. E anche qui abbiamo in qualche maniera la sensazione di affogare in questo mare magnum di parole sconnesse e prive del loro significato. E allora la sinistra è innanzitutto ricostruire un vocabolario, dare le parole alle persone, per capire come gira il mondo, dov’è l’ingiustizia, per capire come si ritesse una trama positiva di speranza e di lotta. Bisogna fare questo. E’ una grande impegnativa lotta. La Carta delle idee.
E poi dobbiamo lavorare alla Carta delle regole. Le regole sono un tema delicato e proprie le differenze che hanno dato vita a questo soggetto che sta nascendo, chiedono di affrontare con grande serietà, con grande rigore il tema delle regole. Non pensate compagni, che il tema delle regole significhi avere un atteggiamento dilatorio nei confronti del tema fondamentale, cioè la nascita del partito, del soggetto politico di Sinistra e Libertà. Io non lo penso.
C’è un’ultima questione che aleggia nel dibattito pubblico e che secondo me dobbiamo affrontare di petto senza inibizioni di sorta ed è la “questione morale”. Dobbiamo affrontarla sapendo che ci sono due nemici: uno a destra e una a sinistra. Il nemico a destra è l’idea che immoralità sia intrinseca all’esercizio delle funzioni pubbliche. Il cinismo della politica. La politica si separa dalla vita e dalla società e in questa separazione costruisce i suoi codici che sono naturalmente feroce. L’”andreottismo” come antropologia del ceto politico. Questo è il pericolo. Siamo tutti uguali? Perché l’effetto finale di questo processo produttivo dell’immaginario è nel senso comune “siete tutti uguali”. Ma a sinistra c’è il pericolo di ridurre la questione morale all’invocazione dell’angelo vendicatore, alla richiesta del drago che possa trafiggere un mostro metaforico. L’urlo giustizialista e purificatore, il richiamo populista ad una giustizia spicciola, di piazza. Attenzione, compagne e compagni, di queste cose si è nutrita l’ascesa del berlusconismo in Italia. Sono veleni da cui dobbiamo ben guardarci facendo della questione morale ciò che deve essere: la critica del potere. Questa è la questione morale. È la critica del potere. E’ la critica della separazione. La critica di una strutturazione delle istituzione che è escludente nei confronti delle masse. La questione morale oggi è la privatizzazione della politica e dentro un mondo nel quale il sistema d’impresa è stato rappresentato come unico regolatore generale della società, è del tutto ovvio che tra politica e impresa si determini un connubio nei cui interstizi possono essere covati uova di serpente. E allora la questione morale è il tema del controllo sociale, è il tema della partecipazione democratica, è il tema dell’abbattimento delle barriere sociali, delle barriere culturali, delle barriere architettoniche. La questione morale la dobbiamo vivere non come la parola di Torquemada o la predica del Savonarola, ma come un processo collettivo di conoscenza di come funzionano i marchingegni e i meccanismi dei sistemi di potere, un grande processo di riappropriazione della vita pubblica. Se l’immoralità massima coincide con il silenzio di massa, la questione morale è il popolo si riprenda la parola capace di controllare e di esercitare i poteri nei luoghi fondamentali della vita pubblica. Ecco, mettiamoci dentro questo cammino e lavoriamo per un’idea nuova della modernità, che sappia parlare alle mille solitudini del tempo nostro. In fondo se c’è una cosa che accomuna tanti uomini, tante donne, tante età, è il fatto che la solitudine ha perso il suo connotato esistenzial-sentimentale, la sua dimensione privata. La solitudine è diventata un prodotto sociale dell’organizzazione dei poteri nel tempo nostro. Io penso che un’idea della modernità che abbia al centro la lotta contro le solitudini debba essere la cifra di Sinistra e Libertà.
Compagni e compagne, dico di me chiudendo. All’indomani delle elezioni europee ho avuto una brutta e spiacevole esperienza. Ho avuto la sensazione di dover pagare un prezzo. Per il fatto di essermi candidato e per il fatto di aver con voi lavorato perché quel lavoro fatto di poche settimane e molte improvvisazione potesse produrre un risultato incredibile: quel 3,1%, quel milione di voti che dice di una domanda con un potenziale straordinario.
Noi eravamo un’anomalia. Io nella mia vita, purtroppo o per fortuna, sono stato un’anomalia e tante volte ho avuto la sensazione che qualcuno volesse mettere in campo una specie di soluzione finale nei confronti dell’anomalia che io rappresentavo. Che era fatta delle tante anomalie della mia vita: di essere comunista, di essere gay, di essere credente, di essere radicale e di essere un governatore e di essere espressione di una sinistra radicale di governo e di essere dentro quel laboratorio che è stato la Puglia che ha il pregio di governare bene e di cambiare il corso delle cose.
Io vi chiedo scusa della mia assenza, ma mi sentivo prigioniero di guerra. Che cosa ha rappresentato vedere il Tg1 in certi giorni di agosto, il tg di Minzolini, parlare di prostitute e cocaina mettendo in evidenza la mia faccia… il senso di una vita. Improvvisamente stritolato dentro questo meccanismo mediatico, infame, volgare, scientifico… io l’ho vissuto come un tentativo di omicidio. Ed ho detto a mia madre la cosa più terribile: “meno male che papà è morto”. Ma non è solo l’anomalia che io rappresento che hanno tentato di colpire. E’l'anomalia che voi rappresentate che hanno tentato di colpire. E’ l’anomalia di chi non ha cercato comodi ripari. Siamo stati stati spesso in quota a qualcun altro. Quante volte i giornalisti mi hanno chiesto: “ma tu in a che mozione congressuale del PD sei iscritto?” e io “sono iscritto alla mozione Sinistra e Libertà. Mi dispiace, ma non sono iscritto al PD e non credo di poterlo mai fare in futuro, perché lavoro per un’altra prospettiva”. Lavoro perché sorga la sinistra! Ed è una cosa differente.
Noi abbiamo lasciato le vecchie case, i simboli antichi. Le storie dei nostri cari. Non le abbiamo rinnegate, ma abbiamo deciso di andare incontro al mondo, perché quelle case stavano diventando dei piccoli musei e noi quei simboli, invece, volevamo usarli ancora come strumenti per dar speranza alle persone, alla gente. Per quello ci siamo mesi in cammino. Qualcuno di noi ha vissuto esodi traumatici dalle proprie pregresse appartenenze. Ognuno di noi ha accumulato dolori pubblici. Ognuno di noi merita rispetto per questo. Anche qui, permette di dirlo, merita rispetto il dolore pubblico vissuto dalla diaspora socialista in Italia. Merita il rispetto di tutti. Merita rispetta la storia di chi non sopportava l’idea di scioglimento di un partito, che non era solo un partito, ma era un pezzo della connessione civile e sentimentale di questo paese: il partito comunista italiano. Merita rispetto il percorso che fanno coloro che sono stati capaci in tempi difficili d’immaginare i nuovi dilemmi e le nuove contraddizioni del mondo a partire da quella che riguarda l’ambiente, la natura. Abbiamo vissuto dolori pubblici. Passione, voce del verbo patire.
Allora, siamo giunti qui compagni e compagne, non in una farsa, ma in un appuntamento collettivo, corale, importante, nel quale prendiamo decisioni importanti.
Lasciate perdere ora, come struttureremo il numero dei coordinatori, quanti, come, le funzioni. L’essenziale deve essere un coordinamento rispettoso di queste storie e contemporaneamente aperto. Non un luogo fatto di tanti piccoli municipi chiusi, ma un luogo aperto, arioso. Questo dobbiamo fare. E quel coordinamento ci deve portare oggi a essere presenti nella società italiana, subito. A riprendere la parola, a ricostruire, laddove è possibile, una radice di speranza. Sinistra e Libertà.
Possiamo vincerla questa sfida, a condizione che ci convinciamo del fatto che noi non siamo una costruzione da laboratorio, ma siamo una necessità della società italiana.
Sinistra e Libertà non è la risposta. Come potrebbe esserlo? Non è la risposta ai problemi dell’Italia, ai problemi della crisi della sinistra. Sinistra e Libertà è la domanda giusta! La domanda del cambiamento che non dobbiamo saper liberare dalle mille paludi di cui è finita prigioniera.
Io sono convinta che oggi nasce una storia nuova. Lo stiamo decidendo. Lo abbiamo voluto. Compagni e compagne ma che pensate? Che decidiamo una cosa e poi ci impicchiamo il crono programma, e che il crono programma dirà la verità di un’intenzione? Non è così. L’intenzione è questa: vogliamo che Sinistra e Libertà viva, che sia un soggetto politico autonomo, che sia capace di costruire alleanze nella dimensione della politica e che sia capace di segnare di sé dei propri valori la società italiana. Vogliamo essere adulti, senza perdere questa capacità si stupore, che molti di voi hanno dimostrato da questa tribuna nei loro interventi.
Si, c’è bisogno di sinistra. La società italiana è in una crisi drammatica perché la fine dell’egemonia o la crepa che si vede dell’egemonia berlusconiana purtroppo non conosce un’alternativa forte, credibile, palpabile. La crisi dell’egemonia berlusconiana può portare non il meglio, ma il peggio in questo paese. Capite cosa voglio dire? Che ora vogliamo rapidamente rimettere in piedi un blocco sociale, un programma, un progetto, dei valori, delle parole chiave che diano la percezione di un’alternativa credibile al berlusconismo; oppure quella crepa produrrà un involgarimento e una regressione ulteriore della vita civile, sociale e politica di questo paese.
Abbiamo il dovere di lavorare per questa prospettiva e dobbiamo sapere che per questa prospettiva è necessario rimettere in piedi la sinistra: nuova, del futuro, senza torcicollo, senza passioni archeologiche, con il gusto di riconoscere le tante storie, anzi di riattraversarle, tornare ad interrogarle. Ma con il bisogno di ricostruire quello che ci serve qui ora: lo strumento della conoscenza e della trasformazione.
Sinistra e Libertà. Quanta poca è la libertà in questa società. Pensate a come hanno riempito le galere e a che idea generale della società c’è quando la risposta a tutte le forme di complicazione sociale è la galera. E’ la manifestazione marginale di un fenomeno generale, l’idea di un comando disciplinare su una società sempre più frammentata. Alla fine in questa società senza racconto l’unico racconto o è quello della repressione o è quello del denaro. E’ un dio maledetto. E’ un dio cattivo, che danza sulle nostre disperazioni. E noi a modo nostro e laicamente gli diamo quest’avventura perché vogliamo che torni laicamente a danzare un dio della vita.
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