Il crollo della Spd in Germania
Europa, la sinistra smarrita
di Paolo Flores d'Arcais, da il Fatto Quotidiano, 29 settembre 2009
Il Partito socialdemocratico tedesco ha subito domenica un vero e proprio tracollo. Commentatori e politici fingono di interrogarsi sul “perché?”, e allargano pensosamente l’orizzonte al declino dei partiti di “sinistra” in atto da tempo nell’intera Europa. Fingono, perché mai spiegazione fu più lapalissiana e sotto gli occhi di tutti. La “sinistra” perde in Europa, puntualmente e sistematicamente, perché da tempo ha smesso di essere di sinistra. Da tempo ha smesso di fare della eguaglianza la sua bandiera, la sua bussola, la sua strategia. E dire che la realtà economica e sociale non fa che offrire alimento ad una battaglia sempre più sacrosanta e doverosa per ogni persona minimamente civile: una generazione fa la distanza, nella stessa azienda, fra il reddito di un operaio e quello del super-manager poteva essere di 1:30, 1:40 (una enormità). Oggi tocca tranquillamente la cifra, esorbitante e mostruosa, di uno a trecento o quattrocento. Ma ci sono casi non rari in cui viene superato il rapporto uno a mille.
La sinistra, intesa come socialdemocrazia, si sta avvitando in un declino rapido e galoppante perché è sempre più indistinguibile dalla destra, questa è l’ovvia verità. E dovendo scegliere tra due destre, una dichiarata coerente e orgogliosa dei suoi “valori”, l’altra titubante e ipocrita, che qui lo dice e qui lo nega, l’elettore reazionario o il mitico “moderato” che sogna un futuro di privilegio, sceglierà ovviamente la prima, mentre l’elettore democratico finirà per restare a casa – dopo due o tre “ultime volte” in cui ha volenterosamente votato tappandosi il naso. Eppure i commenti di tutti i dirigenti del Partito democratico ai risultati delle elezioni tedesche non fanno che ripetere la giaculatoria d’ordinanza: attenti a non ascoltare le sirene estremiste (sarebbe Lafontaine!), non dobbiamo rinunciare alla “cultura di governo”, l’unica anzi che alla lunga ci farà vincere (“nel lungo periodo saremo tutti morti” ammoniva il grande Keynes. Anche lui estremista, evidentemente).
Giaculatoria masochista, con la quale la “sinistra” non vincerà mai più, ma giaculatoria obbligata, perché ammanta di nobiltà (“cultura di governo”) la realtà mediocre e spesso sordida di una nomenklatura (nazionale e locale) totalmente succube dell’establishment e pronta a difenderne gli interessi, garantirne i privilegi e financo soddisfarne i capricci – e soprattutto le illegalità - anziché riequilibrare radicalmente redditi e potere a vantaggio dei meno abbienti.
Perché non è affatto vero che in Europa la sinistra sia sconfitta, e non è stato vero neppure in Germania domenica scorsa. I voti di Spd, Die Linke, Verdi e “Pirati” equivalgono e forse superano la somma dei suffragi cristiano-democratici e liberali. L’elettorato per un’alternativa alla signora Merkel ci sarebbe, insomma. E in Francia è bastato che Dany Cohn-Bendit inventasse un nuovo e credibile partito ecologista per ottenere alle europee un risultato equivalente a quello del declinante Partito socialista.
Perché dunque i partiti socialdemocratici perseverano nella politica diabolica che li sta portando all’estinzione, anziché mettersi a disposizione delle istanze di “giustizia e libertà” che percorrono massicciamente le società civili della vecchia Europa? Perché non colgono l’occasione di una crisi drammatica, colpevolmente prodotta dai padroni della finanza e governi complici, per guidare le masse nell’imporre all’avidità sfrenata e inefficiente delle classi dirigenti un sacrosanto redde rationem?
Perché hanno smesso da tempo di “rappresentare” forze popolari, e istanze di critica ai privilegi (sempre più smisurati) e all’establishment. Perché di quell’establishment sono parte integrante, benché subalterna, perché aspirano solo a partecipare alla torta di quei privilegi, anziché a sostituirvi un agape più fraterno. Perché sono casta, partitocrazia autoreferenziale, e di conseguenza strutturalmente incapaci di indicare nei nemici dell’eguaglianza i propri nemici. Ma senza indicarli, senza proporre misure che colpiscano i finanzieri della speculazione, e gli imprenditori che “delocalizzano” (cioè licenziano in patria per iper-sfruttare con profitti iperbolici nei paesi più poveri), e il dilagare dell’intreccio corruttivo-politico-criminale (le mafie ormai impazzano, dagli Urali alla penisola iberica), senza rilanciare il welfare tassando i più ricchi, la socialdemocrazia non solo non fa più politica ma è ormai morta.
Si tratta di seppellirla al più presto nella consapevolezza degli elettori, perché lo zombie di quella che fu una sinistra è oggi l’ostacolo maggiore alla nascita di nuove organizzazioni di “giustizia e libertà”.
Tentare di riformare le socialdemocrazie è una perdita di tempo. Cercare di “superarle” in una sintesi con pulsioni e illusioni “centriste” è ancora peggio, una dissipazione di energie democratiche e di passione civile. Le lezione ripetuta e convergente che da anni viene dalle urne elettorali in Europa dice invece che è maturo il momento per dare al bricolage politico dei movimenti di opinione una forma organizzativa, autonoma dai partiti, capace di non riprodurne i difetti e le derive di omologazione. Tanto più in Italia, dove sponde ecologiste o alla “die Linke” sono state cancellate definitivamente dalla corriva nullità dei gruppi dirigenti.
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