dal sito PES Activist
La sconfitta socialdemocratica in Germania è grave: in primo luogo, com’è evidente, per le sue conseguenze sulla vita dei tedeschi e della Germania: senza la Spd, e con la sua sostituzione con i liberali della Fdp, Berlino avrà un vero e proprio governo di destra, con tutte le conseguenze del caso sul piano fiscale e sociale, e anche in altri settori strategici: per esempio si ripartirà con il nucleare, che sinora i socialdemocratici avevano impedito.
Prima di parlare di Germania, occorre però diradare il polverone mediatico e smorzare il coro dei commenti degli esperti dei nostri stivali: questo perchè l’arretramento elettorale socialista nelle europee di quest’anno ha dato in Italia la stura a un coro sulla Fine del Socialismo Europeo (non sconfitta, che c’è tutta, e che fa parte delle vicende storiche e prevedibili, ma addirittura fine, morte, kaputt…). Questo coro ha due varianti: quella che ne deduce la Fine della Sinistra, intonato dai media berlusconiani, sempre un poco esagitati nella descrizione della realtà (?), e quella che proclama la fine della socialdemocrazia ma annuncia l’arrivo a sinistra di una “cosa nuova” (la Repubblica lo canta dal 1990, insomma da quando Occhetto rifiutò l’unità socialista; il quotdiano romano è da allora che annuncia la morte della socialdemocrazia, e temiamo che lo farà per altri 20 anni, o almeno finchè Anthony Giddens continuerà a scrivere sempre lo stesso articolo per dirci che, perbacco, ci vuole qualcosa di Nuovo !).
Il socialismo europeo non è nè morto nè moribondo: sconfitto invece sì, in diversi (ma non tutti) i paesi europei. Prima ancora delle debolezze della sinistra si dovrebbe parlare qui della forza della destra, sia nella sua versione identitaria e comunitaria che in quella neoliberale e liberista. In Germania la destra vince per virtù propria e per circostanze favorevoli: la prima comprende la credibilità alla lunga guadagnata dalla cancelliera Merkel, erede non indegna dei grandi leader democristiani di cui è ricca la storia tedesca, tra le seconde, va menzionata la capacità della Csu bavarese e della Fdp di allargare al massimo lo schieramento di centrodestra. Il partito-stato bavarese continua a tenere, anche se comincia ad essere in difficoltà almeno nelle aree urbane; i liberali sono i veri vincitori (i democristiani sono cresciuti solo di circa 2 punti percentuali come rappresentanza parlamentare), e quindi non si è avuto tanto una concorrenza al centro, quanto un’effettiva affermazione di destra, che, secondo alcuni osservatori, ha una paradossale ragione proprio nella crisi economica: benchè spaventati, o proprio perchè spaventati, gli elettori tendono a confermare fiducia ai “competenti” dell’economia, al ceto finanziario e imprenditoriale che la Fdp rappresenta, anche se sono proprio costoro i responsabili della crisi.
La Grosse Koalition ha nuociuto ai socialdemocratici, come anche in Austria: infatti, o si è subalterni al cancelliere, o conflittuali, ed entrambi i ruoli sono poco apprezzati dagli elettori. In particolare, è ovvio, dagli elettori di sinistra: ci si è limitati a dire a questi ultimi che, perlomeno, la Spd nel governo era meglio dei liberali….verissimo, ma non propriamente un argomento entusiasmante !
A questo punto, non eviteremo comunque di parlare anche dei problemi interni alla socialdemocrazia tedesca: che è in calo elettorale dalla storica vittoria del 1998: dal 44,5% al 23,5%, passando per il 41,6% del 2002 e il 36,2% del 2005 (nota: si intendono qui le percentuali di seggi parlamentari conquistati, perchè la conta dei voti di lista e dei voti nei collegi uninomiali sarebbe interessante ma ci porterebbe lontano). Nel 1998, le anime della socialdemocrazia agirono assieme: presidente del partito era Oskar Lafontaine, che solo a risultati raggiunti cedette ufficialmente a Schroeder il primato. La torsione data da Schroeder nel corso dei suoi due mandati è stata forte, ed è stata nel segno della Neue Mitte, il “nuovo centro”, quindi una versione di governo incentrata sulla sostenilità finanziaria dello stato sociale (in una parola: tagli), una robusta importazione di temi clintoniani e blairiani, insomma quella “terza via” anni 90 che indicava nei compiti della sinistra semplicemente una fiduciosa azione di tutela delle magnifiche e progressive sorti dei mercati, sia pur con un accento, un poco moralistico, quindi ideologico, sulle pari opportunità da offrire ai poveri, purchè virtuosi, volenterosi e quindi meritevoli di accedere alle risorse che immancabilmente la modernità avrebbe arrecato.
La crisi della Spd è venuta prima della crisi elettorale, accellerata dalla scissione di Lafontaine, anzi Schroeder per anni è sembrato in grado di arginare con il suo carisma le debolezze e le incertezze del partito: ha ben governato l’economia (confermando l’opinione di Schumpeter che i socialisti sappiano prendere molto seriamente il compito di far funzionare il capitalismo) e l’operazione di avere un welfare sostenibile è tecnicamente riuscita, ma il paziente non ne è uscito tanto bene (cioè la serenità, il benessere,l’eguaglianza, insomma i fini per cui governiamo, essendo mercato ed efficienza solo strumenti): insomma, alla fine, la mancanza di una convinta azione redistributiva ha fatto crescere il numero relativo dei poveri e il divario assoluto con i più ricchi. Schroeder ed i suoi hanno perseguito con testardaggine lo schema idelogico della “terza via”, ed hanno reagito ad ogni sconfitta dicendosi che il rinnovamento non era stato condotto abbastanza a fondo. Il partito socialdemocratico è stato vissuto spesso come un impiccio all’azione di governo. Quando un nuovo leader, Beck, ha cercato di riorganizzarlo, scontrandosi con Muentefering e proponendo di dare ai tedeschi qualcosa in termini di redistribuzione del benessere e di benefici sociali, agendo cioè non solo sulla leva delle opportunità di mercato ma anche su quella dell’intervento statale, la reazione dei seguaci dell’ex-cancelliere è stata virulenta, al punto da defenestrare Beck in una specie di putsch. Questo schroederismo senza Schroeder (che nel frattempo si è messo in pensione e si dedica a fare il lobbista per grossi gruppi industriali: va bene il postmoderno, ma ve lo immaginereste Brandt finire così ?) ha portato al quarto arretramento elettorale della Spd dal 1998, il più vistoso. E potrebbe non essere l’ultimo, almeno leggendo un’intervista oggi sulla stampa italiana a un membro dell’attuale gruppo dirigente socialdemocratico che parla di “nuove idee” e “nuovo programma”, dichiarazioni sbalorditive visto che l’aggiornamento del programma della Spd è nuovo di zecca (ma l’aveva promosso Beck). E’ probabile che le cose nella Spd miglioreranno quando si terranno le idee socialdemocratiche e si cambieranno piuttosto gli uomini.
Quanto al socialismo europeo, esso raccoglie tante vicende nazionali: ogni generalizzazione è fuorviante, e lo diciamo impegnandoci a non suonare la fanfara per le previste e prevedibili, future vittorie in Grecia o in Scandinavia.
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