Nella trappola afghana non c’è soltanto il nostro Paese e le sue truppe, che pagano un tributo di sangue. Ci siamo tutti noi, individualmente considerati.
Ritirarsi o non ritirarsi è un falso dilemma o, meglio detto, richiede una risposta netta ad un problema complesso.
Il regime dei talebani era orribile, come tutti i regimi fanatici.
Sui diritti umani non si può essere relativisti, del tipo eius regio, cuius religio, diritto alla vita e all’istruzione e libertà di manifestazione del pensiero sono diritti universali.
La sharia, oltre che prevedere trattamenti inumani e degradanti, non garantisce un processo equo nel rispetto del principio del contraddittorio.
Per avere un’idea delle efferatezze talebane, basta leggere i rapporti di ONG di tutela dei diritti umani o, quantomeno, i libri di Khaled Hosseini per quanto si tratti di romanzi.
Il solo pensare che i talebani possano riconquistare il potere politico a Kabul dovrebbe far rabbrividire.
La discriminazione delle minoranze etniche e religiose (sciiti, cristiani) sarebbe accentuata.
Tuttavia non si può fare quello che si è fatto per combattere i russi, cioè armare e promuovere formazioni soltanto perché nemiche dei nostri nemici.
La forza ed il potere dei talebani è derivato dai finanziamenti e dalle armi, che sono loro pervenuti dall’Occidente via Pakistan.
Come insegnava Elias Canetti “il nemico del mio nemico non è mio amico”.
La situazione dei diritti civili è migliorata da quando la missione militare è in Afghanistan?
Nelle azioni e nelle rappresaglie sono più i civili o i talebani ad essere uccisi o feriti?
L’Afghanistan continua ad essere il maggior produttore mondiale della materia prima per la produzione di eroina?
Il Governo afghano rispetta i principi elementari dello stato di diritto?
La situazione delle donne e delle minoranze etniche o religiose è sostanzialmente migliorata?
Tra i motivi dell’intervento vi era quello di liberare la donna dal burka, che sarebbe stato imposto dai talebani: ogni cronaca televisiva da quel paese mostra un numero impressionante di donne in burka.
Le vigenti regole di ingaggio, proprio per l’ipocrisia della natura della nostra missione per rispettare l’art. 11 della nostra Costituzione, non tutelano le vite dei nostri militari: occorre, quindi, discuterle e cambiarle, se del caso, perché la lotta al terrorismo non è atto di guerra.
Ritengo che le truppe presenti in Afghanistan siano un argomento di peso per ottenere serie contropartite in termini di diritti civili e sociali, in assenza delle quali si può ridiscutere modi e tempi della nostra presenza.
Felice Besostri
5 commenti:
Caro Felice, concordo su molti dei punti che tu proponi, ma non su tutti.
La logica secondo la quale il nemico del mio nemico è mio amico reggeva
tutte le strategie della guerra fredda: dall'una e dall'altra parte si
diceva "è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana"
(Eisenhover a proposito di Fulgencio Batista). Quella logica non vale più
perché non c'è più la guerra fredda. Se tornassimo al 1979, chiunque in
occidente accetterebbe di armare la resistenza antisovietica, pur sapendo
che ci sono anche (non solo, ma anche) i taliban.
La situazione dei diritti civili è migliorata in Afghanistan ? Sì, checché
ne dica Gino Strada. Le bambine vanno a scuola e le donne possono lavorare
ed essere curate da medici donne. Non è poco, anche se non basta. C'è
inoltre un simulacro di democrazia. Anche questo non basta, ma è
l'Afghanistan, bellezza.
Nego recisamente che tra i motivi dell'intervento ci fosse quello di
liberare le donne dal burka. L'intervento è stato fatto, dopo l'attacco
alle due torri dell' 11.9.2001, solo per estirpare le basi di Al Queida ed
il regime dei taliban che le ospitava.
Le guerre non vengono mai fatte per motivi umanitari, purtroppo.
Il problema umanitario si è posto dopo. Una volta cacciati i taliban, non
si poteva permettere né che tornassero né che la condizione delle donne (e
non solo) ripiombasse in quel medioevo.
Sull'art. 11 Cost. si dicono e si scrivono - non da parte tua - un mare di
fesserie. Non esiste nella nostra costituzione una norma che bandisca in
assoluto la guerra. L'art. 11 limita il "ripudio" a due casi precisi: la
guerra per risolvere controversie internazionali e la guerra per offendere
la libertà degli altri popoli. Il caso dell'Afghanistan, come è evidente,
non rientra in tali casi. Si tratta di operazione di polizia
internazionale, prima, e di mantenimento della pace, poi, autorizzata da Onu
e Nato e dunque perfettamente in linea con l'art. 11, 2° comma.
Da ultimo, mi pare che il dibattito degli ultimi giorni prescinda dalla
logica comune. La logica dice che, se una missione militare ha l'obiettivo
di stabilizzare un determinato regime politico, un attentato grave nella
capitale di quello stato segnala che la presenza militare è ancora
necessaria e semai va rafforzata. Solo se non ci fossero più attentati per
un congruo periodo si potrebbe sostenere che bisogna andarsene. Il resto è
demagogia (Bossi), riflessi pavloviani antiamericani (Ferrero) e soprattutto
eterno mammismo italico, per cui mandare i nostri soldati si può solo se
nessuno si fa male ...
Fraterni saluti.
Luciano Belli Paci
Sono totalmente d'accordo con Luciano nella sua (come al solito) lucidissima
analisi anti-demagogica.
In particolare è superlativo il commento sull' articolo 11 della
Costituzione.
Un'unica piccola riserva semantica: siamo sicuri che combattere per la
propria autodifesa (salvarsi la vita da futuri attacchi terroristici tipo 11
settembre) non sia un motivo "umanitario"?
Magari non sarà solo umanitario, ma forse lo è almeno in via "accessoria".
Grazie e saluti a tutti.
Stefano Bazzoli
Per quanto mi riguarda, l'unico che sull'Afghanistan stia dicendo delle cose sensate è il Generale Fabio Mini.
Il suo curriculum militare, di tutto rilievo, comprende il comando della Brigata Legnano in Somalia, diversi comandi NATO e quello di KFOR, la missione in Kossovo.
Nessuno che lo abbia sentito parlare o abbia letto i suoi scritti può pensare, neanche per sbaglio, che Mini sia un antiamericano, un "mammista" o un arruffapopoli in cerca di pubblicità.
Eppure Mini è estremamente critico rispetto all'operazione Afghanistan, (http://it.peacereporter.net/articolo/7150/Fabio+Mini, http://temi.repubblica.it/limes/italia-in-afghanistan-che-ci-stiamo-a-fare/6435).
Non tanto per come vengano condotte le cose sul campo, ma perché se, come diceva Clausewitz, la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, per farla bisognerebbe avere degli obiettivi politici chiari e realistici. Che invece in Afghanistan, contrariamente a quanto si pensa, non sono chiari a nessuno. E, sia chiaro, definire obiettivi politici chiari non ha niente a che vedere con il riempirsi la bocca di paroloni come "lotta al terrorismo" e "esportazione della democrazia", buoni al massimo per fare "bella figura" in qualche consesso internazionale, ma che "sul campo" non significano nulla.
Purtroppo In Afghanistan nessuno ha ancora definito quale sia lo "stato finale" da raggiungere, quindi nessuno sa quando questa guerra potrà essere definita vinta o persa. Per ora, dopo 9 anni di guerra, ci ritroviamo con un governo debole, il cui Presidente definisce "irresponsabili" gli osservatori UE, solo perché hanno chiesto il conteggio delle schede relative all'ultima elezione presidenziale, e un parlamento infarcito di signori della guerra, narcotrafficanti e fondamentalisti religiosi "moderati" (!).
E' chiaro che della democrazia occidentale agli Afghani non importa nulla. Molto più utile sarebbe costruire ponti, strade, pozzi, scuole e ospedali.
Ma la ricostruzione - inquinata, a sentire alcuni, da affarismi al cui confronto le ruberie al tempo dell'Irpinia sembrano cose da dilettanti - langue. Attualmente le spese militari sono 10 volte superiori a quelle per i cosiddetto "nation building" (http://www.oltreillimes.net/modules.php?name=Home&file=print&sid=559).
In un contesto difficile come questo fa impallidire la pochezza di personaggi quali i ministri La Russa e Frattini, dalla cui bocca ultimamente escono solo banalità o affermazioni senza senso (vedi l'idea che inviare i Tornado in Afghanistan possa aiutare a condurre operazioni di precisione "chirurgica" contro la guerriglia: ne è un esempio quanto hanno combinato qualche settimana fa i Tedeschi...). Ed è ridicolo immaginare, coma La Russa, che un giorno il governo afghano potrà difendersi da solo, quando il soldo di un talebano è di 300 dollari al mese, e quello di un soldato dell'esercito regolare di 70. In queste condizioni non si stabilizza proprio nulla! (http://blog.panorama.it/mondo/2009/08/24/afghanistan-perche-linsurrezione-talebana-e-sempre-piu-forte/).
Offrire all'italica plebe grandi spettacoli nazionalpopolari - come è accaduto in questi giorni, con i funerali del sei parà uccisi a Kabul - non può mascherare la scarsa chiarezza di idee del nostro governo. Che sta come sospeso tra la vaniloquente riaffermazione, con toni degni del 1911, del presunto grande ruolo internazionale d'Italia, e la tentazione di ammantare sotto l'espressione "exit strategy" la naturale e italianissima (ma da oggi, possiamo ben dirlo, anche "padana"!) vocazione al "tutti a casa".
Insomma, una bella confusione.
Onore ai caduti, allora. Ma ricordiamoci che il dovere di chi è rimasto qui in Italia, e pretende di concorrere a determinare le scelte politiche della nazione, è quello di fare in modo che il loro sacrificio serva a qualcosa.
Pierpaolo Pecchiari
In parte hai ragione, Pierpaolo.
Le idee dovrebbero essere più chiare circa lo “stato finale” che ci si propone in quella terra.
Io però le ho abbastanza chiare circa la differenza fra lo stato “iniziale” (Taliban + campi di addestramento di Al Qaeda che rilasciavano interviste ai giornalisti di tutto il mondo spiegando come, se non quando e dove ci avrebbero sterminato) e quello “attuale”, di gran lunga migliore (non so se per gli Afgani, ma certo per gli occidentali).
E’ la solita vecchia differenza fra lo spirito di “Monaco 38” e la legittima difesa.
Quanto a esportare la democrazia, concordo che non è ancora giunto il momento e speriamo che un giorno lo si possa fare senza le armi (come invece lo si fece, efficacemente, con Giappone, Italia, Germania).
Stefano Bazzoli
Caro Luciano,
ho scritto esattamente il contrario, cioè che il nemico del mio nemico non è
mio amico. Nella nostra presenza in Afghanistan ci sono luci ed ombre.
Quello che chiedevo è che ci si deve sempre interrogare su come stare e non
semplicemente tra andarsene o restare.
Cordialmente.
Felice
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