Dal sito di SD
Informazione e partecipazione. Per un’antropologia del conflitto
di Paolo De Nardis
Gio, 17/09/2009 - 06:59
“Partecipare è anzitutto essere informati” scriveva Pierre Bourdieu alcuni decenni fa. Era la stagione che chiudeva gli anni ‘60 e apriva gli anni ‘70 dello scorso secolo.
I fermenti partecipatori e la sperimentazione di autogestione e di democrazia diretta in varie organizzazioni complesse pubbliche e private mettevano in atto l’istanza di una libertà positiva e di una autodeterminazione generalizzata che rendevano la partecipazione politica acqua sorgiva perché ognuno potesse essere artefice del processo decisionale.
Ma si aveva la consapevolezza che senza la conoscenza dei fatti, delle cose, dei processi delle norme, dei progetti non si potesse arrivare ad alcuna forma di partecipazione democratica. Insomma senza l’informazione libera non eterodiretta o truccata e teleguidata la deriva plebiscitaria era inevitabile.
Si poneva in quegli anni, a chiare lettere sul tappeto, la problematica della democrazia la qualità della democrazia e del corrispettivo concetto di libertà, analizzato, approfondito, non svenduto grossolanamente e superficialmente come da 15 anni a questa parte.
La manifestazione del 19 settembre prossimo per la libertà di informazione, per riscattare e recuperare lo spazio perduto concettualmente e organizzativamente in tutti questi anni, non può non connettere la problematica della qualità della democrazia come partecipazione di massa alla qualità dell’informazione e quindi alla libertà di informazione che è anzitutto dar voce agli esclusi, agli emarginati, ai precari, alle loro proteste perché venga portata alla ribalta del primo piano nuovamente il conflitto che viene rappresentato dai vari conflitti sociali. E’ dalla generalizzazione della lotta, infatti, che si può analizzare con lucida chiarezza la precarietà della vita sociale e questa la può vedere in tutta la sua impietosa e cruda realtà solo un mondo della informazione che non può essere asservito alla logica del dominio.
Tale processualità dell’asservimento richiama, nella fondamentale importanza oggi del mondo della conoscenza, il rapporto marxiano tra il dominio delle forme e le forme del dominio a volte volutamente miopi o addirittura cieche. E questa cecità sorvola sulle grandi mobilitazioni della stagione che stiamo vivendo nel paese, dagli operai sulla gru, dell’ Innse di Milano ad inizio agosto, alla protesta di Melfi, alla mobilitazione degli insegnanti precari in molte città, al presidio in atto a Roma a viale Trastevere, accampato proprio di fronte al ministero della Pubblica Istruzione e che lotta contro i 57.000 precari che perdono il posto di lavoro da subito dei 150.000 che lo perderanno nei prossimi 3 anni. E da là, da quegli insegnanti sui tetti dei provveditorati, da quegli operai sui tetti delle fabbriche, da quei precari sugli archi del Colosseo che si desume una eguale rabbia e volontà di lottare contro l’umiliazione di donne e uomini che si battono anche contro una informazione fatta di statistiche e sondaggi taroccati ad uso del potere che come informazione solo quella conosce: servile e addomesticata. Per il resto la logica è quella della mordacchia.
La grande mobilitazione di questo autunno iniziata ad agosto mira ad unificare il fronte delle lotte, a partire oggi dal mondo della conoscenza e della informazione contro il vero e proprio imbarbarimento civico degli ultimi tre lustri e contro un sistema comunicativo completamente asservito al sistema di potere. Da questo punto di vista la libertà di stampa non può prescindere dai diritti e dalle libertà di espressione e di movimento.
“Ci volevate sotto i ponti e ci troverete sopra i tetti” è la frase che si legge su molti muri romani in questi giorni, firmata da Action, per denunciare quel fenomeno drammatico nella capitale che è l’emergenza abitativa; contro quel processo di criminalizzazione esagerata degli occupanti dell’ex Regina Elena che ha messo in atto il procedimento di sgombero in una operazione quasi militare. Il diritto dei cittadini alla conoscenza completa dei fatti riguarda tutta la realtà politica culturale e sociale del paese, inclusi i comportamenti dei politici e quindi la qualità delle persone che rivestono responsabilità istituzionali. Da questa premessa fondamentale, per delle scelte democratiche coscienti, nasce l’importanza della qualità contro la quantità per spiegare il processo democratico che è la cultura e il sapere, contro la violenza. Questa è pure quella, che al di là del gossip, riguarda il modo di considerare l’alterità: anche quella sessuale, quella che riguarda la dignità della donna e che pone in discussione il rapporto sesso-potere, sesso-autorità, nuovo maschilismo come meschina identità che si vuole spacciare come identità nazionale nella indigesta barbarie delle nuove funzioni sociali di una ignoranza come, “non-conoscenza”, spacciata come premessa di base di una nuova antropologia dell’italianità.
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