Note di Luciano Gallino e Roberto Petrini da La Repubblica, 19 settembre 2009 (f.b.)
Oltre il reddito
di Luciano Gallino
Sebbene per ora sia circoscritto all’Italia, l’indice di qualità dello sviluppo regionale, cui Sbilanciamoci dedica dal 2003 un rapporto annuo, è una delle poche proposte solide sul piano tecnico e concettuale che si siano viste finora per andare oltre il Pil quale misura del benessere economico. Sui limiti del Pil si discute da decenni. Poiché è inteso misurare soltanto le attività economiche che adducono a una transazione monetaria, quale che sia la loro natura, il Pil ignora quasi tutte le attività che non hanno tale sbocco. Il risultato è paradossale: se un contadino che con il suo lavoro manteneva l’intera famiglia, con un ricorso minimo a scambi in denaro, va in città a fare il muratore pagato una miseria, il Pil figura aumentato, ma la sua famiglia soffre la fame.
È uno dei motivi, tra l’altro, per cui il Pil della Cina è sopravvalutato. In secondo luogo, il Pil ignora le disuguaglianze: i redditi da 1 milione di euro l’anno fanno media, nel Pil pro capite, con le pensioni da 5000. Ignora anche il consumo delle risorse non rinnovabili, per cui un chilometro quadrato di foresta amazzonica abbattuta compare come attivo nel Pil alla voce "produzione e commercio di legname", non però come passivo alla voce "contributo al degrado del clima". Ma il peggior difetto del Pil lo ricordava Robert Kennedy in un famoso discorso del 1968: esso conta tra gli addendi anche la produzione di napalm, di testate nucleari, e di "programmi televisivi che glorificano la violenza allo scopo di vendere giocattoli ai nostri figli."
Benché questi limiti del Pil quale misura del benessere siano noti da tempo, quasi tutti i tentativi di mandare il Pil il soffitta, o quanto meno di ridurne il peso nelle statistiche nazionali, non hanno finora avuto buon esito. Il maggior tentativo fallito è stato forse quello di un economista della Banca Mondiale, Herman Daly, e di un filosofo, John Cobb, che sul finire degli anni 80 proposero un complesso Indice del Benessere Economico Sostenibile (Isew). Purtroppo l’Isew ha circolato soltanto tra specialisti e qualche ong. Un tentativo riuscito di rendere pubblico il tema della qualità dello sviluppo è invece quello dell’Indice di Sviluppo Umano (Isu), il cui andamento in 190 paesi è oggetto ogni anno di un rapporto dell’Onu. L’Isu utilizza il Pil, ma ne qualifica il peso combinandolo con altri due indicatori: la speranza di vita e l’accesso al sistema educativo. Esso mostra pertanto come, in differenti paesi, un Pil elevato si possa accompagnare a uno sviluppo umano mediocre. Questi rapporti annui sullo Sviluppo Umano sono disponibili sin dai primi anni 90 in una tempestiva edizione italiana, ma si fatica a ricordare che abbiano mai avuto posto nella predisposizione di concrete politiche pubbliche.
Poi è arrivato il presidente Sarkozy. La commissione da lui voluta per studiare "La misura delle prestazioni economiche e il progresso sociale", coordinata da personaggi quali Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi, ha consegnato pochi giorni fa il suo corposo rapporto. Esso si compendia in 12 raccomandazioni affinchè i tanti specialisti che concorrono alla formazione di indicatori economici e sociali ne elaborino qualcuno che ponga rimedio ai limiti del Pil ricordati sopra. Il peso politico internazionale di tale rapporto sarà forse superiore a quello del rapporto Quars di Sbilanciamoci. Ma intanto bisogna riconoscere che mentre il rapporto francese formula delle raccomandazioni, il Quars propone un metodo collaudato e gran copia di cifre che da tempo le hanno concretate. Tanto le politiche regionali quanto quelle nazionali in tema di ambiente, redistribuzione del reddito, povertà, istruzione, sanità e molto altro potrebbero trarne utili orientamenti.
Vivere bene
di Roberto Petrini
Il Signor Brambilla precipita all’ottavo posto, superato dagli abitanti del Trentino, dell’Emilia, della Valle d’Aosta, del Friuli, della Toscana, delle Marche e del Piemonte. Nella gara del ben vivere vincono gli emergenti modelli alpino-dolomitici e la tradizionale Italia municipale del Centro-Nord.
È questa la nuova mappa della felicità, alla quale in qualche modo dovremo cominciare ad abituarci, se in futuro - come molti indizi fanno pensare - il Pil verrà se non accantonato, affiancato da nuovi indicatori, sociali, ecologici in grado di fornire un quadro molto più attendibile della qualità della vita nel pianeta.
La classifica, elaborata dagli economisti «alternativi» dell’Associazione «Sbilanciamoci» nel rapporto del 2009 che sarà presentato il 3 ottobre a Roma, e che «Repubblica» anticipa, riserva più di una sorpresa: molti che si ritengono ricchi si accorgeranno di aver pagato allo sviluppo un prezzo assai alto in termini di ambiente e sviluppo civile. Qualche regione comunemente ritenuta povera può scoprire di avere un ambiente migliore e più vivibile.
Prendiamo ad esempio una regione come il Lazio, terra del tradizionale pubblico impiego, di servizi e commercio, di rendita e sede degli enti più importanti: con queste caratteristiche il Pil schizza verso l’alto. A guardare i dati ufficiali dell’Istat si collocherebbe al quinto posto in Italia per ricchezza procapite (con ben 30.300 euro medi a testa), ed invece nella classifica del Quars-index precipita al dod icesimo posto, giù nelle posizioni più basse della graduatoria. Se oltre al denaro contante si considera la condizione dell’ambiente il fardello di questa Regione si appesantisce notevolmente facendola precipitare al quartultimo posto.
Cosa fa la differenza? Nel nuovo indice, che piacerebbe al presidente francese Sarkozy che ha affidato ai premi Nobel Amartya Sen e Joseph Stiglitz, il compito di riformare il calcolo del Pil, figurano una infinità di variabili aggiuntive al semplice reddito. In tutto sette: si va dalle emissioni di Co2, alla densità della popolazione, dalla raccolta differenziata alla mobilità sostenibile. Insomma, il concetto è semplice: inutile guadagnare più degli altri se poi ci si ammala di asma bronchiale e si rimane imbottigliati in un autobus affollato e fatiscente. Il Pil suona così come una sonora presa in giro.
Anche il Veneto non regge alla prova qualità della vita. Il mitico Nord Est delle piccole e infaticabili imprese, quando si guarda inforcando le lenti del vecchio indicatore, svetta al sesto posto forte dei suoi 30.200 euro procapite di Pil, ma se si prende la classifica del Quars-Index, slitta mestamente di tre caselle, al nono posto. Non lo trascinano in basso le variabili legate al lavoro (in questa Regione precariato e disuguaglianze vengono ritenute buone tanto da far figurare il Veneto al secondo posto nella speciale sotto-classifica e neanche l’accettabile condizione dell’ambiente), ma lo penalizzano cultura, partecipazione alla scuola superiore, scarse opportunità per le donne.
Se la classifica della qualità della vita per le Regioni ricche può rappresentare una cocente delusione, per quelle già povere il Quars-Index conferma che la somma di sottosviluppo e disgregazione civile, danno vita ad una drammatica miscela. In Puglia, Calabria, Sicilia e Campania dei quaranta indicatori utilizzati per comporre l’indice elaborato da «Sbilanciamoci» solo pochissimi sono sopra la media.
In Campania, ad esempio, il Pil procapite è circa la metà di quello lombardo, questo colloca la Regione al 20° posto, l’ultimo nella Penisola. La lettura del Quars-Index non fa che confermare la maglia nera della patria di Gomorra: maglia nera per gli indicatori ambientali (in buona compagna: perché penultima è la Lombardia) figura tra le posizioni di coda per disuguaglianze e povertà, diritti e cittadinanza, salute, cultura, partecipazione civile (un indicatore dove vengono ponderati la diffusione dei quotidiani, le organizzazioni del volontariato e la presenza dei difensori civici).
Non sorprende che in testa alla classifica domini il modello alpino-dolomitico: qui Pil e Quars si sommano miracolosamente. Il Trentino Alto Adige è il terzo per Pil e il primo in termini di Quars con ottime performance per am-biente, lavoro e partecipazione. La Valle d’Aosta è la regione più ricca d’Italia con un Pil procapite di quasi 34 mila euro e la terza per qualità della vita.
Superano virtuosamente il test del Quars-Index le regioni dell’Italia centrale: qui ad un Pil procapite collocato nelle posizioni di centro classifica corrisponde quasi sempre un miglioramento della posizione in termini di qualità della vita. In questo caso l’utilità dei nuovi indicatori, ai quali ormai stanno lavorando economisti di tutto il mondo e che durante l’estate sono stati posti nell’agenda della Commissione europea, è assai evidente. In Emilia Romagna, Marche, Umbria e Toscana si guadagna mediamente ma si vive bene, tanto da essere collocati ai livelli alti della classifica. Significa che l’apparato pubblico funziona ed è in grado di restituire ai cittadini più di quanto ci si aspetterebbe dalle stime del Pil. In particolare va segnalato il caso dell’Emilia Romagna: quarta per Pil nella classifica generale, ma seconda per Quars.
Anche nelle posizioni di coda, grazie al nuovo indice della qualità della vita, possono emergere piacevoli e confortanti sorprese: come quella che vede la Basilicata, tra le pochissime regioni del Sud, riscattare il proprio basso reddito pro capite con una qualità dell’ambiente che la porta ad essere la terza in Italia (dopo Trentino e valle d’Aosta) e ad affrancarsi dalla schiavitù dei «numeretti» del Pil. La mappa della felicità è solo ai primi passi, ma ha già un’ipoteca sul futuro.
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