Ci sarà un motivo, o è solo un caso, se nel giorno in cui le prime pagine dei giornali sono tutte occupate da un conflitto istituzionale di portata storica (e potenzialmente devastante per la nostra giovane e fragile democrazia) sulla prima pagina del Corriere della Sera di Paolo Mieli e P. Battista (lo stesso quotidiano che annovera fra i suoi maggiori azionisti il dott. Giuseppe Rotelli,) compare un articolo che accosta ai nomi di Letta (Gianni) e del defunto Tatarella (Pinuccio), la proposizione «poteri oscuri»?
Il quotidiano già caduto nelle mani della P2 e sottratto a quelle grinfie dall’iniziativa congiunta di Sandro Pertini e Alberto Cavallari, è oggi diretto e vicediretto da due giornalisti a loro modo campioni di quella branchia del giornalismo italiano, che ha fatto della “destrutturazione” del “complottiamo”, una vera e propria missione.
Per i giornalisti-storici, Mieli e Battista, dalla strage di Portella della Ginestra, sino allo “strano caso del Generale Mori”, passando per piazza Fontana, e via dei Georgofili, per ritornare nello spazio e nel tempo a Palermo, in via Pipitone Federico, dove con l’assassinio di Rocco Chinnici si è inaugurata nel 1983 quella fase della storia d’Italia che ci porta diritti diritti ai giorni nostri, tutto è “trasparente”, e nessun complotto, e nessun potere che non sia noto, e nessun “vecchio” né grande né piccolo, si devono cercare; per la semplice ragioni che non esistono.
Ebbene, questa mattina, taglio basso, ma pur sempre lanciato dalla prima pagina del loro “Corrierone”, e per la firma autorevole di Verderami, un giornalista sempre bene informato dei fatti, si legge appunto il nome di Gianni Letta, ovvero l’anima più nera del berlusconismo, l’uomo senza il quale Berlusconi non va nemmeno in bagno, accostato alla breve proposizione «poteri oscuri».
E non solo, nell’articolo si legge di Letta Gianni che afferma testuale:
«in effetti l’esercizio del potere spesso si annida all’interno di poteri oscuri, poco visibili alla pubblica opinione».
Sta succedendo qualcosa in questo paese, e potrebbe davvero essere pericoloso “illudersi” che il problema sia solo il “guitto” che guida pro tempore il Governo, forse il dramma per la democrazia e la vita di noi cittadini inermi, si annida altrove, ché rimanendo alla denuncia di Letta, uno che se ne intende, il dramma sta covando molto di più nella ricattabilità di un’opposizione la cui insipienza, la cui inconsistenza, la cui ignavia, potrebbe spiegarsi con tutto quello che è poco visibile alla pubblica opinione.
Vittorio Melandri
P.S. Per chi se lo fosse perso, segue articolo citato.
Letta, Tatarella e i «poteri oscuri»
Corriere della Sera 7 febbraio 2009 (prima pagina e poi pagina 16)
di Francesco Verderami
È l’interlocutore dei poteri forti, per certi versi è egli stesso un potere forte. Allora ci sarà un motivo se a quindici anni dal j’accuse lanciato da Pinuccio Tatarella, Gianni Letta riapre la querelle sui «poteri oscuri».
Nel ricordare il «ministro dell’Armonia», scomparso nel febbraio del 1999, Letta avrebbe potuto storicizzare la famosa intervista concessa alla Stampa da Tatarella. Era l’estate del 1994 e l’allora vicepresidente del Consiglio aveva capito che il primo governo di Silvio Berlusconi non sarebbe durato a lungo. Così decise di spiegare come la politica e il voto popolare fossero assediati da una sorta di «secondo livello» di potere: «Il mio intendimento — commentò in seguito — non era denunciare un complotto ma parlare di regole per la nuova Repubblica».
Quindici anni dopo, il braccio destro del premier avrebbe potuto limitarsi a rammentare le «polemiche molto aspre» che «l’amico Pinuccio» aveva suscitato. E il dibattito che impegnò personalità come Mario Monti, Alberto Quadro Curzio, Mario Deaglio. Invece no, Letta ha voluto attualizzare l’argomento, coniugando i verbi al presente ha ribadito che «in effetti l’esercizio del potere spesso si annida all’interno di poteri oscuri, poco visibili alla pubblica opinione». «Annidarsi», «poteri oscuri»: sono espressioni inconsuete per chi si è sempre affannato ad arrotondare le spigolosità del Cavaliere.
Letta raramente parla in pubblico e quando lo fa non lo fa a caso. Perciò la sua sortita è clamorosa, perché evocando il tema dei poteri forti l’ha di fatto riproposto, lasciando intuire che la politica non è riuscita a sciogliere quel nodo, non si è stabilizzata e sconta ancora un handicap. Eppure rispetto al ’94 Berlusconi non è più l’«alieno», l’«estraneo», l’«usurpatore del potere», semmai con la vittoria del 2008 è parso prendersi una rivincita proprio rispetto agli «uomini invisibili» additati da Tatarella.
Tuttavia dev’esserci un problema se per Letta — al di là dei pesi e contrappesi costituzionali — ancora oggi il voto non sembra sufficiente per governare. «Faccio un esempio» dice: «Noi siamo legittimamente chiamati a dare risposte ai problemi attraverso l’azione del governo. Ma molto spesso non tutto dipende dalle nostre decisioni. In processi molto importanti, come l’economia, entrano in campo altri soggetti che non sono il governo. Questo appartiene all’articolazione democratica dello Stato ma non sempre è visibile».
Sono chiare le allusioni, è evidente a quali «poteri oscuri» si riferisce il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Non è un approccio descrittivo il suo, ma la rappresentazione delle difficoltà della politica narrate dal protagonista di tutte o quasi tutte le vicende di Palazzo, dal mediatore delle più complesse trattative della storia repubblicana nell’ultimo ventennio. Riesumando la questione, Letta non si limita a omaggiare «il vero inventore di An», ma scientemente getta un sasso nello stagno dopo averlo tolto dalla scarpa.
Nell’intervista rilasciata a Con — periodico di destra diretto da Italo Bocchino — c’è addirittura un’orgogliosa rivendicazione di parte, sebbene avvolta attorno al tema del dialogo. L’alter ego di Berlusconi resta fedele all’idea di «ricercare un punto d’incontro che tenga conto degli interessi generali», gli «interessi nazionali» nel caso dell’azione di governo. Ma ciò «non può mai significare l’abbandono delle cose in cui si crede. Non si può rinunciare ai propri principi. No al basso compromesso, sì al punto di equilibrio. Sono cose diverse».
Ecco spuntare un Letta inedito, che dopo aver tenuto per anni la sua immagine distinta e distante dalle questioni di partito, ora rivela di aver partecipato già nel ’94 «ad alcune riunioni sull’ipotesi di una forza unica del centrodestra»: «Ricordo il pressing che Tatarella esercitava su Berlusconi e Fini affinché si iniziasse a lavorare alla casa comune dei moderati italiani». Come Tatarella, anche Letta sosteneva e sostiene che non basti «un’alleanza programmatica», perché «per quanto solida, non ha futuro». Di qui la necessità di dar vita al Pdl e di rinforzare l’asse «cruciale» con la Lega.
Dimenticate le liti che scandirono il loro rapporto, «Gianni» ha voluto rievocare il legame politico con «Pinuccio» e anche i punti di riferimento culturali in comune. Sorprenderà la citazione su Prezzolini, «un mito della mia generazione», ma chi avrebbe immaginato un attacco di Letta ai «poteri oscuri»?
Nessun commento:
Posta un commento