Il curioso caso del Pd
di Pierfranco Pellizzetti, da il Secolo XIX
Siamo proprio sicuri che tutto il Partito Democratico sia in lacrime dopo la tremenda batosta alle regionali sarde?
Di certo non lo sono i dirigenti locali interessati a qualche affaruccio edilizio sulla costa, cui il Governatore uscente - Renatu Soru - aveva creato un po’ di fastidi con la sua politica delle aree e dei vincoli. Un braccio di ferro che mandò in tilt la maggioranza che lo appoggiava. Tanto da costringerlo ad andare alla conta elettorale anticipata proprio per vincere tali resistenze sottotraccia. Il primo avversario occulto contro cui l’imprenditore prestato alla politica ha dovuto combattere la sua battaglia finita male. Ma anche riprova che il partito non tiene sotto controllo gli interessi affaristici periferici. Per i quali - in Sardegna - è meglio Silvio Berlusconi e il suo guardaspalle Ugo Cappellacci, molto meglio il modello di sviluppo fondato su centri fitness e cemento a tutto spiano, del troppo poco accomodante compagno di partito.
Probabilmente neppure i dirigenti nazionali si strappano i capelli (al di là della sceneggiata di Veltroni che “rimette il mandato” per farselo riconfermare: chi si prenderebbe un partito allo sbando a tre mesi dalle elezioni europee?): in fondo l’emergere di un nuovo aspirante alla leadership - quale sarebbe stato il Soru vincitore nello scontro con il Golia Berlusconi - non era certo una prospettiva che attizzasse la già sovraffollata plancia di comando del PD. La vasta schiera di capi, capetti e sottocapi che bivaccano a Roma attorno ai resti di un partito che sembra Brad Pitt ne “Il curioso caso di Benjamin Button”: nato con il corpo da ottuagenario e vissuto regredendo allo stato infantile. Infantilismo politico di cui già si intravede la crescita patologica nel bel regalo fatto dalla dirigenza centrale al candidato sardo, quando si è pensato bene di fare fuori dalla Commissione Sanità del Senato un personaggio simbolo e di garanzia - quale Ignazio Marino - per mettere al suo posto la solita beghina teocon, la papista Dorina Bianchi. Una tipetta che qualche giorno fa aveva dichiarato: «nonostante l’orientamento del mio partito avrei votato sì al decreto del governo sul caso Englaro». Il laicismo sardo, componente significativa nella cultura politica di un’isola che fu patria di Emilio Lussu, non sembra proprio aver gradito. Di certo non sono queste le mosse che frenano l’ingrossarsi di un non-voto o di un voto annullato che ormai - come osserva Stefano Ricolfi - sta diventando la posizione maggiormente connotata in senso politico. E difatti voto di totale diniego e astensionismo sono cresciuti al punto di corrispondere all’orientamento del trenta per cento della cittadinanza sarda: il primo partito dell’isola (probabile battistrada di quello che andremo a vedere l’aprile prossimo alle consultazioni per il parlamento europeo).
Poi ci sono le conferme per i vincitori: quando c’è da catturare un voto il piazzista-Berlusconi non lo tiene proprio nessuno (specie se il partito avversario si dedica all’autolesionismo), il blocco sociale aggregato dalla Casa delle Libertà continua a tenere alla grande; nonostante la crisi economica in aggravamento e le patenti inadeguatezze del governo in carica. Cose ormai risapute. Come risaputa e ulteriormente confermata è l’incapacità dell’opposizione di attrezzare contromosse minimamente efficaci, di evitare almeno gli autogol.
Mentre dall’America arrivano zefiri che potrebbero ritendere le vele delle navicelle progressiste (come è stato per il primo centro-sinistra quando alla Casa Bianca sedeva John Kennedy, o per le varie Terze Vie imperante Bill Clinton), qui siamo ancora ai puri movimenti di organigramma interno. Con i “margheriti” che insidiano, grazie a una maggiore compattezza di cordata e l’età anagrafica più bassa, il numero pur ancora prevalente dei cinquantenni invecchiati di provenienza post-comunista, tra loro l’un contro l’altro armati. Anche in questo caso ne abbiamo una recentissima avvisaglia: la vittoria alle primarie fiorentine per il sindaco di Matteo Renzi, nonostante (o grazie a) la dichiarata ostilità dei Veltroni e dei Dalema.
(18 febbraio 2009)
Nessun commento:
Posta un commento