sabato 7 febbraio 2009

Ezio Mauro: La svolta bonapartista

IL COMMENTO
La svolta bonapartista
di EZIO MAURO


Giorgio Napolitano
e Silvio Berlusconi

UNA questione di vita e di morte, una tragedia familiare, un caso di amore e di disperazione tra genitori e figlia che cercava di sciogliersi nella legalità dopo un tormento di 17 anni, è stato trasformato ieri da Silvio Berlusconi in un conflitto istituzionale senza precedenti tra il governo e il Quirinale, con il Capo dello Stato che non ha firmato il decreto d'urgenza del governo sul caso Englaro, dopo aver inutilmente invitato il Premier a riflettere sulla sua incostituzionalità, e con Berlusconi che ha contestato le prerogative del Presidente della Repubblica, annunciando la volontà di governare a colpi di decreti legge senza il controllo del Quirinale. Pronto in caso contrario a "rivolgersi al popolo" per cambiare la Costituzione.

Il Presidente del Consiglio non era mai intervenuto in questi mesi nel dibattito morale, politico e culturale sollevato da Beppino Englaro con la scelta di chiedere la sospensione della nutrizione artificiale per sua figlia, ponendo fine ad un'esistenza vegetativa di 17 anni, giudicata irreversibile da 14. Ma ieri l'istinto populista ha consigliato al Premier di scegliere proprio il dramma pubblico di Eluana, giunto al culmine della sua valenza emotiva sollecitata dalla cornice di sacralità guerresca del Vaticano, per sfidare Napolitano su una questione di fondo: il perimetro e la profondità del potere del suo governo, che Berlusconi vuole sovraordinato ad ogni altro potere, libero da vincoli e controlli, dominus incontrastato del comando politico.

È uno scontro che segna un'epoca, perché chiude la prima fase di un quindicennio berlusconiano di poteri contrastati ma bilanciati e ne apre un'altra, che ha l'impronta risolutiva di una resa dei conti costituzionale, per arrivare a quella che Max Weber chiama l'"istituzionalizzazione del carisma" e alla rottura degli equilibri repubblicani: con la minaccia di una sorta di plebiscito popolare per forzare il sistema esistente, disegnare una Costituzione su misura del Premier, e far nascere infine un nuovo governo, come fonte e risultato di questa concezione tecnicamente bonapartista, sia pure all'italiana.

Il caso Eluana, dunque, nel momento più alto della discussione e della partecipazione del Paese, si è ridotto a pretesto e strumento di una partita politica e di potere. Berlusconi aveva infine ceduto alle pressioni del Vaticano e all'opportunità di dare alla sua destra senz'anima e senza tradizione un'identità cristiana totalmente disgiunta dalle biografie e dai valori, ma legata alla precettistica e alle politiche concrete della Chiesa: così ieri mattina ha annunciato al Consiglio dei ministri la volontà di varare un decreto legge di poche righe, per vanificare la sentenza definitiva della magistratura che accoglie la richiesta di Beppino Englaro, e per impedire la sospensione già avviata ad Udine dell'alimentazione e dell'idratazione per Eluana.

Il Presidente della Repubblica, che già aveva spiegato giovedì al governo l'insostenibilità costituzionale del decreto, ha deciso di assumersi su un caso così delicato una pubblica responsabilità, che non si presti ad equivoci davanti all'esecutivo, al Parlamento, alla pubblica opinione. Dando forma e sostanza all'istituto della "moral suasion", ha scritto una lettera a Berlusconi in cui spiega le ragioni che rendono impossibile il decreto, se si guarda - come il Capo dello Stato deve guardare - soltanto alla Costituzione, ai suoi principi, ai criteri che stabilisce per la decretazione d'urgenza. C'è una legge sul fine-vita davanti al Parlamento, dice Napolitano nel messaggio, c'è la necessità di rispettare una pronuncia definitiva della magistratura, se non si vuole violare "il fondamentale principio della separazione e del reciproco rispetto" tra poteri dello Stato, c'è la norma costituzionale dell'uguaglianza tra i cittadini davanti alla legge, quella sulla libertà personale, quella sulla possibilità di rifiutare trattamenti sanitari. Ci sono poi i precedenti di altri inquilini del Quirinale - Pertini, Cossiga, Scalfaro - che non hanno firmato decreti-legge, e soprattutto c'è la funzione di "garanzia istituzionale" che la Costituzione assegna al Capo dello Stato. Da qui l'invito al governo di "evitare un contrasto", riflettendo sulle ragioni del no del Presidente.

Con ogni probabilità è stato questo richiamo al ruolo di garanzia del Quirinale, unito al gesto pubblico di rendere nullo il decreto del governo, rifiutandosi di emanarlo, che ha convinto Berlusconi a sfruttare l'occasione per aprire la contesa suprema sul potere al vertice dello Stato. In conferenza stampa il Premier ha spiegato la sua scelta sul caso Englaro con motivazioni morali ("Non mi voglio sentire responsabile di un'omissione di soccorso per una persona in pericolo di vita") ma anche con giudizi medico-scientifici approssimativi ("Lo stato vegetativo potrebbe variare"), e con affermazioni incongrue e sorprendenti: "Eluana è una persona viva, che potrebbe anche avere un figlio".

Ma il cuore del ragionamento berlusconiano è un altro: la lettera di Napolitano è impropria, perché il giudizio sulla necessità e urgenza di un decreto spetta per Costituzione al governo e non al Quirinale, mentre il giudizio di costituzionalità tocca al Parlamento. Non solo, ma il decreto d'urgenza è l'unico vero strumento di governo in un sistema costituzionale antiquato. E se il Capo dello Stato "decidesse di caricarsi della responsabilità di una vita", non firmando il decreto, il governo si ribellerebbe invitando il Parlamento "a riunirsi ad horas" per approvare "in due o tre giorni" una legge stralcio che anticipi il testo in discussione al Senato, bloccando così l'esito della vicenda Englaro. Eluana, tuttavia, è già sullo sfondo, ridotta a corpo ideologico e a pretesto politico. Ciò che a Berlusconi interessa dire è che non si può governare il Paese senza la piena e libera potestà governativa sui decreti legge. "Si può arrivare ad una scrittura più chiara della Costituzione. Senza la possibilità di ricorrere a decreti legge, tornerei dal popolo a chiedere di cambiare la Costituzione e il governo".

La sfida è esplicita, addirittura ostentata. Quirinale e Parlamento devono capire che il governo assumerà il potere legislativo attraverso i decreti legge, della cui ammissibilità sarà l'unico giudice, con le Camere chiamate ad una ratifica automatica di maggioranza e il Capo dello Stato costretto ad una firma cieca e meccanica. Berlusconi vuole decidere da solo, in un'aperta trasformazione costituzionale che realizza di fatto il presidenzialismo, aggiungendo potestà legislativa all'esecutivo nella corsia privilegiata della necessità e dell'urgenza, criteri di cui il governo è insieme beneficiario e giudice unico, senza lasciar voce in capitolo al Capo dello Stato. Un Capo dello Stato minacciato pubblicamente dal Premier, se non firma il decreto per un deficit costituzionale, di "caricarsi della responsabilità di una vita". Qualcosa che non era mai avvenuto nella storia della Repubblica, per i toni politici, per i modi istituzionali, per la sostanza costituzionale: e anche per la suggestione umana.

La risposta di Napolitano poteva essere una sola: con rammarico, il Presidente non firma, perché il decreto è incostituzionale. L'assunzione di responsabilità del Quirinale rende nullo il decreto, e costringe Berlusconi a imboccare la strada parlamentare, sia pure con le forme improprie annunciate ieri. Ma la lacerazione rimane, il progetto di salto costituzionale anche. È un progetto bonapartista, con il Premier che chiede di fatto pieni poteri in nome del legame emotivo e carismatico con la propria comunità politica, si pone come rappresentante diretto della nazione e pretende la subordinazione di ogni potere all'esecutivo. Avevamo avvertito da tempo che qui portavano le leggi ad personam, i "lodi" che pongono il Premier sopra la legge, la tentazione continua di sovraordinare l'eletto dal popolo agli altri poteri. Ieri, Napolitano ha saputo opporsi, in nome della Costituzione. La risposta del Premier è stata che il Capo dello Stato non potrà mai più opporsi, e la Costituzione cambierà.

Ecco perché la data di ieri apre una fase nuova nella vita del Paese, una Terza Repubblica basata su una nuova geografia del potere, una nuova legittimità costituzionale, un nuovo concetto di sovranità, trasferito dal popolo al leader. Si può far finta di non vedere cosa sta accadendo, con l'immorale pretesto della tragedia di Eluana? Ieri la voce più forte a sostegno di Napolitano è stata quella del Presidente della Camera, che sembra ormai muoversi in un perimetro laico e costituzionale, da destra repubblicana. Dall'altra sponda del Tevere, mai così stretto, è venuto il plauso a Berlusconi del Cardinal Martino, presidente del pontificio consiglio Giustizia e Pace, e la sua "profonda delusione" per la scelta di Napolitano di non firmare il decreto. Come se insieme alle chiavi di San Pietro il Vaticano avesse anche la golden share del governo italiano e delle sue libere istituzioni. Certo, sotto gli occhi attoniti del Paese e sotto gli occhi che non vedono di Eluana Englaro ieri è andato in scena uno scambio di favori al ribasso, col Dio italiano consegnato alla destra berlusconiana, come un protettorato, in cambio di una difesa di valori disincarnati e precetti vaticani, da parte di un paganesimo politico servile e mercantile. Dal caso Eluana non nasce una forza cristiana: ma un partito ateo e clericale insieme, che è tutta un'altra cosa.

(7 febbraio 2009)

1 commento:

Anonimo ha detto...

http://susyspecchi.splinder.com/post/19785957/Non+capisco

Paolo Palmacci