La guerra di George W. Bush contro l’Afghanistan scoppiò nel 2001. Uno dei motivi ricorrenti per giustificarla era: dobbiamo liberare le donne afghane dall’oppressione talebana. Non si sono ancora concluse, la guerra e l’oppressione. La guerra di Troia portò a dieci anni di combattimenti e tutti lo sappiamo: scintilla fu il rapimento di una donna. Da sempre sul corpo femminile si giocano vicende pubbliche, nella storia, nella memoria e nel racconto.
Adesso, con l’intento dichiarato di difendere – ancora una volta – le donne arriva un decreto liberticida e con notevoli profili di anticostituzionalità: quello che dà il via libera alle cosiddette”ronde”. Privati cittadini volontari che affiancano le forze dell’ordine per il presidio del territorio. Dopo avere declinato per anni la parola “sicurezza” in ogni possibile salsa autoritaria ed esclusivamente repressiva - e non solo da destra - siamo giunti ad un ulteriore sviluppo, simbolicamente connesso ad una strategia pubblica tutta dentro il sorvegliare e punire, dove la parola “prevenzione” non esiste proprio più, dove si è capaci solo di aumentare gli apparati di controllo, con risultati, tra l’altro, sempre più dubbi.
Ma è la motivazione esplicita ad essere interessante: il decreto è nato sull’onda dell’emergenza stupri. D’altronde, il presidente del Consiglio l’aveva detto, qualche tempo fa: bisognerebbe affiancare a ogni bella donna un militare, perché questa potesse essere davvero al sicuro. Si sa, l’uomo è uomo, l’occasione fa l’uomo ladro … il livello di elaborazione è questo.
Controllo e repressione, da una parte, apparati linguistici degni del peggior paternalismo dall’altra: nel discorso pubblico di oggi le forme del patriarcato non appaiono neppure più in modo subdolo e velato, ma vengono espresse e rivendicate.
Perché parliamo di patriarcato? Perché parliamo di una forma di dominio sociale che cozza violentemente contro i livelli di autonomia che le donne, ma non solo, hanno raggiunto, e che, sforzandosi pervicacemente di negare la libertà, di scelta, di pensiero, di autorappresentazione, intende imporre modelli di controllo e di chiusura. Cercando di impedirci di decidere in libertà come vogliamo essere trattati alla fine della vita, o pensando di affiancare un tutore – non a caso si parla di “angeli custodi”, di City angels - a ciascuna/ciascuno di noi quando si muove nello spazio della città, o cercando di impedire il libero desiderio di essere madri/padri. Un controllo ossessivo del corpo, dei corpi. Ecco cosa stiamo vivendo. Il Grande fratello non è più neppure quello tragicamente grande di George Orwell, è il guardone che vuole seguirti anche in bagno e in camera da letto.
Qualche giorno fa ho spedito una lettera ad un amico, sensibile ed intelligente, che si era chiesto che cosa spingesse un uomo allo stupro. Gli ho raccontato che essere una donna significa che ti viene inculcato, fin dalla più tenera età, il timore che uno stupro ti possa accadere. Attenta ai luoghi solitari, alla notte, era quello che mi sentivo dire io da piccola. Oggi non è più vero neppure questo, si violenta di giorno, in luoghi frequentati, la gente volta le spalle.
Io penso che nello stupro siano in questione i meccanismi del potere, il modo in cui gli uomini declinano il potere ed il dominio. In certi uomini - non voglio dire molti uomini - questo meccanismo di dominio diventa sopraffazione, violenza bestiale, rifiuto del rifiuto, perché questo mette in discussione, probabilmente, la propria identità profonda, costruita con una educazione – che ancora permane – alla predazione come modo per soddisfare un desiderio. E mi pare chiaro che le forme di questa “educazione”, di questa strutturazione del sentimento di come si sta al mondo, di questa percezione del rapporto uomo/donna accomunino connazionali e stranieri, migranti e italiani. Sono queste le domande che dobbiamo porci.
Paola Meneganti
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