Genova, Livorno, Bad-Godesberg ed Epinay
1892, 1921, 1958, 1971.
Nel 2009 anno orribilis per la sinistra italiana, mai come oggi umiliata ed umiliante per noi popolo di fedeli, la cui fede risulta ormai estremamente provata e al limite della consunzione, ecco che forse non per merito nostro (e dei nostri dirigenti il che non è uguale ma diciamo che fa lo stesso) ma per mano dei nostri avversari che intendevano affondare il coltello definitivamente in una gola già quasi esangue, ecco che il tentativo definitivo di cancellazione di una storia travagliata ma senza eguali in fatto di progresso civile e di coscienza di popolo in Italia, potrebbe capovolgere la situazione avviata al punto di non ritorno.
Se consideriamo come nacque il primo partito degli eguali e dei miserabili nel nostro Paese, senza particolari mezzi diremmo oggi mediatici, attraverso il sindacato ancora carbonaro, le prime cooperative, il tam-tam amplificato dalla miseria e dall'oppressione, con l'ausilio al massimo di stamperie clandestine; almeno a chi scrive, non può che arrivare un brivido di ammirazione e stupore che corre lungo la schiena e si riverbera sui tasti del pc.
Furono anni di grandi entusiasmi, di qualche conquista e di molte sconfitte frutto di inevitabili errori di gioventù.
Poi arrivò l'illusione sovietica che tutto e subito si potesse fare, per cancellare i millenni della storia dell'uomo costruita pietra su pietra, dal sistematico dualismo forte contro debole.
Il popolo si divise, ma fece ancor più paura la sua forza potenziale di esplosione rivoluzionaria, la borghesia arretrò e il capitale mise in campo i suoi terribili anticorpi.
Dopo la seconda guerra, la parte d''Europa ormai libera dagli imperi e dai totalitarismi, acquisì finalmente una coscienza nuova fatta di pace e cooperazione tra gli stessi vincitori e vinti. L'involuzione subita nel secolo intercorso tra i trattati di Vienna e di Versailles, si avviava finalmente alla definitiva archiviazione.
Per alcuni anni ancora restò però il dubbio, tra i partiti della sinistra europea, se fare come a Mosca oppure convincersi definitivamente alla democrazia e al confronto con l'altro che essa impone e sulla quale affonda i suoi pilastri.
A Bad-Godesberg, un distretto di Bonn nel 1958, la SPD tedesca riuscì a far prevalere definitivamente la cultura riformista e mise le basi per la partecipazione dei socialisti ai governi di coalizione mettendo definitivamente Marx e le tendenze rivoluzionarie, tra i cimeli di famiglia.
Questo avvenimento si allargherà a macchia d'olio in tutta l'Europa continentale e sarà alla base della nascita della UE come la conosciamo oggi.
Nella Francia ancora profondamente gollista e non ancora ripresasi dallo shock derivante dalla perdita della sua centralità politica europea prima ancora che mondiale, i socialisti ormai ridotti al lumicino che pure avevano guidato governi già prima del secondo conflitto come nel caso di quello di Leòn Blumm, si trovarono nel giugno del 1971 di fronte al dilemma già avanzato in Italia da Pietro Nenni "Rinnovarsi o perire".
Nel congresso di Epinay-sur-Seine, prevalse la prima ipotesi tanto che affidarono la guida del nuovo partito che nasceva dalle ceneri di diverse formazioni della sinistra, a François Mitterrand che proprio un socialista ortodosso non era.
Abbiamo visto in seguito come il PSF seppe ritrovare le proposte e il consenso necessario per ritornare alla guida del Paese, svolgendo al contempo un ruolo non secondario per il rafforzamento di una cultura politica dell'Europa.
Ritornando alla situazione politica dell'Italia di adesso, di fronte ad un debordante (ed incontrastato) riaffioraramento di una concezione del potere padronale, paternalista (pro domo sua) e personalistico, cosa dobbiamo ancora aspettare per fare come in Europa, nei "minuti di recupero" che ci sono rimasti?
Come non appellarsi ancora una volta (sperando che sia quella buona) al motto di Rosselli "Insorgere per risorgere" ?
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