sabato 7 febbraio 2009

Sergio Celestino: Sinistra, la rivolta non basta

Da Aprile
Sinistra, la rivolta non basta
Sergio Celestino*, 06 febbraio 2009, 11:54

Dibattito La soglia del 4% alle elezioni europee fa sperare, forse, molti elettori in una riorganizzazione a sinistra, e magari, in caso di débacle del Pd, dell'intero centrosinistra. Ai compagni di RPS spettano due responsabilità storiche: non ripetere in sedicesimi la storia di una sinistra postcomunista che si incammina verso un riformismo privo di identità politica e culturale. L'altra è quella di chiudere i conti della storia con il socialismo italiano



Negli ultimi tempi moltissimi elettori del centrosinistra hanno perso ogni riferimento politico e ideale. Anche coloro che, per senso di responsabilità, per mancanza di alternative credibili o altro, hanno deciso di votare "turandosi il naso" per i partiti maggiori, lo hanno fatto senza entusiasmo, con l'amara sensazione che la crisi dello schieramento progressista non sarà breve, e che oltre ai partiti in cui potersi riconoscere si sia persa una speranza, una visione di un cambiamento vero e coraggioso per il nostro Paese.
Questo ha indotto molti italiani a valutare l'opzione di "restare a casa" non solo alle elezioni di turno, con un astensionismo in costante crescita, ma anche rispetto all'impegno politico e culturale che avevano precedentemente profuso in circoli, feste, sezioni, mobilitazioni, con il conseguente impoverimento di un tessuto civico di cui il nostro Paese ha un bisogno vitale.

Oggi, forse un po' inconfessabilmente, l'introduzione di una soglia del 4% anche alle elezioni europee fa sperare molti elettori in nuovi processi di riorganizzazione a sinistra, e magari, in caso di débacle del Pd, dell'intero centrosinistra.
Fra questi processi, le maggiori attenzioni sembrano puntate sul movimento di Vendola che insieme a Sd, Verdi e una parte del Pdci potrebbe dar vita a una sinistra nuova, radicale nelle ispirazioni ma con vocazione a governare, potenziale alleato del Pd in un diverso quadro di alleanza tra centro e sinistra.

Ma è proprio questo movimento, sul quale si concentrano ora tante speranze a sinistra (quante davvero lo potrà dire solo il voto), che deve evitare alcuni errori che gli sarebbero fatali.
Il progetto nasce nel nome di una "sinistra" a cui i fondatori si vantano di aggiungere: senza aggettivi. Come a dire che qui possono trovare spazio tutti i filoni della sinistra storica italiana: comunista, postcomunista, ambientalista e -ma con molti distinguo- socialista. Tutti nel nome, un po' taumaturgico quanto salvifico, di una parola-feticcio, di un termine ricco di fascino quanto ormai svuotato di contenuti storici e politici attuali.

Intendiamoci: "sinistra", come insegna Bobbio, è un termine che contrapposto a "destra" avrà sempre un significato. Non voglio qui ricordare che avevano una "destra" e una "sinistra" il Pcus, la Dc e l'Msi (e addirittura il Pnf), che si può definire Levebvre di destra e Martini di sinistra e giù fino alle mutande e la mortadella di Gaber; vorrei invece esaminare la parabola degli anni '90 di quello che della sinistra è stato il partito più rappresentativo e che si chiamava, appunto, Partito democratico della Sinistra. Magari la storia può insegnare qualcosa.

Il Pds sopravvisse al crollo del socialismo reale con tutti i limiti della peculiare situazione italiana. Mentre i partiti comunisti di tutto il mondo attuavano una lenta e faticosa transizione dal comunismo al socialismo liberale e democratico, il Pds poté farlo solo in parte: aderì -grazie ai buoni auspici di Craxi, che ne aspettava il cadavere sulla sponda del fiume- all'Internazionale Socialista, insieme al Psi e ai partiti socialisti di tutto l'Occidente, e successivamente al Pse; ma in Italia non poté fare altrettanto.

Tangentopoli, che consolidava nell'opinione pubblica l'equivalenza "socialista uguale ladro"; la storica rivalità, quando non proprio l'odio, con il Psi e il suo leader che attendeva con orgoglio la rivincita storica, e un diverso atteggiamento culturale e antropologico (l'ex Pci post marxista e ideologico ancorché senza più ideologia, il Psi laico e liberale, de-ideologizzato da ben prima della svolta "proudhoniana"); tutto ciò impedì di far reincontrare i due principali filoni storici della sinistra italiana.

Solo una visione catechistica della nostra storia recente può infatti sostenere che il Psi non fosse più "di sinistra": il Pds prima, e i Ds poi, ne avrebbero seguito tutte le principali posizioni riformiste in tema di politica economica, estera, sociale e persino istituzionale; ma solo, beninteso, a morte del Psi avvenuta, diciamo dal 1994 in poi.

Il Pds continuò quindi quella che era stata la caratteristica "doppiezza" del Pci, schierato nel mondo in un modo, e in patria in un altro. Avreste dovuto chiedere a un militante pidiessino se per caso si sentisse socialista, anche quando D'Alema coinvolse Amato, Spini e Benvenuto nella "Cosa 2"; anche quando dal simbolo sparì la falce e martello per la rosa socialista europea; anche quando Veltroni andava a trovare Bobbio ai tempi di "I Care" e a quel congresso disse: aveva ragione Nenni e non Togliatti; anche quando migliaia di giovani della Sinistra giovanile, nelle gite organizzate all'europarlamento o ai raduni internazionali, scoprivano di trovarsi tra organizzazioni, eletti, altri giovani che si chiamavano e li chiamavano "socialisti". E non se ne facevano un problema: socialisti, si, ma europei, dicevano.

Nel nome della parola "sinistra", dunque, la sinistra italiana non completò la sua transizione in senso socialista, che l'avrebbe resa simile a qualunque altro paese europeo; e la parola si svuotò talmente di significato che oggi milioni di elettori, abituati a pensarsi ancora "di sinistra" in un partito che si chiamava "Democratici di Sinistra", si sono risvegliati in un contenitore indistinto, moderato e incerto, e ora prendono per la prima volta in considerazione l'ipotesi di "restarsene a casa". Ma non eravamo di sinistra? O almeno di centrosinistra, con trattino o senza? Qualcuno, per un breve momento, non ci aveva parlato anche di socialismo europeo? E Rutelli? Mah.

Certo, non è questione di etichette; i problemi del nostro tempo sono ben più concreti e reali delle bandiere, e gli elettori progressisti accoglierebbero praticamente qualsiasi novità se questa servisse a risolverli: socialista, socialdemocratico, democratico... che differenza fa?

E' certamente vero che il movimento socialista internazionale soffre della stessa crisi che ha colto il mondo globalizzato. Il XXI secolo pone sfide a cui le politiche progressive classiche non sanno dare risposta se non in situazioni contingenti, come nella Spagna di Zapatero (e oggi, neanche più lì).
Ma affrettarsi a dire che "il socialismo è un cane morto", almeno in Italia, ha il sapore della strategia dell'evitamento: la storia fornisce ancora un'occasione, questa volta certo di portata più ampia, per evitare di fare i conti con l'unico sbocco possibile per una vera sinistra riformista, adulta e matura, che ha rifiutato le visioni adolescenziali di un mondo perfetto, ma che senza rassegnarsi all'esistente ne accetta le responsabilità. Una sinistra socialista.

Ai compagni di RPS, allora, spetta una responsabilità storica.
Quella, intanto, di non ripetere in sedicesimi, la storia di una sinistra postcomunista che si incammina lentamente verso un riformismo privo di identità politica e culturale. Già visto. Già sperimentato. E gli elettori se lo ricordano. Tradotto, un piccolo Pds, e a distanza di quasi vent'anni, non prenderebbe voti.
L'altra è quella di chiudere i conti della storia con il socialismo italiano.

Ormai milioni di elettori, soprattutto quelli a cui ci si vorrebbe rivolgere nel nome dell'innovazione e del ricambio generazionale, hanno espresso il loro primo voto quando Craxi era in esilio o era addirittura già scomparso, quando Tangentopoli era già sui libri di scuola; hanno conosciuto Napolitano perché ora è presidente della Repubblica e non perché era un migliorista, pensano che Berlinguer sia stato un ministro dell'istruzione. E se sono studenti appassionati di storia, sanno che le riforme più coraggiose la Repubblica le ha conosciute con la prima volta del Psi al governo, negli anni '60.
E' ora di incamminarsi laddove il Pds non è andato. Da un punto di vista politico e culturale quel partito ha fallito, perché ha avuto la sua parte di responsabilità nel lasciare incompiuta l'eterna transizione italiana, e ora gli eredi ne pagano le conseguenze.

E' ora, dunque, di riappropriarsi non solo di un nome, ma dei contenuti, dei temi e delle sfide che in tutto il mondo ispirano il socialismo laico, libertario e democratico.
Credo che questo possa essere un progetto politico dall'impianto culturale chiaro e riconoscibile; e senza cultura si fanno solo cartelli e spot elettorali.

*Direzione Nazionale Ps

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