dal sito di SD
Non serve cambiare gli uomini, occorre cambiare rotta
Le dimissioni di Walter Veltroni svelano il fallimento non di un leader ma di un progetto politico, quello del Partito Democratico, che per la sua stessa natura non poteva funzionare.
Non è certo per colpa di Veltroni se quel partito non è stato in grado di scegliere tra le posizioni della CGIL e quelle dell’accordo separato, o di esprimere una posizione politica chiara sui temi del testamento biologico. L’errore è stato nella presunzione che fondere tra loro due partiti diversi per storia e cultura, cancellando la presenza autonoma della sinistra, avrebbe prodotto una grande innovazione politica. Ha prodotto invece un partito privo di una solida cultura politica e di un progetto di società e per ciò stesso incapace di parlare alle inquietudini di un paese scosso da una profonda crisi sociale.
A questi difetti strutturali si è aggiunta poi la concreta politica messa in opera da quel partito sotto la direzione di Veltroni, e cioè il disegno di costruire una intesa di fondo con la destra per il passaggio ad un assetto sostanzialmente bipartitico del nostro sistema politico. Qui il PD è caduto nella trappola perché ha unilateralmente decretato la fine della coalizione di centrosinistra mentre sul fronte opposto Berlusconi non si limitava a far nascere il PdL ma tesseva le fila di una nuova alleanza politica, con la Lega, con Lombardo, etc, ancora più compatta e competitiva di quelle precedenti.
Il PD ha invece scelto la rottura a sinistra – fino allo sbarramento per le europee – perfino come un tratto della propria identità, per lanciarsi invece verso intese del tutto sbagliate e controproducenti con i radicali e l’Italia dei Valori.
L’opposizione parlamentare è stata percepita come debole e insufficiente dagli stessi elettori del PD non solo perché poco combattiva o poco “gridata” ma soprattutto perché senza sbocco: un partito che non raggiunge il trenta per cento di consensi, che non si dà una strategia di alleanze politiche e continua a coltivare una improbabile “vocazione maggioritaria” viene giustamente valutato come una forza destinata vita natural durante all’opposizione, e questo non fa che accrescere il prestigio di chi invece governa.
Questa politica è stata particolarmente segnata dall’impronta del segretario dimissionario, ma di essa porta la responsabilità tutto il gruppo dirigente giacché non si sono mai visti rispetto ad essa un aperto dissenso e una limpida proposizione alternativa.
Per questa ragione, oltre che per il rispetto comunque dovuto ad un’altra forza politica, non vogliamo e non possiamo entrare nel merito delle scelte di leadership che il PD è ora chiamato a compiere. Restiamo convinti che la sua crisi non sia questione di uomini ma di linea politica.
Sarebbe un bel segnale anche verso gli elettori sconcertati e resi inquieti dalle ultime vicende, se da quel partito emergesse la volontà di cambiare rotta rispetto all’autosufficienza e di mettersi al lavoro per tessere la tela di una nuova alleanza politica, in una parola per costruire l’alternativa al governo delle destre.
Per quanto ci riguarda, continueremo a lavorare per dare all’Italia quella sinistra utile senza la quale nessuna alternativa alla destra sarà mai possibile.
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