Campane a morto nel Montefeltro 19.23
Non so dire la pena infinita che provo per il padre Englaro e per tutta la sua famiglia. E per tutte le generazioni di ragazze e di ragazzi che devono vivere questi tempi. E per noi, più vecchi ma non ancora saggi, che riusciamo a fare così poco perché un diritto scritto nella legge non venga messo in croce ogni giorno. Eluana non può morire. Eluana non può andarsene in pace. E io, che come tutti quelli che ne parlano non l’ho mai conosciuta, provo per lei un incomunicabile dolore.
Per lei che non è più qui ormai da tanti anni.
Per lei che ha vissuto fino a quando non è morta, tanti anni fa.
A suo padre vivo, vorrei invece dire che la vita è proprio come lui se la immagina. Che il suo cuore è il cuore più grande. Che il suo cuore è più profondo della malvagità ipocrita e insopportabile che trabocca in ogni dove. Che è più innocente del cuore dell’agnello, che è coraggioso e denso come le mille parole del vangelo. L’ostinazione nell’amore e la fede nella salvezza terrena lo hanno reso un eroe moderno, gentile nei modi, paziente, appassionato e generoso con tutti noi. Un italiano, un padre italiano. La sua mitezza così dolce e toccante, la sua determinazione mai aspra o arrogante, la sua volontà etica, cioè il suo cercare di essere un buon padre avverando i desideri della figlia, ci trasportano in un mondo antico e aristocratico, con le sue regole cavalleresche, la sua cosmologia perfetta.
Di là il vuoto orribile di una morale irricevibile e impraticabile. La presunzione di un primato uber alles che fa paura. Il corpo senza vita di Eluana sta lì, il lenzuolo come un sudario. Una bambina rubata alla vita e alla sua famiglia, ostaggio pubblico dei peggiori mostri della nostra pessima coscienza. Oggi campane a morto nel Montefeltro. Io le voglio leggere così: “Riposa in pace Eluana, nostro tesoro.”
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