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domenica 9 novembre 2025
Dove andrà la sinistra americana
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9 novembre 2025
La newsletter sugli Stati Uniti a cura di Alessio Marchionna
Dove andrà la sinistra
Dopo la disfatta delle presidenziali la sinistra statunitense è entrata in autoanalisi, e ne è uscita mesi dopo con una nuova parola d’ordine: affordability. È una parola, traducibile con “accessibilità economica”, che da settimane trovo in quasi in ogni commento, dibattito elettorale e resoconto di eventi politici. L’idea di fondo è che il Partito democratico abbia ignorato troppo a lungo le questioni relative al costo della vita e la crescente frustrazione per l’inflazione, e che per tornare a essere competitivo debba proporre soluzioni semplici, concrete, ai problemi che contribuiscono di più a creare la sensazione di un’economia che funziona solo per pochi: alloggi, istruzione, trasporti.
Quando sono cominciate le campagne elettorali per le elezioni locali, tutti i candidati democratici hanno battuto ossessivamente su questo tasto e hanno cercato di sfruttare l’impopolarità di Trump, accusandolo di aver peggiorato la situazione economica con i dazi e i tagli al governo. Il 4 novembre tutti, sia i moderati sia i radicali, hanno raccolto i frutti di questa strategia.
Sostenitori di Zohran Mamdani dopo la vittoria a Brooklyn, il 4 novembre. (Angelina Katsanis, Afp)
A New York Zohran Mamdani, giovane socialista e figlio di immigrati, ha vinto con un ampio margine contro Andrew Cuomo concentrandosi sul costo degli alloggi e sulla giustizia sociale, evitando controversie ideologiche e trasformando l’appoggio di Trump al suo avversario in un’arma elettorale.
La moderata Abigail Spanberger, ex agente della Cia ed ex deputata del Partito democratico, è diventata governatrice della Virginia stracciando la repubblicana Winsome Earle-Sears, e la sua performance ha trascinato alla vittoria democratici candidati per altri incarichi locali. In campagna elettorale Spanberger si è concentrata soprattutto su temi economici e legati alla sicurezza, ricevendo tra l’altro l’appoggio del sindacato degli agenti di polizia.
Nel New Jersey Mikie Sherrill è diventata governatrice smentendo i sondaggi che la davano in svantaggio, con una campagna che ha galvanizzato un elettorato preoccupato per il costo della vita e la crisi dei servizi pubblici.
In tutti questi casi si sono spostati verso i democratici molti elettori che alle presidenziali avevano scelto a sorpresa Trump – a cominciare dalle minoranze –, segno che in quel voto c’era una forte componente di protesta contro Joe Biden; ma è evidente che i democratici, a lungo accusati di essere troppo deboli e troppo woke, hanno tutto da guadagnare quando si tengono alla larga dalle battaglie ideologiche (secondo un sondaggio di qualche mese fa, il 58 per cento degli elettori democratici pensano che sia più importante nominare qualcuno che possa vincere invece di qualcuno che condivida le loro posizioni).
Le vittorie del 4 novembre, però, difficilmente indicheranno una rotta chiara per la sinistra; al contrario, renderanno più visibili e più aspre le divisioni tra le due forze che si stanno scontrando per orientare la futura direzione del Partito democratico, entrambe uscite rafforzate dal voto: da una parte c’è il fronte populista di Bernie Sanders, di Alexandria Ocasio-Cortez e ora di Zohran Mamdani; dall’altra c’è chi pensa che il Partito democratico vinca quando propone candidati pragmatici e tendenzialmente moderati. Di recente questa fazione ha trovato un’espressione teorica a partire da un libro scritto da due giornalisti, Ezra Klein del New York Times e Derek Thompson dell’Atlantic, che si intitola Abundance, e da cui il mese scorso è nata anche una nuova pubblicazione online. La “teoria dell’abbondanza” ha conquistato molti politici democratici, compresi alcuni con ambizioni presidenziali come Pete Buttigieg (segretario ai trasporti nell’amministrazione Biden) e Gavin Newsom (governatore della California).
I due gruppi hanno in comune il fatto di spostare l’attenzione dai temi identitari a quelli economici, di parlare di cose concrete – salari, case, servizi, tasse – ma hanno idee molto diverse su come risolvere i problemi.
I primi hanno una diagnosi semplice e radicale: la democrazia americana è ostaggio di una minoranza di miliardari che controllano la politica e l’economia. La parola d’ordine è “combattere l’ologarchia”: una battaglia di classe per restituire potere alla maggioranza. Sanders e i suoi alleati denunciano un Partito democratico troppo vicino ai grandi interessi, accusato di aver dimenticato il lavoro e di essersi rifugiato in battaglie simboliche. Le loro proposte si concentrano sulla redistribuzione economica: sanità e istruzione pubbliche universali, aumento dei salari, lotta alla speculazione immobiliare, controllo pubblico dei servizi essenziali e riduzione drastica delle spese militari. La battaglia politica centrale non è tra destra e sinistra ma tra il popolo e l’élite.
In netto contrasto con questa visione, i seguaci dell’abbondanza sostengono che sia riduttivo restringere tutto alla lotta contro i ricchi. Per Klein e Thompson il vero problema non è la disuguaglianza ma la paralisi del sistema produttivo e amministrativo. Gli Stati Uniti non sanno più “costruire”: sono soffocati dalla burocrazia, dai regolamenti e dall’opposizione di gruppi locali che impediscono di realizzare infrastrutture, case e innovazioni. Le città governate da decenni dai democratici ne sono una prova evidente, e questo contribuisce a rafforzare l’immagine del partito come forza incapace di agire e risolvere problemi. Il movimento dell’abbondanza propone un modello in grado di conciliare efficienza pubblica e iniziativa privata: non mira a ridurre il ruolo dello stato, ma a renderlo più efficiente.
Per la verità entrambi i gruppi sembrano avere una visione semplicistica del perché l’economia sia poco “accessibile” per tante persone. È il risultato, spiega un ottimo articolo di Vox, di molti fattori intrecciati: mercati distorti da monopoli o da regole che limitano l’offerta, ma anche redditi troppo bassi, disuguaglianze crescenti e shock economici che erodono in modo duraturo il potere d’acquisto.
Sta di fatto che il successo del partito alle elezioni di metà mandato del prossimo anno e anche dopo dipenderà, probabilmente, dalla capacità di far convivere queste due anime. Sul New York Magazine, Ed Kilgore ha scritto che “i democratici hanno vinto non imponendo una linea unitaria, ma adattando linguaggi e priorità ai diversi contesti locali, all’interno di un più ampio sentimento di resistenza e frustrazione nei confronti di Trump e dei suoi alleati”. In altre parole, i democratici possono vincere quando sanno rispecchiare la diversità del paese.
Un discorso che non vale solo per le campagne elettorali ma anche per le politiche da adottare una volta al governo. In California, per esempio, il parlamento statale ha fatto importanti passi avanti sul fronte dell’edilizia abitativa approvando leggi per favorire le costruzioni e l'aumento della densità edilizia, e allo stesso tempo varando misure antimonopolistiche, tra cui il divieto di software algoritmici per la determinazione dei prezzi degli affitti. Queste politiche sono state sostenute dai legislatori democratici di orientamento progressista e moderato.
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