sabato 22 gennaio 2022

Franco Astengo: La politica estera, un tema per la sinistra

LA POLITICA ESTERA: UN TEMA PER LA SINISTRA di Franco Astengo La politica estera appare un tema negletto, sia nell’insieme del dibattito pubblico in Italia sia nei diversi conciliaboli in atto in una discussione (ancora da impostare compiutamente) sulla crisi della sinistra e sulla possibilità di ricostruzione di un adeguato soggetto politico. Un soggetto politico anche rappresentativo della storia e della tradizione politica di quello che fu definito “movimento operaio”. Eppure il tema della politica estera è di stringente attualità perché in questo momento si stanno ridefinendo i punti fondamentali degli schieramenti a livello globale. Emergono, tra gli altri, due fattori di crisi che possono essere definiti fondamentali: quello ucraino e quello di Taiwan. Due punti di osservazione che ci fanno rintracciare nell’analisi dati che assomigliano molto a quelli che si affrontavano nel corso della fu “guerra fredda”. Ci troviamo ad un livello di scontro che sposta i termini di quello della lotta per le fonti energetiche e dell’esportazione della democrazia, in un quadro di unico gendarme del mondo, che hanno caratterizzato sia la fase del post-caduta del Muro, sia del post – 11 settembre. Se cerchiamo di definire correttamente il presente ci accorgeremo anche che il dibattito sull’Europa così come era stato impostato nella sinistra almeno dal trattato di Maastricht in avanti appare ormai abbondantemente superato. Più in generale appare tramontata la riflessione sulla globalizzazione essendosi aperta una fase nella quale appare prepotente il ritorno della geo-politica. Esiste un intreccio sottile tra la prospettiva di subalternità della politica (e di conseguenza delle forme della democrazia) all’innovazione tecnologica (in particolare sul terreno dell’intelligenza artificiale) e il ritorno al confronto bellico tra le superpotenze (o presunte tali) al riguardo proprio dell’utilizzo dei materiali e delle risorse tecnologiche. Addirittura si teorizza una riduzione del pericolo di guerra termonucleare in un’era di missili ipersonici, armi autonome letali e guerra dell’informazione: tutti strumenti che abbisognano appunto delle nuove tecnologie e di conseguenza dei nuovi materiali. Allora lascia perplessa l’idea, che compare soprattutto nelle analisi di politologi statunitensi (cfr. Robert D.Kaplan - “La Repubblica” 22 gennaio), di una definizione di “blocco imperialista a Est”, tra Russia e Cina; blocco che punterebbe ad esercitare influenza in Europa sui paesi dell’ex-blocco sovietico e di ricostituzione della stessa dimensione “imperiale” dell’URSS con relativa restituzione del controllo di Taiwan sulla Cina. Di fronte a questo scenario si ricostituirebbe un fronte simile a quello della non dimenticata “logica dei Blocchi” e di conseguenza Biden viene invitato “a contenere Mosca e Pechino”. Un quadro di questo genere (sia pure esposto in maniera eccessivamente schematica) chiama oggettivamente la sinistra a riflettere sulla dimensione europea in forma del tutto diversa da quella portata avanti negli ultimi decenni. Non dimenticando che ci troviamo di fronte, nella sostanza, ad una riedizione neo-atlantica (fu sulla base dell’atlantismo e del riarmo della Germania che nacquero i primi strumenti sovranazionali in Europa, compresa la CED clamorosamente bocciata dalla Francia) l’Europa deve essere considerata, in questo momento, il terreno principale di riferimento politico. Di conseguenza qualsiasi discorso di ricostruzione nella sinistra a livello nazionale deve misurarsi proprio sulla dimensione europea cercando di disporre, in quell’ambito, di una visione sovranazionale. Visione sovranazionale che necessita però di acquisire e portare avanti una proposta politica: senza risalire a Zimmerwald e Kienthal ricordiamo l’idea neutralista dei socialisti negli anni’50, l’ipotesi di una zona smilitarizzata al centro del Vecchio Continente, la complessa storia dell’opposizione all’installazione dei missili USA all’inizio degli anni’80, la presenza – in allora – di un articolato movimento pacifista di cui oggi non si hanno notizie. Naturalmente da queste note non possono venire proposte adeguate, anche per via della totale insufficienza culturale e di capacità analitica del loro estensore, ma forse vale la pena soltanto di sottolineare la necessità di una adeguata attenzione ad un tema così delicato e complesso ma anche affrontato, quando capita, soltanto attraverso il filtro di schemi forse già superati.

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