giovedì 5 maggio 2016

Fulvio Papi: Proposte per Milano

Dal sito Odissea PROPOSTE DI FULVIO PAPI PER MILANO Milano 1° Maggio 2016. Caro Angelo, con la nota che ti mando sulla amministrazione della città (che ovviamente richiederebbe molti approfondimenti) desidero testimoniare la mia adesione, e, se possibile, il mio supporto alla lista per le amministrative di Milano “Alternativa Municipale” che ha come capolista l’avv. prof. Felice Besostri. Una figura esemplare della storica tradizione socialista, di lunga fedeltà e coerente milizia secondo lo stile dell’onestà personale e della democrazia. Presente da decenni nella politica italiana ed europea, ultimamente ha condotto una lunga e faticosa azione legale in modo che la Consulta sia potuta giungere alla bocciatura come anticostituzionale della legge elettorale nota come “porcellum”. È tra i fondatori del movimento per la democrazia costituzionale. Fulvio Papi nel suo studio (foto: Fabriano Braccini -archivio Odissea) Credo sarebbe un po’ fuori luogo se io, che da anni mi dedico prevalentemente allo studio e alla scrittura di opere teoriche, ora volessi indicare nei particolari i criteri di intervento amministrativo che sono prioritari per la città. Posso avere qualche valutazione di getto, ma quello che posso fare e credo di dover fare, è di indicare i criteri generali attraverso i quali si deve amministrare politicamente una città, poiché la politica non è altro che l’attuazione dei criteri che si ritengono validi per un vantaggio collettivo. Indicherò subito il comportamento che è bene non avere, e cioè considerare il territorio come una forza produttiva che attraverso l’attuazione di valori d’uso nient’affatto valutati per la positività del loro impatto sociale, diventano tuttavia direttamente ragioni di profitto privato. Lo si sappia o meno, lo si rimuova o lo si nasconda, in questo caso il profitto privato diviene la misura assoluta della propria azione, quindi in generale come lo scopo fondamentale della propria esistenza. Da questa considerazione si possono trarre tutte le conseguenze morali che si desiderano. Tuttavia non vorrei che il mio pensiero fosse assimilabile ad una specie di estremismo puritano e primitivo. Non nego affatto il diritto ad un profitto qualora esso derivi da sue condizioni fondamentali, in quale caso esso può diventare un’energia per una migliore riproduzione sociale. Le condizioni fondamentali sono le seguenti: 1. L’esecuzione di una qualsiasi opera si deve considerare come un bene pubblico, decisione che può derivare solo da analisi che tengano presente differenti punti di vista e dinamiche di esigenze sociali nella loro complessità. 2. Il costo di queste opere deve essere valutato oggettivamente sia riguardo al loro ammontare sia riguardo ai tempi di esecuzione. È indispensabile una severa sorveglianza sul gravame di interessi privati connessi con consorterie lobbistiche come appare oggi la situazione condizionata da un reticolo sostanzialmente malavitoso. 3. Considero inoltre che vi sono intuitivamente (l’intuizione è sempre storicamente determinata da bisogni primari) alcuni beni fondamentali la cui salvaguardia costituisce di per se stessa una necessità naturale e un livello di civiltà: l’acqua, l’aria, lo spazio, la sicurezza, l’educazione scolare, l’infanzia, l’infermità, la tarda età, il sapere della collettività, che debbono essere assicurati prioritariamente dal servizio pubblico al costo necessario e a un livello di efficienza So bene che esiste una obiezione che di solito si fa a questa concezione: si dice che se non esiste un interesse privato non si è in grado di raggiungere un livello di efficienza. Si osserva che senza una gestione che garantisce un profitto privato, questi beni sociali diventano l’occasione per la formazione di pubbliche consorterie che offrono legittimazione pubblica per interessi privati. Questo è quanto storicamente è accaduto nel nostro paese indipendentemente dalla gestione pubblica o privata, altrimenti non saremmo al 156°posto nella classifica mondiale della corruzione, notizia obiettiva che quotidianamente viene confermata da un’alternanza di corruzione e collusione che investe pressoché tutti i settori della vita socio-economica. Il ripristinare la legalità con ogni mezzo possibile probabilmente diminuirebbe il contributo fiscale che grava sui cittadini. Si possono indicare tre prospettive: 1.la scelta rigorosa degli amministratori pubblici a tutti i livelli, poiché l’ideologia della positività democratica degli enti locali è del tutto fallita ed è stato anche un canale diretto per il disfacimento morale che ha avuto conseguenze dirette nello stile di vita sociale che l’opera onesta e positiva di molti non ha potuto arginare. 2. È necessario modificare il rapporto tra decisione politica ed esecuzione burocratica che nell’accumularsi dei tempi, fruisce di potere di intervento e di interdizione. 3. È un fenomeno del tutto positivo quello dell’intervento di comunità locali che in molte occasioni hanno saputo difendere con la propria iniziativa beni che costituiscono valore e identità della propria vita sociale contro decisioni la cui analisi mostrerebbe più di un elemento di dubbio sulla loro intelligenza sociale e sulla garanzia della trasparenza economica. Felice Besostri Occorre domandarsi più in generale quale possa essere la prospettiva strategica nella conduzione della città. È opinione comune che noi ci troviamo di fatto di fronte alla figura storica della città metropolitana secondo dimensioni che a livello mondiale sono ben note. Questo non significa che la situazione non possa avere elaborazioni differenti. Va detto che una urbanistica che, in qualche modo, derivi da una visione ideale della città, purtroppo si trova materialmente fuori gioco. Questo non vuol dire affatto che una città metropolitana possa estendersi per condizioni obiettive senza che possa essere pensata come il “luogo” della propria vita È ovvio che questa concezione non può rimanere un patrimonio della intelligenza critica senza indicazioni materiali e pratiche che vanno dai trasporti, alla valorizzazione qualitativa del territorio, alla erogazione dei servizi, alle modalità sociali della fruizione del tempo e dello spazio. Era molto più semplice, ma anch’essa mi pare fuori gioco, l’urbanistica europea socialdemocratica (e poi ereditata dal modernismo dei regimi autoritari) degli anni Trenta che costruiva una città secondo localizzazioni differenti: quelle industriali, commerciali, amministrative, culturali. Le stesse forme di produzione e di comunicazione contemporanea rendono obsoleti questi modelli. Non vi è alcuna soluzione già pronta, ma il problema, nella sua generalità, non può essere estraneo a chi suppone di poter dirigere una città secondo un’idea di bene comune. E qui devo ripetere un tema fondamentale che ebbi modo di indicare già molto tempo addietro. Sostengo che come assoluta priorità la città dovrebbe ri-costruirsi (nel limite del possibile) secondo le esigenze climatiche ed energetiche che sono decisive. La città dovrebbe essere messa in condizione di auto-prodursi come positività ambientale e come fonte di ricchezza energetica e non come fonte di consumi e di sperperi alla lunga insostenibili. Questa prospettiva rimette in gioco la dimensione programmata, ridicolizzata da un post- moderno francamente più che modesto e concretamente motivo di errori di prospettiva piuttosto gravi. Una programmazione di questo tipo richiede competenze complesse e interagenti tra loro, risorse economiche regolate secondo una tempistica ben studiata, apertura di nuove e ampie possibilità di lavoro e di circolazione della ricchezza. Per queste ragioni sono sicuro che coloro che disprezzano il riflettere il prospettare e lodano e sostengono un praticismo delle cose come sono, in realtà sono tramite per la riproduzione delle medesime difficoltà e dei quesiti che noi lamentiamo, una insostenibilità sociale parallela a un edonismo affaristico di cui la città non ha bisogno. Pensare come “progresso” contenuti materiali di questa natura, non è solo segno di una totale assenza del sapere contemporaneo, ma proprio per questo, è un ulteriore fattore di crisi sociale di cui può beneficiare solo un’assoluta minoranza della popolazione Bisognerebbe essere dei benevoli utopisti per non sapere che è più facile scegliere un opportunismo, un poco volgare, piuttosto che collocarsi in un compito difficile, innovativo, privo di precedenti e anche a prova di errore. Ma per imprese di questo tipo occorre anche una condivisione di un’etica pubblica che è uno dei beni più rari. Rari ma non impossibili. Ricordo nella mia prima giovinezza il sindaco Greppi e il problema della ricostruzione della città. Non tutto fu al meglio ma non mancò mai una grande solidarietà sociale. Altri tempi, si dirà. Ed è vero. Ma la libertà del nostro agire è certo condizionata dal tempo storico, ma mantiene un suo margine di scelta ed è questo lo spazio in cui ha senso parlare di politica. Fulvio Papi

Nessun commento: