domenica 20 novembre 2011

Paolo Borioni-Michael Braun: Unione europea, cosa cambierebbe con i rosso-verdi?

Unione Europea: cosa cambierebbe con i Rosso-Verdi?, di Paolo Borioni e Michael Braun, il Riformista, 20 Novembre 2011
.pubblicata da Paolo Borioni il giorno domenica 20 novembre 2011 alle ore 18.51.Unione Europea: cosa cambierebbe con i Rosso-Verdi?, di Paolo Borioni e Michael Braun, il Riformista, 20 Novembre 2011



Una decisiva novità delle ultime settimane è il pronunciamento di Helmut Schmidt in favore del suo vecchio allievo Peer Steinbrück, già ministro delle Finanze. Ciò potrebbe significare che la scelta Spd per il cancellierato sia, a meno di sorprese, sostanzialmente compiuta. Steinbrück si è detto favorevole a difendere l’Euro anche a fronte di costi per la Germania, perché questo è nell’interesse dei tedeschi. Da cui il rifiuto di stereotipi anti-mediterranei cui la Merkel si è mostrata prona, nonché il favore per gli Eurobonds e il coordinamento fiscale UE. Steinbrück è anche determinato a combattere la finanza improduttiva dei derivati. Si tratta di scelte che, se confermate, rafforzerebbero l’economia reale, e sarebbero compatibili (come argomentiamo qui sotto) con il cambiamento verso una maggioranza Spd-Verdi. Certo, le gravi polemiche fra ambientalisti e sindaco socialdemocratico di Berlino Wowereit (per 3 km. di autostrada!) suggeriscono che problemi potrebbero sorgere. E non a caso in cima alla Spd si è anche ipotizzata la Grosse Koalizion con una Cdu depurata dalla Merkel. Ma questa ipotesi appartiene più che altro a situazioni di necessità.

Secondo uno studio della Fondazione Ebert, l’alleanza Rosso-Verde non solo raccoglie la più elevata somma percentuale di voti, essa è anche l’unica a riscuotere negli elettori comunque collocati un gradimento addirittura maggiore di questa stessa somma (vedi tabella).

C’è inoltre da tenere conto dei governi dei Länder. Le scelte compiute a questo livello hanno utilizzato ormai tutte le soluzioni possibili fra i partiti affermati (Cdu-Csu, Sdp, Linke, Fdp, Verdi: nonostante il bipolarismo all’anglosassone sia per alcuni un fondamento della civiltà democratica).

Tuttavia, mai Spd e Linke hanno retto un Land occidentale: questo rende improbabile una soluzione socialdemocrazia-verdi-sinistra radicale (peraltro sconfitta in Svezia solo un anno fa). Ciò sebbene sia augurabile qualche intesa con la Linke: sia per ragioni di “emergenza sociale”, sia proprio sdoganare nuove soluzioni coalizionali future. Un aspetto, quest’ultimo, da non trascurare. Infatti, nei Länder i Verdi si sono emancipati dalla dipendenza coalizionale verso la Spd: alleanze verdi-destra si sono avute sia in Saarland, sia (con scarsissimo successo) nella città-Land di Amburgo. La Spd, che una volta poteva scegliere fra la maggiore gamma di alleanze (più o meno) accettabili al proprio elettorato, ha perciò perso questo indubbio vantaggio politico. Ragione in più per indurre (se con i giusti contenuti) i Verdi ad un’alleanza a sinistra. La Spd, dal canto suo, potrebbe ragionevolmente aumentare le probabilità di risposta positiva dei Verdi se per esempio escludesse da subito ogni ritorno alla Grosse Koalition. Ciò, peraltro, non dovrebbe rappresentare un sacrificio, vista la mediocre popolarità del governo attuale, anzi potrebbe servire a dinstinguersi dalla Kanzlerin e dalle sue scelte dedite alla ricerca di una sondaggistica sintonia con l’elettorato (che però non arriva).

L’alleanza rosso-verde appare sospinta anche da ragioni di compatibilità fra insediamento sociale e strategie di lungo periodo. Il successo elettorale dei Verdi appare dovuto ad una credibilità ambientalista di lungo periodo. Se tale credibilità non fosse consolidata, cioè, l’impatto dell’incidente di Fukushima non sarebbe bastato a far balzare il partito ambientalista (nel popolosissimo e ricchissimo Baden-Württemberg) addirittura al 24,3%. Al contrario, la Spd soffre ancora dell’impopolarità accumulata sui temi sociali e salariali (cioè nel proprio specifico campo storico di consenso) ai tempi “nuovisti” del Neue Mitte di Schröder, nei quali sono cresciute quella finanziarizzazione e quella disuguaglianza alla fonte della crisi attuale. Ciò contribuisce fortemente a spiegare perché la Spd (e in genere la sinistra riformista europea) tardi ad approfittare elettoralmente della crisi verticale del neoliberalismo e delle sue ricette. Ma per la socialdemocrazia tedesca in questo vi è anche un’opportunità politica, ancora una volta insita nell’alleanza con i Verdi. Questi vantano ormai un saldo radicamento in ceti progressisti precisi. Secondo l’istituto di ricerca DIW i verdi hanno ormai solida presa (il 34% delle preferenze) su di un ceto medio (e medio-alto) istruito, di solito urbano, di età media. Fra i ceti meno istruiti il consenso ambientalista è solo del 13%.

La Spd, di converso, ha perso voti nei ceti operai e salariati (tra 35 e 44 anni), i giovani (18-24) e le donne. In parte si tratta di voto studentesco tipicamente attratto dalle tematiche ambientali. Ma in gran parte si tratta di ceti legati a “mini-jobs” pochissimo pagati (specie all’Est), nonché di lavoro dipendente che sente crescere la propria povertà relativa. La scarsa crescita della domanda interna tedesca, infatti, si deve, oltre che alla morigeratezza retributiva della grandi aziende, anche (e soprattutto) ad ampie zone di bassissimi salari e diritti.

Tutto ciò implica che una crescita della Spd, causata da una nuova e forte attenzione verso queste tematiche e questi ceti, avverrebbe in parte non eccessiva ai danni del (potenziale) alleato Verde. Un governo di centro-sinistra, cioè, potrebbe benissimo condurre a una redistribuzione di tasse e salari favorevole al lavoro dipendente. Ne deriverebbero grandi vantaggi al consenso socialdemocratico, oltre che alla domanda interna (sia tedesca, sia europea). Si tratterebbe poi di una crescita senza deficit spending: un mutamento del tutto socialista, ma senza violare tutti i parametri del Modell Deutschland. Ed è in questa direzione che la Friedrich Ebert Stiftung e l’Instituto IMK della Böckler Stiftung stanno da tempo premendo sui decisori della socialdemocrazia tedesca ed europea, per fortuna oggi sensibile alla necessità di questa svolta. Il recupero elettorale Spd potrebbe così fondarsi su una “distinzione compatibile” con i Verdi. Esso, inoltre, dissiperebbe i timori che a tratti hanno attanagliato la socialdemocrazia tedesca dinanzi all’ascesa elettorale verde: il dover entrare da partner minore in un governo di centro-sinistra.

La compatibilità fra socialdemocratici e Grünen, peraltro, potrebbe saldarsi attorno a politiche di crescita che, specie in Germania, utilizzano l’innovazione, la produzione, la ricerca in campo energetico (la cosiddetta Solar Welle). A questo proposito molto si può fare per approntare meccanismi d’investimento che spostino risorse dalla finanziarizzazione volatile (che ha risucchiato in parte cospicua il mondo economico tedesco) alla produzione strategica.

Del resto, contrariamente alla vulgata diffusa dal liberalismo elitista, le socialdemocrazie non sono state mai soprattutto il partito del debito pubblico, che come oggi si vede è il risultato ultimo di ben altre dottrine. Piuttosto, storicamente, la socialdemocrazia si è distinta per l’attenzione al ciclo investimento-produzione-salari che (è il caso tedesco, scandinavo, austriaco, olandese, belga) ha inteso la produttività come una politica di programmazione negoziata, multilaterale e multilivello, di lunga prospettiva. Dannoso si è invece rivelato il mix di sgravi fiscali stimolanti per il “genio individuale” delle élites imprenditoriali, e di minori retribuzioni per i lavoratori. Distogliere le banche tedesche dal commercio sui prodotti fittizi della finanza, come si propone Steinbrück, è una premessa di tutto ciò, perché significa ricondurre più risorse all’economia reale e all’investimento di lungo periodo.

Per i molti motivi detti la Spd ha la chiave per indurre la Germania ad utilizzare le proprie migliori potenzialità. Le stesse che possono condurre l’Europa, unita, in avanti, anziché, divisa, all’indietro.





Tabella tratta da F. Decker, V. Best, Lost in the new five-party system?, Friedrich Ebert Stiftung, June 2001.

Coalizione

Fdp-Cdu-Csu (Aprile 2011)

Spd-Verdi

(Aprile 2011)

Cdu-Csu-Verdi

(Aprile 2011)

Cdu-Csu-Spd

(Aprile 2011)

Cdu-Csu-Fdp-Verdi

(Settembre 2009)

Spd-Fdp-Verdi

(Marzo 2010)

Spd-Linke-Verdi

(Marzo 2010)



48/47/102

34/53/64

46/62/74

(29/63/46)

(14/49/29)

20/49/41



Il primo numero indica la percentuale di accettazione o fiducia di ogni coalizione



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