sabato 26 novembre 2011

Francesco Maria Mariotti: Lucrezia Reichlin e la BCE

Il 26 novembre 2011 12:34, Francesco Maria
ha scritto:
> Lucrezia Reichlin spiega molto bene oggi sul Corriere come un intervento più
> forte della BCE a tutela dei titoli dei Paesi in crisi di liquidità sia
> difficile, ma non necessariamente in contraddizione con la missione
> originaria dell'Eurotower: il sentiero è strettissimo, ma va percorso,
> nell'attesa - ma dobbiamo fare in fretta! - che l'Europa si dia una
> costituzione politica ed economica più forte.
> FMM
>
> (...) È lecito chiedersi se questo non sia in contraddizione con il
> principio della politica monetaria unica.La risposta non è semplice. Da un
> lato una banca centrale non deve agire in modo da illudere il mercato che
> non ci sia rischio Paese quando questo c'è: una tale politica ucciderebbe
> ogni incentivo per i governi a mettere in atto il risanamento del bilancio.
> Dall'altro, per perseguire la stabilità dei prezzi in tutti i Paesi, la
> banca centrale deve far sì che il meccanismo di trasmissione dal tasso a
> breve ai tassi effettivi sia omogeneo. Se il fattore rischio riflettesse un
> reale problema di solvibilità per alcuni Stati, la Bce si troverebbe a far
> fronte ad un dilemma. Ma se quest'ultimo fosse distorto in quanto causato da
> un attacco speculativo dei mercati alla cui origine c'è un problema di
> liquidità e non di solvibilità, il da farsi è chiaro. Francoforte deve
> intervenire per adempiere al suo mandato di stabilità dei prezzi, cioè non
> per salvare gli Stati, ma per far funzionare la politica monetaria.
> In pratica è difficile distinguere tra solvibilità e liquidità, ma la posta
> in gioco è troppo alta per poter peccare per il timore di sbagliare. Per
> ragioni di politica monetaria e per adempiere al suo mandato la Bce dovrebbe
> darsi un obbiettivo quantitativo sugli spread e programmare gli interventi
> di acquisto di titoli di Stato e le operazioni di liquidità alle banche
> necessarie per raggiungere questo obbiettivo. L'annuncio di tale obbiettivo
> avrebbe un effetto rassicurante per i mercati e darebbe lo spazio ai nuovi
> governi dell'Europa per mettere in atto le riforme strutturali necessarie a
> navigare verso una rotta più virtuosa nel lungo periodo. Farlo non significa
> rinnegare il mandato, ma, al contrario, perseguirlo.
> Lucrezia Reichlin, La Bce intervenga con più forza sui mercati (Corriere
> della Sera, 26 novembre 2011)
>

14 commenti:

lanfranco ha detto...

poco alla volta ci arrivano tutti. Se pensate che ci sono arrivati
anche alesina e giavazzi!

claudio ha detto...

Sarebbe a dire che bene ha fatto la Bce a lasciare andare a picco la Grecia, dove c'era una crisi di solvibilità, ma adesso deve intervenire su Italia e Spagna e speriamo non anche sulla Francia, perché il mercato si è convinto che la Merkel vuol mandare tutti a fondo, e chi ha dei titoli di stato di quei paesi deve aspettarsi una decurtazione come la Grecia. Invece si tratta di una crisi di liquidità di governi credibili. Sull'elasticità della Merkel adesso e dei tedeschi in genere negli ultimi 100 anni c'è poco da fidarsi però..

Pierpaolo ha detto...

Sapete cosa penso? Che ormai è finita, non c'è più niente da fare.

Ancora l'altro Martedì sostenevo, al Forum per le politiche economiche e finanziarie della federazione milanese di SEL, la necessità di difendere a tutti i costi l'Euro, in quanto la crisi avrebbe forzato i principali paesi europei a premere sull'acceleratore del processo di integrazione europea, ed è solo da Bruxelles e Strasburgo che si possono cambiare le cose e orientare l'Europa verso un nuovo modello di sviluppo difendendo al contempo il nostro modello sociale.

Ma se davvero le classi dirigenti e il governo tedesco ragionano così (vedi articolo del Sole 24 Ore "Il gioco pericoloso della Merkel"), allora mi pare che sia stato messo in moto un meccanismo che, a quasi cent'anni di distanza, ricorda in modo fin troppo sinistro quello delle mobilitazioni generali degli eserciti europei nell'Agosto del 1914.

Fossi al governo, un "piano di contingenza" per la reintroduzione della Lira a partire dal 1° Gennaio del 2012 lo farei... tanto per essere sicuro di avere tutte le variabili sotto controllo.

In ogni caso così come siamo messi il nostro settore manufatturiero è destinato a collassare, come dimostrano dati diffusi solo qualche giorno fa (http://www.corriere.it/economia/11_novembre_23/calo-ordini-industriali_b701cb8c-15ba-11e1-abcc-e3bae570f188.shtml?fr=box_primopiano), e come sa chiunque, per la sua attività professionale, abbia a che fare con il mondo dell'impresa.

Direi che i tempi ormai non sono nemmeno strettissimi. Il tempo è scaduto.

Forse i Maya avevano torto sulla fine del mondo nel 2012, ma di certo il nostro mondo, nel 2013, sarà molto diverso da quello che abbiamo davanti oggi.

PpP

felice ha detto...

Costituzionalizzare le politiche economiche e finanziarie è un errore sequispedalem

claudio ha detto...

ottimo Pecchiari:
"in moto un meccanismo che, a quasi cent'anni di distanza, ricorda in modo fin troppo sinistro quello delle mobilitazioni generali degli eserciti europei nell'Agosto del 1914. "

è un mese che lo ripeto. E l'ottusa ostinazione dei diplomatici e generali di allora che ripetevano che le regole prevedevano una escalation obbligatoria di azioni e reazioni è simile all'ostinazione dei banch'eri di oggi, in , particolare, come allora, di quelli tedeschi.
Lo stato maggiore italiano si fece cogliere dalla guerra con i piani pronti per la guerra alla Francia non all'Austria. Anche stavolta temo che lo stato maggiore di Bankit non abbia i piani per un ritorno alla lira, se non un corteo di deprecazione, cosa in cui la politica e il sindacato italiano sono specialisti.

diego ha detto...

E dire che nemmeno due anni fa la Merkel avrebbe potuto salvare la Grecia per «solo» qualche decina di miliardi di euro. Purtroppo, temo anch’io che sia finita, anche qualora la Merkel si decidesse a socializzare il debito di tutti i paesi dell’eurozona. Oramai siamo entrati nel collimatore di Goldman Sachs, Morgan Stanley, ecc. che speculano sulla fine dell’euro e Merkel, Sarkozy & company mancano della statura intellettuale e della volontà politica per imporsi in una situazione del genere. D’altronde, l’Italia paga quasi l’8 percento di interessi sulle emissioni di Btp che, tenuto conto dell’attuale tasso d’inflazione, è un livello assolutamente insostenibile. E se falliamo noi, falliscono tutti in Europa. La Merkel le venderà a chi le Mercedes e le BMW? A noi, che siamo falliti? Ai cinesi, che sono imbottiti di debito europeo ed americano?



La fine dell’euro non mi fa piangere, visto che questa moneta ha sempre avvantaggiato il capitale rispetto al lavoro. Ovviamente, tornare alla lira avrà dei costi molto elevati, ma non è nemmeno questo il peggio. Il peggio è il macigno che abbiamo messo sopra, e chissà per quanto tempo, al progetto di Europa federale, quella vera, quella che sognavano i giellisti degli anni Trenta e Quaranta.



D.

francesco maria ha detto...

Come aggiunta alla nostra discussione, mi pare importante quanto sottolineo in grassetto dell'editoriale di Bruni sulla Stampa di oggi

Francesco Maria


(...) Per i Paesi dell’area dell’euro, la Bce può effettuare interventi, temporanei ma massicci, diretti soprattutto ad attenuare il disordine arrecato dalla violenza della speculazione. Ad essa devono però subentrare presto meccanismi basati sulla solidarietà fiscale fra i Paesi dell’eurozona. Il coinvolgimento del Fmi, con un’ulteriore rete di protezione, nel caso le altre risultassero insufficienti, può essere prezioso. Volendo scoraggiare la speculazione più miope è bene assicurare la disponibilità di somme anche molto superiori a quanto è ragionevolmente necessario per aiutare un Paese che sta provvedendo a rimediare ai suoi guai. Anche perché l’eccesso di drammatizzazione è una caratteristica di certe fasi delle crisi finanziarie, soprattutto quando le misure di aggiustamento e riforma esitano ad arrivare e incontrano inizialmente ostacoli politico-sociali, prima che, insieme ai loro costi, vengano capiti bene i loro benefici.

Eccesso di drammatizzazione è anche il continuo parlare di fine dell’euro, senza saper bene di che cosa si parla e senza capire che non risolverebbe nulla e danneggerebbe tutti. E’ vero che l’euro è incompleto senza una maggiore integrazione politico-economica dell’area dove circola. Ma essere incompleto non significa essere dannoso: aver adottato l’euro significa aver rinunciato a pasticciare con le monete per affrontare problemi reali, di inefficienza, squilibrio e carenza di competitività. L’euro ha nascosto per qualche tempo questi problemi, ma ora li rende più evidenti proprio perché impedisce di curarli con la droga della moneta. E rendendoli più evidenti ci stimola a curarli con serietà. Infatti l’Europa, nel correggere i guai che hanno condotto alla crisi mondiale, è più impegnata degli Usa, dove l’uso della droga monetaria non trova limiti.

Nel caso italiano è importante non rassegnarci troppo alla drammatizzazione. (...)
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9492

nicolò ha detto...

Io credo che le ricette fin qui proposte non abbiano molto a che vedere con le soluzioni realistiche ai problemi, che spesso non vengono nemmeno riconosciuti: i mercati ieri hanno semplicemente festeggiato per altra droga monetaria, come d'altronde fanno da decenni a partire dal Greenspan Put USA..è quella la ricetta che tutto sommato stiamo riproponendo.

In questo articolo (http://www.linkiesta.it/blogs/le-cosmiconomiche/confusione-eurolandia-parte-ii - non è autopromozione, giuro!, mi pare però che contribuisca sulla linea del tema discusso) cerco di spiegare, citando il direttore del Levy Institute, qual è il problema strutturale, che è il problema di un'economia aperta, dove un deficit di conto corrente (come quello dei GIPS) si riflette sempre in un aumento del debito pubblico o privato.

come mi ha insegnato Carlo D'Ippoliti, l'interpretazione mainstream della crisi dell'euro é che i deficit pubblici nei paesi GIPS generi il loro deficit di bilancia dei pagamenti. l'interpretazione progressista é che il surplus interno nei paesi centrali generi il loro surplus nella bilancia dei pagamenti, che si deve per forza (contabilmente) riflettere nel deficit dei PIIGS.

fino a che non riconosciamo questa problematica, posponiamo semplicemente il problema alla prossima crisi di fiducia (ammesso che usciremo da questa).

pierpaolo ha detto...

Discutibile, anzi, discutibilissimo.

Come osservarono la maggior parte degli economisti al momento della creazione dell'Euro, la tenuta di questa moneta era dubbia già in partenza.

Per non citare sempre gli stessi nomi, e soprattutto economisti che stanno seguendo l'attualità "minuto per minuto", ma ragionare sulle questioni di fondo, stavolta mi piace citare Milton Friedman, che sull'Euro fu sempre scettico per ragioni, appunto, sostanziali.

pierpaolo ha detto...

L' Euro è una moneta che, come stiamo purtroppo verificando, non può reggere rispetto a crisi strutturali per tre ragioni:
1) mancanza di governance e di linee di politica monetaria condivise
2) mancata convergenza tra le economie dei singoli paesi, per cui è impossibile individuare linee di politica monetaria che possano andar bene contemporaneamente per tutta Eurolandia (ironicamente nel 99, quando fu fatta questa intervista, Spagna e Irlanda erano nel pieno del loro effimero boom economico, e i paesi in crisi erano Germania e Francia...)
3) il nostro non è un mercato unico perché manca il presupposto di fondo, ovvero la mobilità dei lavoratori tra i diversi paesi europei; forse giovani qualificati potranno anche andare a cercar fortuna all'estero, ma è difficile che un precario della nostra scuola, o un metalmeccanico che ha perso il proprio posto di lavoro prendano e se ne vadano a cuor leggero a cercar fortuna in Olanda o in Finlandia, per evidenti motivi culturali e linguistici.
E questa, secondo gli economisti sia di destra che di sinistra, è la ragione di fondo. Negli Stati Uniti se chiudono le acciaierie in Pennsylvania i lavoratori se ne vanno in Texas, trovano lavoro e complessivamente i consumi rimangono più o meno inalterati. Da noi no, per cui differenze di produttività non gestite perché siamo in regime di moneta unica si traducono in disoccupazione, diminuzione dei consumi e recessione.

Purtroppo interventi come questo di Friedman - che negli anni sono stati piuttosto frequenti, da parte di economisti affermati e riconosciuti - sono stati del tutto ignorati e non hanno trovato spazio nel nostro dibattito pubblico. Li scopriamo solo ora, dovendo affrontare una crisi strutturale di gravità inaudita, apparentemente con poche idee, ma confuse sul da farsi.

Per quanto riguarda la favoletta della speculazione, mi dispiace che Bruni tenti di presentare la situazione attuale come se fossimo di fronte a una replica dell'attacco a Lira e Sterlina del '93.
Purtroppo le cose non stanno più così - e solo a Radio 24 diversi attori, a vario titolo rappresentativi del mercato finanziario o del mondo bancario lo hanno confermato più volte negli ultimi giorni. Quelli che stanno abbandonando l'area Euro, e stanno determinando gli sconquassi di questi giorni, viste le somme che possono muovere, sono i grandi investitori istituzionali extraeuropei. Che dell'Euro e della sua tenuta non si fidano per nulla, e direi che hanno ragione, viste le incertezze e i tempi di reazione di un establishment politice ed economico-finanziario europeo che pare muoversi solo all'insegna del "troppo poco, troppo tardi".

L'idea di Bruni secondo cui avere una banca centrale che adotta politiche monetarie diverse a seconda della situazione sia "pasticciare con la moneta" è un'idea puerile e liquidabile velocemente. Come spiegano i manuali di economia politica dei primi anni di università, le politiche monetarie servono proprio per affrontare, almeno nel breve periodo, problemi reali di inefficienza, squilibrio e scarsa competitività. Non so cosa insegni Bruni in Bocconi, spero diritto amministrativo: perché se questa è la qualità dei "tecnici" che escono da quell'università stiamo freschi...
Ragion per cui ritengo utile postare nuovamente - devo averlo già fatto mesi fa - anche il link a un articolo di Krugman che, con riferimento alla Spagna, fino a qualche tempo fa il grande malato d'Europa, spiega cosa succede a un paese che abbia problemi di produttività (che sarebbe la vera questione da analizzare, quello di competitività è un concetto al massimo buono per le semplificazioni giornalistiche).

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Link a intervista a Friedman: http://rightwingnews.com/interviews/friedman.php Di Euro si parla verso la fine.
Paul Krugman sul triste destino dei paesi che rinunciano alla politica monetaria http://www.sltrib.com/sltrib/opinion/50770261-82/spain-america-euro-debt.html.csp

paolo ha detto...

L’editoriale di Bruni non mi convince per niente.

Nell’area Euro le diverse velocità fra le diverse economie sono strutturali. La prima differenza, ovvia ma volutamente ignorata, è la posizione geografica, centrale o periferica (Grecia, Irlanda, Portogallo, Mezzogiorno….) Non a caso, le regioni forti sono tutte comprese fra Ravenna e Manchester. I nordici, intelligentemente, hanno fatto scelte diverse.

Altri esempi: dimensione media delle imprese, profili altimetrici del suolo, dotazione di infrastrutture sedimentata nel tempo, barriere geografiche (abbattiamo le Alpi e i Pirenei? colmiamo il canale di San Giorgio?), eccetera…

paolo ha detto...

Ad economie deboli corrisponde minore sviluppo, alta disoccupazione, ricerca di accettabili livelli di vita attraverso sostegni dagli stati. Talvolta (spesso?) questi sostegni hanno preso la forma di “welfare improprio” con erogazioni sbagliate di finanza pubblica, ricorso al debito, e tutto quel che sappiamo. I soloni dell’economia ed i media sono riusciti a farci sentire in colpa per questo: assenteisti, spendaccioni, affetti da politica clientelare, ….. e molti ci credono. Tutti ci indigniamo pensando ai 40.000 forestali calabresi – Stella e Rizzo arrichiscono parlandoci degli uscieri di Palazzo dei Normanni, ma nessuno ci spiega di cosa dovrebbero vivere, se non facessero i forestali o gli uscieri.

La risposta ai bisogni per via di sussidi ed erogazioni è sbagliata – bisogna cancellarla, ma proponendo qualcosa in alternativa: uscirne è uno sforzo che deve essere fatto in comune, usando anche le risorse di chi vive in Baviera o in Lorena, non cercando di “punire” i deboli: l’austerità punitiva porta solo alla situazione della Grecia di oggi.

paolo ha detto...

Le “riforme” (alcune delle riforme) sono spesso impopolari: chi è colpito ne vede i sacrifici, è difficile far percepire i vantaggi a lungo termine. (Però, diciamocelo: anche perché i sacrifici sono per alcuni, i vantaggi per altri. E spesso gli “alcuni” sono le classi popolari, gli “altri” i ceti medio alti. Negli ultimi trent’anni è stato così). Così è comparsa in Italia una curiosa genia di “riformisti contro il popolo” (che, come è noto, “non sa e non capisce”). Credono nella necessità di certe ricette, sanno che l’opinione pubblica non le vuole per niente e pensano di realizzarle comunque, senza metterci il tempo e lo sforzo necessari per ottenere il consenso. Mi ricordo Enrico Letta esprimere esattamente quest’intenzione circa le pensioni ad un seminario a Sesto S. Giovanni. Per riuscirci, si inventano sistemi maggioritari, sbarramenti, uninominali e chi più ne ha…tutto per evitare che i voti dicano quel che la gente pensa. Risultato: astensione alle stelle, disprezzo per tutta la politica, non solo per la politica indegna, ecc. E comunque le “riforme” da vent’anni non le realizzano lo stesso.

paolo ha detto...

L’altro grande grimaldello per farci diventare “virtuosi” è stato, storicamente, il “vincolo esterno”: “bisogna soffrire, perché lo vuole l’Europa….” “lo chiedono i mercati…” E’ la storia dello SME, di Maastricht, dell’entrata nell’euro, il leitmotiv della Banca d’Italia e poi della BCE. Su quest’altare, sono diventati santi personaggi che avrebbero dovuto essere interdetti per incapacità (Amato e Ciampi che difendono la parità nel ’92, ve li ricordate?).



In passato, quando gli squilibri erano intollerabili, una svalutazione competitiva portava il necessario riaggiustamento. Oggi abbiamo, ovviamente, gli stessi squilibri strutturali, ma con un vincolo esterno ferreo: non possiamo svalutare l’euro. “Aver adottato l’euro significa aver rinunciato a pasticciare con le monete per affrontare problemi reali, di inefficienza, squilibrio e carenza di competitività” dice Bruni. Per di più, abbiamo una BCE nelle mani dei monetaristi/deflazionisti.

Con questi fatti, i mercati hanno perfettamente ragione ad accanirsi contro i nostri BTP, altro che “speculazione più miope” caro Bruni. Gli spread di Portogallo ed Irlanda, che hanno imboccato il cammino che chiamate “virtuoso”, continuano ad essere insopportabilmente alti. Evidentemente gli investitori non creono che la vostra ricetta ci tirerà fuori. Non lo credo neanch’io. “L’urgenza di risistemare la macroeconomia di diversi Paesi europei, con l’Italia purtroppo in prima linea, riequilibrando i loro conti pubblici e rilanciandone la competitività e la crescita, è fuori discussione” Riequilibrando i conti pubblici italiani, che già presentano un’avanzo primario non trascurabile? E nel frattempo rilanciandone la crescita, mentre deprimiamo la domanda interna? Spiegatemi come pensate di fare.

Ma, secondo Bruni, un po’ di sofferenza non può che farci bene: rendere i guai “più evidenti ci stimola a curarli con serietà. Infatti l’Europa, nel correggere i guai che hanno condotto alla crisi mondiale, è più impegnata degli Usa, dove l’uso della droga monetaria non trova limiti”. La droga monetaria, capite bene? Questi americani lassisti, peccatori, drogati…. Questo approccio moralista, doverista, savonarioliano ci dovrebbe insegnare a guarire dai mali strutturali.

Sottolineo che anch’io sono convinto che noi PIGS dovremmo darci da fare, ma sul lungo periodo, con una ragionevole attenzione ai riflessi sulla situazione sociale, presentando alternative credibili e ricordando che spianare le Alpi è abbastanza difficile. Del resto, lo sa anche Bruni: “L’urgenza non deve però diventare un’altra manifestazione di quella miopia, di quella disattenzione all’orizzonte lungo, che è alla radice delle cause della crisi mondiale. Gli aggiustamenti devono aver luogo in modi seri, strutturali, graduali, socialmente sopportabili, tali da non contrarre ma aumentare la capacità di crescita dei Paesi che li adottano. ……. tempi di aggiustamento irrealistici”.



Sul breve, dobbiamo tenerci Monti, solo perché qualunque altra strada sarebbe peggiore. La svolta potrà venire dalle elezioni tedesche: forse Steinbruck, nel primo anno di mandato, potrà far capire ai bavaresi che insistendo sulla via di Bruni e della Merkel, faranno saltare l’euro, e perderanno gli straordinari vantaggi che ha portato loro.

Paolo Zinna