sabato 13 agosto 2011

Franco Astengo: Crisi e governo della globalizzazione

CRISI E GOVERNO DELLA GLOBALIZZAZIONE

Gli strumenti attraverso i quali gli Stati stanno cercando di affrontare l’intricata matassa della crisi finanziaria globale che sta interessando, soprattutto, i più importanti mercati dell’Occidente, paiono rivelarsi del tutto inefficaci mettendo a nudo un nuovo elemento sul quale, forse, non abbiamo riflettuto a sufficienza: il deficit di sovranità.

Due editoriali, ieri, affrontavano sia pure lateralmente la questione: Mario Monti sul “Corriere della Sera” (riferendosi specificatamente al “caso Italiano”) scriveva di “Podestà forestiero” e oggi i giornali rincarano la dose scrivendo di “commissariamento” (indicando diversi livelli di quest’operazione, anche con una certa confusione) e Marco d’Eramo sul “Manifesto” scriveva di “nuova superpotenza” alludendo all’agenzia di rating che ha declassato gli USA.

Abbiamo studiato molto, nel corso di questi ultimi anni, la cosiddetta “crisi dello stato-nazione” ponendoci sul piano, appunto, del velocizzarsi del processo definito – appunto - di globalizzazione (che comunque è sempre esistito, da quando lo scambio commerciale si è esteso geograficamente): abbiamo studiato il fenomeno affrontandolo, da destra e da sinistra, senza però riuscire a produrre un piano intermedio praticabile, un livello di transizione, che riuscisse, in una qualche misura, a intrecciare le esigenze di tutti gli attori politici, economici, sociali.

Sicuramente abbiamo individuato come le spinte verso una politica più globale significassero come sempre più le decisioni fossero determinate all’esterno degli Stati; e non soltanto in campo economico, come dimostra la gestione delle punizioni di violazioni nei diritti umani.

E’ cambiato il principio di sovranità. Se la politica internazionale era determinata, fino a qualche decennio fa, soprattutto da accordi multilaterali (ricordate quando c’erano le due “superpotenze”: Salt 1, Salt 2, e via dicendo; in fondo anche l’ONU, che in origine escludeva le nazioni perdenti nella seconda guerra mondiale, era nato a un accordo multilaterale), oggi è evidente come gli artefici della politica internazionale si sono moltiplicati e sono entrati in scena anche attori privati, come appunto le agenzie di rating, le organizzazioni non governative, altre organizzazioni internazionali di vario tipo, che hanno dato vita a una “governance” che costituisce sempre più un sistema multicentrico e multidimensionale.

Nascono in questo contesto i “commissariamenti” e le nuove “superpotenze”, mentre sono assolutamente deperiti gli organismi internazionali rappresentativi delle realtà statuali (l’ONU, in primis) e tutti questi soggetti sono sfuggiti alla logica della politica, per muoversi prioritariamente sul terreno del primato della tecnocrazia (anche la stessa scienza politica non è sfuggita a questa logica).

Emerge davvero, in sostanza, un “deficit democratico”, un’assenza di “luoghi di governo” adeguati al frangente storico: l’Europa “politica” avrebbe potuto rappresentare il fondamentale punto di novità, in questo quadro così difficile e complesso.

La scelta è stata quella di abbandonare questa strada per imporre, dopo Maastricht, l’unione monetaria e promuovendo un allargamento delle presenze statuali in funzione meramente mercatistica: una scelta che ha aperto la strada a un massiccio intervento speculativo verificatosi all’insegna del processo di finanziarizzazione dell’economia.

Lasciamo da parte la specificità della situazione italiana che, in questo contesto, soffre dell’assoluta incredibilità dell’attuale governo nazionale, di una debolezza dell’intero sistema politico, di un ritardo ormai strutturale in campo economico e produttivo, e cerchiamo di approdare al punto centrale: quello della ripresa di un’idea di Europa Politica :anche la sinistra anti-europeista, in funzione di una visione della dimensione di classe di matrice internazionalista dovrebbe cercare di riflettere su questo punto.

Certo: l’Europa è quella delle banche (e qualcuno aggiunge “dei padroni”) e i cosiddetti “commissariamenti” avvengono su un certo tipo di gestione della crisi, quello delle finanze e dei mercati, ma a sinistra dobbiamo ritrovare la dimensione giusta degli obiettivi: l’Europa politica, il ripristino della democrazia a quel livello, potrebbe rappresentare un momento importante di recupero di coesione e di prospettiva.

Savona, li 8 agosto 2011 Franco Astengo



1 commento:

Guido ha detto...

Sono d’accordo con Francesco. Non possiamo continuare a fare come l’asino di Buridano. O crediamo, da socialisti, nella possibilità di una società migliore e come socialisti europeisti crediamo che un passo importante sia la creazione di unità sovranazionali come l’Europa e allora la lotta va fatta lì. Non pensiamo per caso che questi passaggi avvengano al suono dei violini o delle marce reali. Tutte le volte che ci sono stati dei salti di livello nell’integrazione di unità politiche di dimensioni minori ci sono stati attori che hanno portato avanti il lavoro in genere con la violenza, ma con un corrispondente aumento dei diritti individuali. La Polis ha sottomesso le unità famigliari: il regno ellenistico ha sottomesso le città che erano diventate incapaci di azioni progressiste, i regni ssoluti (da cui è nato lo stato moderno, hanno dovuto sottomettere le città e i privilegi di ceto. Se non riusciamo a farlo in modo concorde e razionale, l’Europa sarà sottomessa da qualche entità. E’ una questione di visione e azione o lotta politica GM