mercoledì 23 febbraio 2011

Pier Luigi Camagni: Una nuova sinistra. Se non ora, quando?

Il berlusconismo è alla fine. O meglio lo è Berlusconi, anche se non è detto che il Governo cadrà a breve - anzi, io sono convinto del contrario, acquisto dopo acquisto la maggioranza si va incrementando - o che la scelta della via giudiziaria per farlo cadere - profondamente sbagliata da un punto di vista politico, che non significa avvallare la pretesa di impunità di Berlusconi - possa avere qualche risultato.

Pure, in una situazione politica che parrebbe estremamente favorevole, la sinistra non riesce a rinascere e si avviluppa, da almeno un anno a questa parte, in una controversia “interna” che la allontana dal sentire della gente e dai suoi problemi.

Da una parte vi è il PD - che a mio avviso non ha assolutamente abbandonato il progetto veltroniano di un PD a vocazione, non solo maggioritaria, ma di partito unico della sinistra - che punta esclusivamente sul tema delle alleanze. Meglio, della santa alleanza, da Fini, Casini a Vendola e, magari, a Ferrero, pur di battere Berlusconi. Non chiarisce, però, cosa dovrebbe fare questa maggioranza, così eterogenea, dopo aver mandato a casa Berlusconi.

Quali saranno i temi dell’azione del Governo? Come si concilieranno le posizioni su laicità dello stato e diritti civili? E sul tema del lavoro? Priorità ai lavoratori – e non intendo solo la FIOM – o a Marchionne? Con i precari o chi li vuole precarizzare?

Dall’altra c’è Vendola - l’unica vera novità nel panorama della sinistra italiana, non vedendo io alcuna novità in rottamatori e similia – che però, altrettanto, commette un errore. E l’errore è di puntare tutto, per dar vita a questo processo di scomposizione e ricomposizione che costituisce il grande cantiere della nuova forza della sinistra, al tema della leadership.

Lo ha fatto, tempo fa – e, allora, giustamente per i tempi -, ponendo alla propria candidatura alle primarie per la premiership del centro-sinistra, ma lo ha fatto anche pochi giorni fa con la proposta, infausta – e non per la persona che, assolutamente, stimo, ma per mancanza di visione strategica -, della candidatura di Rosy Bindi.

Il tema della leadership, e della sua personale candidatura, poteva funzionare - anche per far emergere le contraddizioni interne al PD -, se si fosse andati a votare a breve, ma Vendola sa bene che non può reggere la candidatura per due anni, o anche un anno solo.

Soprattutto, occorre che la sinistra, come diceva bene Piero Sansonetti in un intervento dei giorni scorsi, si affranchi dal berlusconismo e «per uscire dal berlusconismo la sinistra -paradossalmente – ha un solo modo: cancellare la sua ossessione anti-Berlusconi e ricominciare a discutere, a progettare e anche a difendere i suoi valori veri, libertari, garantisti e egualitari».

Esattamente l’opposto di quanto fatto fino ad ora, stretta nella morsa della scelta tra alleanze o leadership e, comunque, con l’unico collante dell’antiberlusconismo.

Non più alleanze o leadership, quindi, ma la messa in campo di un progetto.

Del resto, già due anni fa, il professor Lazar, in un’intervista a l’Espresso, indicava, oltre a leadership e alleanze, altri due limiti importanti della sinistra che non riusciva a vincere: la sociologia dell’elettorato – l’incapacità, cioè, di tornare a parlare al proprio blocco sociale di riferimento: ceti popolari, giovani, ecc. – e, soprattutto, l’identità – cioè il progetto che si vuole costruire e a cui si chiamano gli elettori-.

Usava, allora, Lazar un vocabolo spesso usato anche da Nichi Vendola: narrazione; e diceva «che tipo di narrazione fa – la sinistra - se davanti ha una destra che gioca molto sulle emozioni e sui sentimenti? Narrare non significa far sognare, ma scegliere la mobilitazione che si vuole suscitare».

Scomposizione e ricomposizione, quindi, per progetto di “casa comune” ma anche e principalmente di proposta politica che sappia parlare agli operai di Mirafiori e Pomigliano – sia quelli che hanno votato no come quelli che hanno votato sì –, ai giovani precari, al popolo dell’acqua, piuttosto che ai movimenti, a chi non arriva a fine mese e anche ad artigiani, piccoli imprenditori, popolo delle partite IVA e, più in generale, quel ceto medio che si è visto gettato sempre più verso l’impoverimento dalla politica economica di una destra che ha portato l’Italia ad avere il più alto indice di diseguaglianza d’Europa.

Come sintetizzava bene Lazar: «Lavorare, lavorare, lavorare per costruire un'offerta politica credibile e alternativa».

In tutta Europa, dove la sinistra lo sta facendo, i risultati stanno arrivando.



Pier Luigi Camagni

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