La lettera di Napolitano va inclusa nella preannunciata pubblicazione del Rosselli. Sono incerto, se pubblicarla all'inizio del volume od alla fine. Vi trascrivo la mia risposta ad una mail a Claudio belavita del Gruppo di Volpedo: Il decennale della morte di Craxi è diventato una specie di gioco di ruolo e ciascuno recita la sua parte: Ingrao non sfugge. La sinistra, altrimenti non si spiegherebbe come sia ridotta ai minimi termini in Italia, evita ogni occasione per mettersi in discussione. I morti afferrano i vivi e non possono che trascinarci indietro. Il commento ad Ingrao non sarebbe molto diverso di quello che riserverei agli apologeti di Craxi, la cui morte è vissuta come apoteosi, benché mi risulti che Craxi fosse ateo
L'intervento di Napolitano è interessante. Ma non mi pare peraltro così sideralmente più alto e obiettivo rispetto alle cose che ci siamo detti e scritti su questa Mailing List. Anzi, per molti versi, in questa nostra discussione abbiamo sviscerato bene anche aspetti che Napolitano non ha preso nemmeno in esame. Voglio dire insomma che anche senza Napolitano tutta questa nostra discussione non mi pare sia stata inutile, e trovo anzi che sia giunta in definitiva anche a dei risultati. Se non altro abbiamo a lungo ragionato su Craxi e il craxismo, ed abbiamo costruito un quadro corale che mi pare nel complesso condiviso e condivisibile. Al di là degli eccessi polemici (a volte, appunto, davvero eccessivi) e anche al di là di valutazioni diverse su singoli aspetti, abbiamo infatti riflettuto con obiettività su una vicenda importante e controversa, che ha avuto un peso decisivo nella storia di questo Paese e anche nella vita di molti di noi. E abbiamo fatto emergere in modo onesto proprio le luci e le ombre di quella vicenda, il che mi è sembrata un'operazione intellettualmente onesta e dignitosa, e comunque non inutile e non banale. Per questo penso anche che l'idea di raccogliere i contributi più significativi di questo dibattito in un libro a più voci, non sarebbe una cattiva cosa. Lo dico proprio in vista dell'obiettivo che a tutti noi sta a cuore: riflettere su ciò che è stato per trarne degli ammaestramenti per l'avvenire, e anche per capire meglio noi stessi, ossia quel che siamo, e ciò che vogliamo (e ciò che non vogliamo) diventare. Io prenderei insomma la proposta sul serio. Un saluto. Francesco Somaini
Grazie Napolitano ! Sarebbe bello se riuscissimo ritrovarci tutti, noi rosselliani, in queste parole equilibrate e sagge. Spegnendo una polemica retrospettiva che ha spesso accenti autolesionistici, nella migliore (?) tradizione del socialismo italiano ...
Della lettera che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato ieri ad Anna Craxi voglio sottolineare tre passaggi. Il primo riguarda gli apprezzamenti rivolti a Bettino Craxi come leader politico e come presidente del Consiglio, il secondo riguarda l’affermazione sul “brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia” e il terzo concerne il richiamo alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo che ritenne con decisione del 2002 che fosse stato violato il diritto a un processo equo per uno egli aspetti indicati dalla Convenzione europea. Grazie presidente Napolitano, grazie a nome di tutti i socialisti, grazie per avere riconsegnato Craxi alla storia d’Italia segue
Dieci anni fa moriva ad Hammamet, lontano dal suo paese, Bettino Craxi, a poche settimane di distanza da un’operazione chirurgica complicata che l’Italia gli aveva negato di effettuare in patria e che gli era stata praticata in un ospedale militare di Tunisi. Era stato condannato per finanziamento illecito e reati connessi dai tribunali del suo paese, aveva scelto di sottrarsi al carcere e di rifugiarsi in Tunisia, ospite dal presidente Ben Alì, suo amico, e protetto da Jasser Arafat, presidente dell’Olp palestinese. In molti allora appresero la notizia con commozione, ma in pochi, solo un manipolo di reduci socialisti e qualche amico disperso nel panorama dei partiti di allora, lo piansero come leader politico. segue
segue Esplose però subito una contraddizione. Il governo italiano di allora, quello dell’Ulivo, offrì i funerali di Stato, poi respinti dalla famiglia. I funerali di Stato a un latitante? La contraddizione finirà pian piano per esplodere e, sia pure in parte, per essere interpretata, se non risolta. Essa per la verità faceva da contrappeso a una contraddizione di segno opposto che s’era manifestata già agli inizi del 1994. Nel 1994, quando Craxi scelse la Tunisia, Berlusconi vinse le elezioni politiche e si insediò alla guida del Paese. Paese ben strano l’Italia che costringeva, in nome della questione morale e della lotta alla corruzione, Craxi a scegliere tra la casa di Hammamet e il carcere di Regina Coeli, mentre Berlusconi, che di Craxi era stato amico, sostenitore e anche beneficiario, s’insediava, con un consenso popolare superiore a qualsiasi previsione, a Palazzo Chigi. segue
segue Paese strano, l’Italia di allora, col culto del “nuovo che avanza” e con i professionisti della politica da deporre in soffitta. Paese alle prese con una forte distorsione dei giudizi, che la sinistra aveva inopinatamente cavalcato e che aveva finito per favorire Berlusconi. Riuscire ad un tempo ad apparire, infatti, il vecchio che resiste e per di più a far crescere tra una parte di elettorato la paura del comunismo senza che il comunismo ci fosse più, travestito, come apparve, nelle forme del giustizialismo, fu davvero un errore clamoroso della invincibile e gioiosa macchina da guerra occhettiana. Non sfuggirò alla questione giudiziaria, visto che su questa alcuni esponenti politici anche a Reggio hanno costruito una sorta di non possumus, un ostracismo insuperabile, una barriera che dovrebbe dividere per sempre il condannato Craxi dalla dimensione della politica. Mi diffonderò su di essa più oltre. segue
segue In quegli anni non c’era solo Craxi ad Hammamet e non c’erano solo dirigenti socialisti, spesso ingiustamente, sottoposti alla gogna mediatica delle indagini giudiziarie. Il caso più recente di Ottaviano Del Turco, peraltro iscritto al Pd, ma di tradizione socialista, prima coperto di infamanti accuse che paiono oggi improvvisamente ribaltate, grida vendetta. C’era nel 1992-94 un popolo di militanti socialisti per bene in preda alla disperazione. Dalla suggestione dell’onda lunga s’era d’improvviso passati a un’onda oceanica che aveva travolto e distrutto un partito centenario. segue
segue Quel popolo scelse a maggioranza Berlusconi quasi come uno scudo e per evitare che i fratelli separati, e quasi travolti dal crollo del muro, avessero partita vinta in una sorta di gara di ritorno condotta da un arbitro parziale. Per la verità non solo le indagini giudiziarie, ma anche gli errori politici, portarono il Psi alla dissoluzione e su questo mi diffonderò più avanti. Ma non c’è dubbio che l’alta marea non si sviluppava in ogni direzione. Quel clima persecutorio che soprattutto i compagni di base hanno avvertito come un’ostilità immotivata e crudele, è oggi finito. segue
segue E’ questo l’aspetto più confortante e sarebbe assurdo continuare il conflitto come facevano i giapponesi nelle sperdute foreste nipponiche, senza che la guerra ci sia più. Recentemente una persona della quale per correttezza non svelo il nome, mi ha scritto su facebook una bella mail confessando di avermi offeso per strada durante Tangentopoli con un epiteto indegno non solo per un dirigente politico. Era poco più di un ragazzo e ricordavo bene quell’episodio. Adesso mi ha chiesto scusa. Le sue parole mi hanno commosso. Il tempo è galantuomo. E negli ultimi anni tante sono state le ammissioni di colpa per ciò che è stato fatto ai socialisti. Tante sono state le scuse. Tante sono state anche nei confronti di Craxi le revisioni di giudizio. segue
segue Se non ricordo male cominciò D’Alema nell’estate del 1995, credo su suggerimento di Giuliano Amato, ma anche nella convinzione, a volte in politica c’è una nemesi, che l’elettorato socialista che aveva fatto vincere Berlusconi poteva essere recuperato tracciando il percorso del suo ventennale leader con una lente meno deformata. D’Alema riconsiderò la fase craxiana del Psi e ammise l’esistenza, in essa, di anticipazioni politiche e di intuizioni di rilievo. Forse, se anzichè cercare la sinistra democristiana i post comunisti del dopo Muro avessero cercato davvero i socialisti, se avessero esaltato un po’ di più Turati e un po’ meno Dossetti, se avessero dato vita a un partito di natura e denominazione socialista o socialdemocratica non so se avrebbero convinto la maggioranza dell’elettorato dell’ex Psi, ma certo avrebbero reso ancora più immotivata la scelta di stare col centro destra. segue
segue Io stesso, per una fase, dopo essere stato processato senza colpa dal tavolo giacobino dei progressisti nel 1994, con tanto di sanculotti e tricoteuses, dopo aver scelto per un periodo il ritiro dalla vita politica, ho ritenuto che era meglio allearsi con una destra democratica che con una sinistra giustizialista e ostile verso i socialisti. Non mi vergogno di questo e non ritengo di dovere delle scuse a nessuno. Certo ho sempre pensato, anche in quel periodo, che si trattasse di una collocazione anomala, da stato di necessità e che mai un socialista avrebbe potuto collocarsi addirittura in un partito organico di centro destra e in una Europa popolare. segue
segue Sapevo che si trattava di una scelta transitoria e appena lo Sdi è fuoriuscito dalle alleanze tattiche che oscuravano l’identità socialista e ha scelto la Costituente vi ho aderito con entusiasmo, lasciando i comodi scranni parlamentari per un’avventura che si è poi scontrata con il mancato apparentamento elettorale veltroniano. Apparentamento concesso invece a Di Pietro mentre lo si negava ai socialisti, i quali hanno sbattuto il muso nell’insormontabile ostacolo del voto utile. Il tempo è galantuomo. segue
segue Anche quella scelta è oggi criticata da quegli stessi che l’hanno proposta e praticata. E Di Pietro da alleato, dopo aver negato i presupposti stessi dell’alleanza, si è trasformato in una sorta di vampiro del Pd. Gli hanno consentito di avere i denti e adesso può succhiare tranquillamente il loro sangue. Il tempo è galantuomo, ma non per tutti. L’on. Antonio Di Pietro ha detto, a proposito del decennale della scomparsa di Craxi: "Mi auguro che il presidente della Repubblica, se parteciperà a un ricordo su Craxi, lo ricordi per quel che è stato: un corrotto, un condannato, un latitante. Altrimenti non racconterebbe la verità nemmeno lui". segue
segue C’è qualcosa di crudele, lasciamo un attimo fuori la politica, ma c’è qualcosa di crudele nell’atteggiamento dell’ex piemme di Milano passato alla politica. Non c’è un dirigente politico italiano che a fronte della morte di un suo avversario, anche accusato delle peggiori colpe, non metta da parte l’astio e non faccia prevalere un umano sentimento di pietà. Di Pietro no. Recita la sua parte, del Torquemada meneghino, dell’inflessibile, ruvido e impietoso accusatore. Una sorta di Wishinski del tempo moderno che non può svestirsi mai dei suoi panni, pena l’annullamento completo della sua stessa ragione di esistere. segue
segue “C’è sempre un puro più puro che ti epura”, recitava Pietro Nenni. L’alter ego di Di Pietro, De Magistris la spara alta e il girono dopo Di Pietro la spara ancora più alta in un crescendo inquietante di crucifige e di roghi. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, ma chi è senza peccato non scaglierà certo Di Pietro. Esistono in Italia una sinistra riformista e una sinistra massimalista. Difficile trovare un accordo tra le due. Ma quello che a me pare davvero impossibile e perfino controproducente è continuare a far finta che esista un punto di intesa tra la sinistra riformista e i giustizialisti, che secondo me non sono certo di sinistra. segue
segue Cito a tale proposito tre prese di posizione. Scrive Enrico Letta: “Con questa continua rincorsa, Di Pietro e De Magistris portano il centro sinistra nell’abisso e sono i migliori alleati di Berlusconi”, gli fa eco Walter Veltroni: “L’alleanza con l’Idv è finita nel momento in cui Di Pietro non ha mantenuto l’impegno di formare un gruppo unico col Pd in Parlamento”. Più chiaro ancora Massimo D’Alema: “Alle prossime elezioni dovremo fare altre alleanze, perchè la dipietrizzazione del centro sinistra è destinata a sfociare nel minoritarismo”. Sottoscrivo segue
segue D’altro canto non mi convince neppure questa equiparazione di Craxi e di Berlusconi che vien spesso fatta dagli ex socialisti del Pdl. Non diciamo eresie. Craxi era solo, nel momento della disgrazia e della disperazione. Non aveva giornali, televisioni, gruppi economici, né una maggioranza che lo difendeva a spada tratta, né avvocati a tempo pieno. Anzi i poteri forti erano tutti contro di lui. Dietro di sé non aveva né l’amico Putin, né l’amico Bush. L’Msi sfilava davanti alla sede di via del Corso così come il popolo della monetina sfilava ignobilmente davanti al Raphael. E la Lega agitava cappi, mentre Vittorio Feltri col suo Indipendente spronava la magistratura alla caccia del cinghialone. segue
segue Se vogliamo ricordare Craxi lo dobbiamo fare per quel che Craxi è stato. Divido la sua vita politica in quattro fasi. La prima è quella del suo impegno autonomista, come delfino di Pietro Nenni, del quale il 1 gennaio è ricorso il trentesimo anniversario della morte, e poi come segretario del Psi del cosiddetto nuovo corso. Bettino era figlio di Vittorio Craxi, vice prefetto della liberazione di Milano e poi prefetto di Como. segue
segue A 14 anni aveva perfino attaccato i manifesti del Fronte popolare. Ma poichè suo padre, capolista socialista del Fronte, non venne eletto maturò qualche risentimento verso l’arroganza dei comunisti. Il distacco dal Pci avvenne con Nenni dopo lo storico 1956, con le scelte successive al XX congresso del Pcus e all’autunno ungherese. Entrò per la prima volta nel Comitato centrale del Psi col congresso di Venezia del febbraio del 1957, che segnò la fine del patto d’unità d’azione, a seguito della solidarietà dichiarata dai socialisti di Nenni agli insorti di Budapest che contrastava con quella dei comunisti di Togliatti che plaudirono ai carri armati sovietici. Si rintanò nella sua città, fu assessore a Sesto San Giovanni e consigliere e poi assessore a Milano, poi segretario della federazione socialista milanese. segue
segue Nel 1968, col Psu unificato di Nenni e Saragat, che avevano ricominciato a incontrarsi a Pralognan nell’agosto del 1956 e riuscirono a unificarsi solo dieci anni dopo, Craxi divenne deputato. Fu a capo della corrente nenniana con poco più del 10% dei consensi nel partito, fu vice segretario di De Martino e poi dopo le elezioni del 1976, quelle caratterizzate dall’infausto slogan demartiniano, “mai più al governo senza i comunisti”, che, com’era ovvio, contribuì a premiare il Pci e a punire il Psi, partito gregario, al Midas, nel luglio del 1976, venne chiamato alla segreteria del Partito. segue
segue Tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta il Psi, che sembrava un partito archeologico a fronte del continuo allontanamento del Pci berlingueriano dai partiti fratelli, distacco che rischiava di comprimere sempre più lo spazio socialista in Italia, ritornò alla luce con una mole di iniziative politiche e culturali di difficile emulazione. Noi lo seguimmo e personalmente anch’io, che avevo militato nella sua corrente anche quando era minoritaria, mi sentì, come un po’ tutti, entusiasta del nuovo corso socialista a cui a Reggio contribuimmo costruendo una gruppo dirigente giovane, colto e vivace, forse fin troppo, per alcuni. Alcune iniziative hanno lasciato il segno: il confronto su pluralismo e leninismo (con quel saggio che venne ricordato come quello su Proudhon), quello su pluralismo economico e pluralismo politico, il confronto aperto sulla grande riforma istituzionale. segue
segue Siamo alla fine degli anni settanta e si radunano attorno a Craxi alcuni intellettuali di sinistra che provenivano da esperienze diverse. Tra loro c’era anche Paolo Flores D’Arcais che è oggi approdato su ben diversi lidi. Ma c’era Norberto Bobbio su tutti e Giuliano Amato e Federico Coen che dirigeva Mondo Operaio, che da semplice rivista divenne centro culturale e anche libreria in via Tomacelli. E come non dare a Craxi il merito dell’elezione di Sandro Petrini alla presidenza della Repubblica nel luglio del 1978? Aveva puntato su Giolitti, ma alla fine un socialista doveva andare al Quirinale e ci riuscì. E dopo poche ore venne a Reggio a festeggiare con noi all’ex Caserma Zucchi alla festa dell’Avanti. Poi la conferenza di Rimini del 1982 e l’intuizione di Claudio Martelli sull’alleanza tra il merito e il bisogno. segue
segue Il Psi di Craxi in quegli anni riprese il dialogo con le altre forze del socialismo europeo (Craxi venne anche spregiativamente definito “il tedesco” perché troppo vicino a Brandt e a Schmidt, ma volle aiutare concretamente Felipe Gonzales e i socialisti spagnoli, nonchè Mario Soares e quelli portoghesi prima e dopo l’avvento della democrazia e fu con Jiri Pelikan e il dissenso cecoslovacco fino all’elezione di Pelikan al parlamento europeo nelle liste del Psi), elaborò il progetto dell’alternativa socialista approvato dal Congresso di Torino del 1978, tentò di aprirsi un varco negli anni difficili dell’unità nazionale e sul caso Moro si oppose alla tattica della fermezza in nome del principio, che valse poi anche durante l’episodio dell’Achille Lauro, della priorità della difesa della vita umana. segue
La seconda fase è quella della presidenza del Consiglio, che dura dal 1983 al 1987, e me la cavo con poco, ricordando che il governo Craxi (per la verità furono due, ma solo fotocopia l’un dell’altro) fu il più duraturo, fino ad allora, d’ogni altro governo, che contribuì a portare l’inflazione da due a una cifra, che ebbe il coraggio del patto anti inflazione col decreto di San Valentino e vinse il referendum sulla scala mobile, che varò un nuovo Concordato in nome della laicità dello Stato introducendo per la prima volta l’insegnamento della religione come facoltativa, che ebbe il coraggio, dopo aver assentito all’installazione degli euromissili a Comiso, anche di dar l’ordine di circondare i militari americani a Sigonella in nome della dignità nazionale, e di condannare i bombardamenti di Reagan su Tripoli e Bengasi. segue
segue Il Psi arrivò a toccare il suo massimo storico, il 14,3% con le elezioni del 1987. Mi aveva confessato Bettino, mentre da Modena lo accompagnavo a Reggio in campagna elettorale. “Se non ci danno i voti stavolta… Siamo stati anche fortunati, però”. E si riferiva alla congiuntura economica positiva. Sapeva a volte sorprenderti. Se ti aspettavi una risposta te ne dava un’altra. Come quando gli avevo parlato delle bombe fasciste in Italia nel 1974 e lui diceva: “Ma lascia stare il fascismo che è stato una cosa seria. Questi sono terroristi”. E che dire quando s’aprì il confronto sul dopoguerra reggiano e mi lasciò gelato: “Dovete essere prudenti se no ci tireranno fuori anche Pertini”. E poco prima su Ceasescu e sui morti in Romania “Ma che 100mila, saranno stati al massimo qualche centinaia”. Dato poi confermato da Amnesty. segue
segue Sapeva andare contro le mode e le consuetudini, le parole d’ordine scontate, i dogmi e i tabù inviolabili. Tutto questo lo rendeva imprevedibile, originale e a volte anche simpatico. Oltre che intuitivo, coraggioso. Anche se appariva arrogante, chiuso, intrattabile. Recuperò appieno alla storia del socialismo Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, che era in realtà il suo eroe preferito, colui al quale aveva dedicato un vero e proprio museo casalingo. In fondo il suo temperamento temerario e ribelle, quel suo condurre la battaglia a viso aperto anche contro i più forti, era un’ispirazione anche della sua azione politica, un po’ corsara, garibaldina appunto. Così quando ad Hammamet qualcuno gli chiederà di prestare il suo nome per una nuova lista socialista volle rispondere con le parole di Garibaldi al richiamo della Francia per la spedizione dei Vosgi del 1870: “Ce que reste de moi disposez”. segue
segue Intanto s’era aperta una terza fase, quella a mio avviso più critica della vita politica di Craxi. Una fase che non esito a definire quella della stagnazione, prendendo a prestito uno slogan di Gorbaciov sulla storia sovietica. Il Psi era sulla cresta dell’onda dopo l’87, ma non seppe approfittarne. Volle rimanere fermo, quasi immobile nel momento in cui tutto intorno a noi cambiava. L’unico disegno chiaro era quello di puntare al ritorno alla presidenza del Consiglio, dopo Goria, dopo De Mita, magari dopo Andreotti e con il suo appoggio e quello di Forlani. Questo disegno si frantumò con la caduta del Muro e con l’89 europeo e italiano. Nacquero le Leghe e finì il Pci, che divenne Pds e seppe scrollarsi di dosso i calcinacci del muro di Berlino che finirono, solo in Italia, addosso agli altri. segue
segue Il Muro di Berlino cadde in Italia all’incontrario? In qualche misura penso di sì e le forze non comuniste ebbero la grave responsabilità di non accorgersene. Il momento della vittoria storica del socialismo democratico sul comunismo, anche nella sua versione italiana, venne vissuto con paura. Craxi me lo confessò a Bologna durante l’ultimo congresso del Pci, quello del pianto di Occhetto. Lo ascoltavo e non capivo. segue
segue Certo, se l’unico ruolo del Psi era quello di costituire la componente di sinistra democratica nell’alleanza con la Dc, quel ruolo era finito. Ma se i socialisti avevano l’ambizione di guidare una nuova sinistra socialista e democratica offendo un’Arca di Noè, come qualcuno disse, ai profughi del comunismo, quel nuovo ruolo era entusiasmante e decisivo. Si inciampò in questa svolta e si sbandò nella discesa dopo aver scalato con successo il Gran Premio della storia. Craxi propose l’unità socialista relegandola nelle nebbie di un futuro indecifrabile, Occhetto, dal canto suo, propose di andare oltre, oltre il comunismo, oltre il socialismo democratico, e non si fermerà approdando poi in diversi partiti, oltre misura. segue
segue E lì iniziò la nostra disgrazia, assai prima di Tangentopoli. Mi accorsi di questo e per questo dal 1992, ma era tardi e sbagliammo anche noi i tempi, ci mettemmo all’opposizione di Craxi con Martelli e altri. Tangentopoli era già esplosa e forse demmo anche l’impressione di non difendere come avremmo dovuto il nostro leader. Impressione subito corretta col voto dell’aprile del 1993 sulle autorizzazioni a procedere, che confessai ai giornali reggiani e che mi costò assai caro: critiche interne nel mio partito, dove emersero, come capita nei momenti di acuta crisi, anche un po’ di pescecani e addirittura feroci accuse fuori. segue
segue Su Tangentopoli, e siamo alla quarta e ultima fase di Craxi, azzardo solo alcune domande. Vorrei che rispondeste voi, le mie sono forse anche un po’ retoriche. Prima domanda. D’accordo, accedo all’idea che non si è trattato di un complotto, ma possiamo almeno oggi parlare di sproporzione? Craxi stava per essere condannato, tra sentenze passate così velocemente in giudicato e quelle in corso d’opera, praticamente all’ergastolo, considerata la sua età. L’ergastolo è una pena giusta per chi si macchia di finanziamento illecito alla politica con reati connessi? segue
segue Seconda domanda. D’accordo, posso anche ammettere che non tutti i partiti erano uguali. Certo è più facile spartirsi tangenti dal governo nazionale o locale che non dall’opposizione. Ma vi sembra giusto condannare un leader politico, spesso col solo assioma o teorema, com’è stato definito, del “non poteva non sapere?”. segue
segue Terza domanda. D’accordo, quel siamo tutti correi non può fare piacere a un vecchio militante socialista che si è sempre vantato d’essere un galantuomo, né è un’attenuante per chi ne è soggetto, ma perché nessuno rispose a quel discorso di Craxi alla Camera in cui egli invitava gli altri ad alzarsi per dire di giurare di non essersi mai macchiati di finanziamento irregolare perché presto a tardi sarebbero stati ritenuti spergiuri, e ha partorito solo quell’imbarazzante silenzio dell’Aula, che ben ricordo: l’ imbarazzante silenzio ipocrisia, il silenzio verità. segue
segue Prendiamo anche atto di quel che scrisse D’Ambrosio secondo il quale i soldi li Craxi li prendeva per la politica e non per sè. Infine. D’accordo, occorre rispettare sempre le sentenze della magistratura. Ma perché non ci fu concesso di costituire una commissione di indagine parlamentare su Tangentopoli, in un paese in cui le commissioni si costituiscono anche su fatti di ben minore rilevo e conseguenze? Ad una domanda di Francesco Cossiga che era andato a trovare Craxi ad Hammamet poco prima della sua scomparsa, quest’ultimo, a proposito dell’utilizzazione dei finanziamenti del Psi, rispose: “Io non posso mischiare le mie vicende giudiziarie con grandi cause di libertà e di liberazione”». segue
avendo seguito con molto interesse questa discussione, come membro non del circolo (abito a piombino), ma della mailing list, vorrei dire poche cose anch'io. ho 41 anni e nel 1989, prima del crollo del muro, mi sono iscritto al psi. provengo da una famiglia che ha sempre votato pci, con un nonno che è stato iscritto al pci dal 1945 ed anch'io, il primo voto, l'ho dato al pci. mi sono avvicinato al psi leggendo un testo di filosofia del liceo approfondendo il pensiero socialdemocratico. quindi, prima sono diventato "intelletualmente" socialdemocratico e solo dopo, gurdando cosa faceva craxi, le sue "spallate" alla dc ed al pci, mi sono iscritto al psi. ecco, ho citato questa mia storia personale perchè nella valutazione di craxi da fare oggi, 10 anni dopo la sua morte, non si può non inserire nel contesto in cui operava. io ho molto apprezzato la discusione sulla mailing, ogni contributo è stato importante e sicuramente più completo del mio perchè fatto da compagni che quella storia l'hanno vissuta personalmente, craxi l'hanno conosciuto. e credo che la via migliore sia quella di riflettere, senza agiografie e senza demonizzazioni, sulla storia politica ed umana di craxi, evidenziandone le famose luci ed ombre. ma al netto ognuno consegna qualcosa alla storia. e quel netto, per craxi, credo sia il tentativo, fatto in quel contesto, commetendo quindi anche quegli errori che, comunque li si giudichi, lo hanno portato a morire lontano dal suo paese travolto dalle condanne e dall'indignazione popolare, quel qualcosa dicevo credo sia il tentativo di costruire in italia uno spazio politico per una sinistra socialista non comunista, ancorata alle socialdemocrazie europee (dalle quali il psi demartiniano era ai margini), che interpretasse un'italia che stava profondamente cambiando in un mondo anch'eso in rapida evoluzione. una sinistra quindi che alla fine del riequilibrio a sinistra, ridotto l'impresentabile fardello comunista a percentuali accettabili, sarebbe stata alternativa alla dc. questo ha rappresentato più e meglio di nenni o di lombardi, perchè, con strumenti sicuramente discutibili (anche se utilizzati da tutti..), aveva dato al psi quella autonomia finanziaria che è la base per poter avere una autonomia politica. senza craxi il psi probabilmente sarebbe stato risucchiato da un pci che ancora negli anni 80 parlava di fuoriuscita dal capitalismo e "quel netto" di cui parlavo prima non ci sarebbe mai stato. vi ringrazio e vi saluto. stefano ferrini
Io mi incazzavo con mio papà perchè mi raccontava quanto era bravo Craxi a destreggiarsi col PCI e la DC. Ma alla fine cosa ci rimase di socialista? la soddisfazione di gestire (male) il potere, come tu dici:
"Per favore, metti i piedi per terra, e lascia stare i voli pindarici dei socialisti rivoluzionari. Quelli finirono tutti a lavorare la gleba, mentre Stalin e Lenin, molto più pratici, gestivano (male) il potere"
Di socialista c'era ben poco (dopo i processi subiti, innocente, mio padre strappò la tessera, perchè le mazzette correvano, altro chè se correvano !!!)
Inorridisco ancora al pensiero del Raphael, ma Craxi fu corresponsabile del clima di corruttela del periodo, e direttamente responsabile della sistematica decostruzione del socialismo italiano (andatevi a rileggere mondopoeraio e vediamo quanti articoli sottoscriveremmo ancora).
Alla fine hanno maggiore riapetto di Craxi i non craxiani, come la Gagliardi e Franco Monaco o anche Ida Dominijanni di quelli che lo vogliono nel bene precursore di Berlusconi. Comunque basta, ne abbiamo parlato troppo e con la testa rivolta all'indietro, mentre nell'iconografia classica socialista il sol dell'avvenire sta in fronte. Ha natura consolatoria parlare di 14%, ma io mi acconteterei anche del 9,6% dell'ultima segreteria De Martino, mentre abbiamo raggiunto a stento l'1% nel 2008 e ora sarebbe meno. Occupiamoci di impedire la prossima scomparsa persino della trestimonianza socialista con grave danno della sinistra italiana nel suo complesso. I socialisti come singoli son capaci di salvarsi: si riciclano
38 commenti:
La lettera di Napolitano va inclusa nella preannunciata pubblicazione del
Rosselli. Sono incerto, se pubblicarla all'inizio del volume od alla fine.
Vi trascrivo la mia risposta ad una mail a Claudio belavita del Gruppo di
Volpedo:
Il decennale della morte di Craxi è diventato una specie di gioco di ruolo e
ciascuno recita la sua parte: Ingrao non sfugge. La sinistra, altrimenti non
si spiegherebbe come sia ridotta ai minimi termini in Italia, evita ogni
occasione per mettersi in discussione. I morti afferrano i vivi e non
possono che trascinarci indietro. Il commento ad Ingrao non sarebbe molto
diverso di quello che riserverei agli apologeti di Craxi, la cui morte è
vissuta come apoteosi, benché mi risulti che Craxi fosse ateo
L'intervento di Napolitano è interessante. Ma non mi pare peraltro così
sideralmente più alto e obiettivo rispetto alle cose che ci siamo detti
e scritti su questa Mailing List.
Anzi, per molti versi, in questa nostra discussione abbiamo
sviscerato bene anche aspetti che Napolitano non ha preso nemmeno in
esame.
Voglio dire insomma che anche senza Napolitano tutta questa nostra
discussione non mi pare sia stata inutile, e trovo anzi che sia giunta
in definitiva anche a dei risultati.
Se non altro abbiamo a lungo ragionato su Craxi e il craxismo, ed
abbiamo costruito un quadro corale che mi pare nel complesso condiviso
e condivisibile.
Al di là degli eccessi polemici (a volte, appunto, davvero eccessivi)
e anche al di là di valutazioni diverse su singoli aspetti, abbiamo
infatti riflettuto con obiettività su una vicenda importante e
controversa, che ha avuto un peso decisivo nella storia di questo Paese
e anche nella vita di molti di noi. E abbiamo fatto emergere in modo
onesto proprio le luci e le ombre di quella vicenda, il che mi è
sembrata un'operazione intellettualmente onesta e dignitosa, e comunque
non inutile e non banale.
Per questo penso anche che l'idea di raccogliere i contributi più
significativi di questo dibattito in un libro a più voci, non sarebbe
una cattiva cosa.
Lo dico proprio in vista dell'obiettivo che a tutti noi sta a cuore:
riflettere su ciò che è stato per trarne degli ammaestramenti per
l'avvenire, e anche per capire meglio noi stessi, ossia quel che siamo,
e ciò che vogliamo (e ciò che non vogliamo) diventare. Io prenderei
insomma la proposta sul serio.
Un saluto.
Francesco Somaini
Grazie Napolitano !
Sarebbe bello se riuscissimo ritrovarci tutti, noi rosselliani, in queste
parole equilibrate e sagge.
Spegnendo una polemica retrospettiva che ha spesso accenti autolesionistici,
nella migliore (?) tradizione del socialismo italiano ...
Luciano
Craxi dieci anni dopo
Della lettera che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato ieri ad Anna Craxi voglio sottolineare tre passaggi. Il primo riguarda gli apprezzamenti rivolti a Bettino Craxi come leader politico e come presidente del Consiglio, il secondo riguarda l’affermazione sul “brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia” e il terzo concerne il richiamo alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo che ritenne con decisione del 2002 che fosse stato violato il diritto a un processo equo per uno egli aspetti indicati dalla Convenzione europea. Grazie presidente Napolitano, grazie a nome di tutti i socialisti, grazie per avere riconsegnato Craxi alla storia d’Italia
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Dieci anni fa moriva ad Hammamet, lontano dal suo paese, Bettino Craxi, a poche settimane di distanza da un’operazione chirurgica complicata che l’Italia gli aveva negato di effettuare in patria e che gli era stata praticata in un ospedale militare di Tunisi. Era stato condannato per finanziamento illecito e reati connessi dai tribunali del suo paese, aveva scelto di sottrarsi al carcere e di rifugiarsi in Tunisia, ospite dal presidente Ben Alì, suo amico, e protetto da Jasser Arafat, presidente dell’Olp palestinese. In molti allora appresero la notizia con commozione, ma in pochi, solo un manipolo di reduci socialisti e qualche amico disperso nel panorama dei partiti di allora, lo piansero come leader politico.
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Esplose però subito una contraddizione. Il governo italiano di allora, quello dell’Ulivo, offrì i funerali di Stato, poi respinti dalla famiglia. I funerali di Stato a un latitante? La contraddizione finirà pian piano per esplodere e, sia pure in parte, per essere interpretata, se non risolta. Essa per la verità faceva da contrappeso a una contraddizione di segno opposto che s’era manifestata già agli inizi del 1994. Nel 1994, quando Craxi scelse la Tunisia, Berlusconi vinse le elezioni politiche e si insediò alla guida del Paese. Paese ben strano l’Italia che costringeva, in nome della questione morale e della lotta alla corruzione, Craxi a scegliere tra la casa di Hammamet e il carcere di Regina Coeli, mentre Berlusconi, che di Craxi era stato amico, sostenitore e anche beneficiario, s’insediava, con un consenso popolare superiore a qualsiasi previsione, a Palazzo Chigi.
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Paese strano, l’Italia di allora, col culto del “nuovo che avanza” e con i professionisti della politica da deporre in soffitta. Paese alle prese con una forte distorsione dei giudizi, che la sinistra aveva inopinatamente cavalcato e che aveva finito per favorire Berlusconi. Riuscire ad un tempo ad apparire, infatti, il vecchio che resiste e per di più a far crescere tra una parte di elettorato la paura del comunismo senza che il comunismo ci fosse più, travestito, come apparve, nelle forme del giustizialismo, fu davvero un errore clamoroso della invincibile e gioiosa macchina da guerra occhettiana. Non sfuggirò alla questione giudiziaria, visto che su questa alcuni esponenti politici anche a Reggio hanno costruito una sorta di non possumus, un ostracismo insuperabile, una barriera che dovrebbe dividere per sempre il condannato Craxi dalla dimensione della politica. Mi diffonderò su di essa più oltre.
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In quegli anni non c’era solo Craxi ad Hammamet e non c’erano solo dirigenti socialisti, spesso ingiustamente, sottoposti alla gogna mediatica delle indagini giudiziarie. Il caso più recente di Ottaviano Del Turco, peraltro iscritto al Pd, ma di tradizione socialista, prima coperto di infamanti accuse che paiono oggi improvvisamente ribaltate, grida vendetta. C’era nel 1992-94 un popolo di militanti socialisti per bene in preda alla disperazione. Dalla suggestione dell’onda lunga s’era d’improvviso passati a un’onda oceanica che aveva travolto e distrutto un partito centenario.
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Quel popolo scelse a maggioranza Berlusconi quasi come uno scudo e per evitare che i fratelli separati, e quasi travolti dal crollo del muro, avessero partita vinta in una sorta di gara di ritorno condotta da un arbitro parziale. Per la verità non solo le indagini giudiziarie, ma anche gli errori politici, portarono il Psi alla dissoluzione e su questo mi diffonderò più avanti. Ma non c’è dubbio che l’alta marea non si sviluppava in ogni direzione. Quel clima persecutorio che soprattutto i compagni di base hanno avvertito come un’ostilità immotivata e crudele, è oggi finito.
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E’ questo l’aspetto più confortante e sarebbe assurdo continuare il conflitto come facevano i giapponesi nelle sperdute foreste nipponiche, senza che la guerra ci sia più. Recentemente una persona della quale per correttezza non svelo il nome, mi ha scritto su facebook una bella mail confessando di avermi offeso per strada durante Tangentopoli con un epiteto indegno non solo per un dirigente politico. Era poco più di un ragazzo e ricordavo bene quell’episodio. Adesso mi ha chiesto scusa. Le sue parole mi hanno commosso. Il tempo è galantuomo. E negli ultimi anni tante sono state le ammissioni di colpa per ciò che è stato fatto ai socialisti. Tante sono state le scuse. Tante sono state anche nei confronti di Craxi le revisioni di giudizio.
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Se non ricordo male cominciò D’Alema nell’estate del 1995, credo su suggerimento di Giuliano Amato, ma anche nella convinzione, a volte in politica c’è una nemesi, che l’elettorato socialista che aveva fatto vincere Berlusconi poteva essere recuperato tracciando il percorso del suo ventennale leader con una lente meno deformata. D’Alema riconsiderò la fase craxiana del Psi e ammise l’esistenza, in essa, di anticipazioni politiche e di intuizioni di rilievo.
Forse, se anzichè cercare la sinistra democristiana i post comunisti del dopo Muro avessero cercato davvero i socialisti, se avessero esaltato un po’ di più Turati e un po’ meno Dossetti, se avessero dato vita a un partito di natura e denominazione socialista o socialdemocratica non so se avrebbero convinto la maggioranza dell’elettorato dell’ex Psi, ma certo avrebbero reso ancora più immotivata la scelta di stare col centro destra.
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Io stesso, per una fase, dopo essere stato processato senza colpa dal tavolo giacobino dei progressisti nel 1994, con tanto di sanculotti e tricoteuses, dopo aver scelto per un periodo il ritiro dalla vita politica, ho ritenuto che era meglio allearsi con una destra democratica che con una sinistra giustizialista e ostile verso i socialisti. Non mi vergogno di questo e non ritengo di dovere delle scuse a nessuno. Certo ho sempre pensato, anche in quel periodo, che si trattasse di una collocazione anomala, da stato di necessità e che mai un socialista avrebbe potuto collocarsi addirittura in un partito organico di centro destra e in una Europa popolare.
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Sapevo che si trattava di una scelta transitoria e appena lo Sdi è fuoriuscito dalle alleanze tattiche che oscuravano l’identità socialista e ha scelto la Costituente vi ho aderito con entusiasmo, lasciando i comodi scranni parlamentari per un’avventura che si è poi scontrata con il mancato apparentamento elettorale veltroniano. Apparentamento concesso invece a Di Pietro mentre lo si negava ai socialisti, i quali hanno sbattuto il muso nell’insormontabile ostacolo del voto utile. Il tempo è galantuomo.
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Anche quella scelta è oggi criticata da quegli stessi che l’hanno proposta e praticata. E Di Pietro da alleato, dopo aver negato i presupposti stessi dell’alleanza, si è trasformato in una sorta di vampiro del Pd. Gli hanno consentito di avere i denti e adesso può succhiare tranquillamente il loro sangue.
Il tempo è galantuomo, ma non per tutti. L’on. Antonio Di Pietro ha detto, a proposito del decennale della scomparsa di Craxi: "Mi auguro che il presidente della Repubblica, se parteciperà a un ricordo su Craxi, lo ricordi per quel che è stato: un corrotto, un condannato, un latitante. Altrimenti non racconterebbe la verità nemmeno lui".
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C’è qualcosa di crudele, lasciamo un attimo fuori la politica, ma c’è qualcosa di crudele nell’atteggiamento dell’ex piemme di Milano passato alla politica. Non c’è un dirigente politico italiano che a fronte della morte di un suo avversario, anche accusato delle peggiori colpe, non metta da parte l’astio e non faccia prevalere un umano sentimento di pietà. Di Pietro no. Recita la sua parte, del Torquemada meneghino, dell’inflessibile, ruvido e impietoso accusatore. Una sorta di Wishinski del tempo moderno che non può svestirsi mai dei suoi panni, pena l’annullamento completo della sua stessa ragione di esistere.
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“C’è sempre un puro più puro che ti epura”, recitava Pietro Nenni. L’alter ego di Di Pietro, De Magistris la spara alta e il girono dopo Di Pietro la spara ancora più alta in un crescendo inquietante di crucifige e di roghi. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, ma chi è senza peccato non scaglierà certo Di Pietro.
Esistono in Italia una sinistra riformista e una sinistra massimalista. Difficile trovare un accordo tra le due. Ma quello che a me pare davvero impossibile e perfino controproducente è continuare a far finta che esista un punto di intesa tra la sinistra riformista e i giustizialisti, che secondo me non sono certo di sinistra.
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Cito a tale proposito tre prese di posizione. Scrive Enrico Letta: “Con questa continua rincorsa, Di Pietro e De Magistris portano il centro sinistra nell’abisso e sono i migliori alleati di Berlusconi”, gli fa eco Walter Veltroni: “L’alleanza con l’Idv è finita nel momento in cui Di Pietro non ha mantenuto l’impegno di formare un gruppo unico col Pd in Parlamento”. Più chiaro ancora Massimo D’Alema: “Alle prossime elezioni dovremo fare altre alleanze, perchè la dipietrizzazione del centro sinistra è destinata a sfociare nel minoritarismo”. Sottoscrivo
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D’altro canto non mi convince neppure questa equiparazione di Craxi e di Berlusconi che vien spesso fatta dagli ex socialisti del Pdl. Non diciamo eresie. Craxi era solo, nel momento della disgrazia e della disperazione. Non aveva giornali, televisioni, gruppi economici, né una maggioranza che lo difendeva a spada tratta, né avvocati a tempo pieno. Anzi i poteri forti erano tutti contro di lui. Dietro di sé non aveva né l’amico Putin, né l’amico Bush. L’Msi sfilava davanti alla sede di via del Corso così come il popolo della monetina sfilava ignobilmente davanti al Raphael. E la Lega agitava cappi, mentre Vittorio Feltri col suo Indipendente spronava la magistratura alla caccia del cinghialone.
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Se vogliamo ricordare Craxi lo dobbiamo fare per quel che Craxi è stato.
Divido la sua vita politica in quattro fasi. La prima è quella del suo impegno autonomista, come delfino di Pietro Nenni, del quale il 1 gennaio è ricorso il trentesimo anniversario della morte, e poi come segretario del Psi del cosiddetto nuovo corso. Bettino era figlio di Vittorio Craxi, vice prefetto della liberazione di Milano e poi prefetto di Como.
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A 14 anni aveva perfino attaccato i manifesti del Fronte popolare. Ma poichè suo padre, capolista socialista del Fronte, non venne eletto maturò qualche risentimento verso l’arroganza dei comunisti. Il distacco dal Pci avvenne con Nenni dopo lo storico 1956, con le scelte successive al XX congresso del Pcus e all’autunno ungherese. Entrò per la prima volta nel Comitato centrale del Psi col congresso di Venezia del febbraio del 1957, che segnò la fine del patto d’unità d’azione, a seguito della solidarietà dichiarata dai socialisti di Nenni agli insorti di Budapest che contrastava con quella dei comunisti di Togliatti che plaudirono ai carri armati sovietici. Si rintanò nella sua città, fu assessore a Sesto San Giovanni e consigliere e poi assessore a Milano, poi segretario della federazione socialista milanese.
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Nel 1968, col Psu unificato di Nenni e Saragat, che avevano ricominciato a incontrarsi a Pralognan nell’agosto del 1956 e riuscirono a unificarsi solo dieci anni dopo, Craxi divenne deputato. Fu a capo della corrente nenniana con poco più del 10% dei consensi nel partito, fu vice segretario di De Martino e poi dopo le elezioni del 1976, quelle caratterizzate dall’infausto slogan demartiniano, “mai più al governo senza i comunisti”, che, com’era ovvio, contribuì a premiare il Pci e a punire il Psi, partito gregario, al Midas, nel luglio del 1976, venne chiamato alla segreteria del Partito.
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Tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta il Psi, che sembrava un partito archeologico a fronte del continuo allontanamento del Pci berlingueriano dai partiti fratelli, distacco che rischiava di comprimere sempre più lo spazio socialista in Italia, ritornò alla luce con una mole di iniziative politiche e culturali di difficile emulazione. Noi lo seguimmo e personalmente anch’io, che avevo militato nella sua corrente anche quando era minoritaria, mi sentì, come un po’ tutti, entusiasta del nuovo corso socialista a cui a Reggio contribuimmo costruendo una gruppo dirigente giovane, colto e vivace, forse fin troppo, per alcuni. Alcune iniziative hanno lasciato il segno: il confronto su pluralismo e leninismo (con quel saggio che venne ricordato come quello su Proudhon), quello su pluralismo economico e pluralismo politico, il confronto aperto sulla grande riforma istituzionale.
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Siamo alla fine degli anni settanta e si radunano attorno a Craxi alcuni intellettuali di sinistra che provenivano da esperienze diverse. Tra loro c’era anche Paolo Flores D’Arcais che è oggi approdato su ben diversi lidi. Ma c’era Norberto Bobbio su tutti e Giuliano Amato e Federico Coen che dirigeva Mondo Operaio, che da semplice rivista divenne centro culturale e anche libreria in via Tomacelli. E come non dare a Craxi il merito dell’elezione di Sandro Petrini alla presidenza della Repubblica nel luglio del 1978? Aveva puntato su Giolitti, ma alla fine un socialista doveva andare al Quirinale e ci riuscì. E dopo poche ore venne a Reggio a festeggiare con noi all’ex Caserma Zucchi alla festa dell’Avanti. Poi la conferenza di Rimini del 1982 e l’intuizione di Claudio Martelli sull’alleanza tra il merito e il bisogno.
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Il Psi di Craxi in quegli anni riprese il dialogo con le altre forze del socialismo europeo (Craxi venne anche spregiativamente definito “il tedesco” perché troppo vicino a Brandt e a Schmidt, ma volle aiutare concretamente Felipe Gonzales e i socialisti spagnoli, nonchè Mario Soares e quelli portoghesi prima e dopo l’avvento della democrazia e fu con Jiri Pelikan e il dissenso cecoslovacco fino all’elezione di Pelikan al parlamento europeo nelle liste del Psi), elaborò il progetto dell’alternativa socialista approvato dal Congresso di Torino del 1978, tentò di aprirsi un varco negli anni difficili dell’unità nazionale e sul caso Moro si oppose alla tattica della fermezza in nome del principio, che valse poi anche durante l’episodio dell’Achille Lauro, della priorità della difesa della vita umana.
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La seconda fase è quella della presidenza del Consiglio, che dura dal 1983 al 1987, e me la cavo con poco, ricordando che il governo Craxi (per la verità furono due, ma solo fotocopia l’un dell’altro) fu il più duraturo, fino ad allora, d’ogni altro governo, che contribuì a portare l’inflazione da due a una cifra, che ebbe il coraggio del patto anti inflazione col decreto di San Valentino e vinse il referendum sulla scala mobile, che varò un nuovo Concordato in nome della laicità dello Stato introducendo per la prima volta l’insegnamento della religione come facoltativa, che ebbe il coraggio, dopo aver assentito all’installazione degli euromissili a Comiso, anche di dar l’ordine di circondare i militari americani a Sigonella in nome della dignità nazionale, e di condannare i bombardamenti di Reagan su Tripoli e Bengasi.
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Il Psi arrivò a toccare il suo massimo storico, il 14,3% con le elezioni del 1987. Mi aveva confessato Bettino, mentre da Modena lo accompagnavo a Reggio in campagna elettorale. “Se non ci danno i voti stavolta… Siamo stati anche fortunati, però”. E si riferiva alla congiuntura economica positiva. Sapeva a volte sorprenderti. Se ti aspettavi una risposta te ne dava un’altra. Come quando gli avevo parlato delle bombe fasciste in Italia nel 1974 e lui diceva: “Ma lascia stare il fascismo che è stato una cosa seria. Questi sono terroristi”. E che dire quando s’aprì il confronto sul dopoguerra reggiano e mi lasciò gelato: “Dovete essere prudenti se no ci tireranno fuori anche Pertini”. E poco prima su Ceasescu e sui morti in Romania “Ma che 100mila, saranno stati al massimo qualche centinaia”. Dato poi confermato da Amnesty.
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Sapeva andare contro le mode e le consuetudini, le parole d’ordine scontate, i dogmi e i tabù inviolabili. Tutto questo lo rendeva imprevedibile, originale e a volte anche simpatico. Oltre che intuitivo, coraggioso. Anche se appariva arrogante, chiuso, intrattabile. Recuperò appieno alla storia del socialismo Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, che era in realtà il suo eroe preferito, colui al quale aveva dedicato un vero e proprio museo casalingo. In fondo il suo temperamento temerario e ribelle, quel suo condurre la battaglia a viso aperto anche contro i più forti, era un’ispirazione anche della sua azione politica, un po’ corsara, garibaldina appunto. Così quando ad Hammamet qualcuno gli chiederà di prestare il suo nome per una nuova lista socialista volle rispondere con le parole di Garibaldi al richiamo della Francia per la spedizione dei Vosgi del 1870: “Ce que reste de moi disposez”.
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Intanto s’era aperta una terza fase, quella a mio avviso più critica della vita politica di Craxi. Una fase che non esito a definire quella della stagnazione, prendendo a prestito uno slogan di Gorbaciov sulla storia sovietica. Il Psi era sulla cresta dell’onda dopo l’87, ma non seppe approfittarne. Volle rimanere fermo, quasi immobile nel momento in cui tutto intorno a noi cambiava. L’unico disegno chiaro era quello di puntare al ritorno alla presidenza del Consiglio, dopo Goria, dopo De Mita, magari dopo Andreotti e con il suo appoggio e quello di Forlani. Questo disegno si frantumò con la caduta del Muro e con l’89 europeo e italiano. Nacquero le Leghe e finì il Pci, che divenne Pds e seppe scrollarsi di dosso i calcinacci del muro di Berlino che finirono, solo in Italia, addosso agli altri.
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Il Muro di Berlino cadde in Italia all’incontrario? In qualche misura penso di sì e le forze non comuniste ebbero la grave responsabilità di non accorgersene. Il momento della vittoria storica del socialismo democratico sul comunismo, anche nella sua versione italiana, venne vissuto con paura. Craxi me lo confessò a Bologna durante l’ultimo congresso del Pci, quello del pianto di Occhetto. Lo ascoltavo e non capivo.
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Certo, se l’unico ruolo del Psi era quello di costituire la componente di sinistra democratica nell’alleanza con la Dc, quel ruolo era finito. Ma se i socialisti avevano l’ambizione di guidare una nuova sinistra socialista e democratica offendo un’Arca di Noè, come qualcuno disse, ai profughi del comunismo, quel nuovo ruolo era entusiasmante e decisivo. Si inciampò in questa svolta e si sbandò nella discesa dopo aver scalato con successo il Gran Premio della storia. Craxi propose l’unità socialista relegandola nelle nebbie di un futuro indecifrabile, Occhetto, dal canto suo, propose di andare oltre, oltre il comunismo, oltre il socialismo democratico, e non si fermerà approdando poi in diversi partiti, oltre misura.
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E lì iniziò la nostra disgrazia, assai prima di Tangentopoli. Mi accorsi di questo e per questo dal 1992, ma era tardi e sbagliammo anche noi i tempi, ci mettemmo all’opposizione di Craxi con Martelli e altri. Tangentopoli era già esplosa e forse demmo anche l’impressione di non difendere come avremmo dovuto il nostro leader. Impressione subito corretta col voto dell’aprile del 1993 sulle autorizzazioni a procedere, che confessai ai giornali reggiani e che mi costò assai caro: critiche interne nel mio partito, dove emersero, come capita nei momenti di acuta crisi, anche un po’ di pescecani e addirittura feroci accuse fuori.
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Su Tangentopoli, e siamo alla quarta e ultima fase di Craxi, azzardo solo alcune domande. Vorrei che rispondeste voi, le mie sono forse anche un po’ retoriche. Prima domanda. D’accordo, accedo all’idea che non si è trattato di un complotto, ma possiamo almeno oggi parlare di sproporzione? Craxi stava per essere condannato, tra sentenze passate così velocemente in giudicato e quelle in corso d’opera, praticamente all’ergastolo, considerata la sua età. L’ergastolo è una pena giusta per chi si macchia di finanziamento illecito alla politica con reati connessi?
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Seconda domanda. D’accordo, posso anche ammettere che non tutti i partiti erano uguali. Certo è più facile spartirsi tangenti dal governo nazionale o locale che non dall’opposizione. Ma vi sembra giusto condannare un leader politico, spesso col solo assioma o teorema, com’è stato definito, del “non poteva non sapere?”.
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Terza domanda. D’accordo, quel siamo tutti correi non può fare piacere a un vecchio militante socialista che si è sempre vantato d’essere un galantuomo, né è un’attenuante per chi ne è soggetto, ma perché nessuno rispose a quel discorso di Craxi alla Camera in cui egli invitava gli altri ad alzarsi per dire di giurare di non essersi mai macchiati di finanziamento irregolare perché presto a tardi sarebbero stati ritenuti spergiuri, e ha partorito solo quell’imbarazzante silenzio dell’Aula, che ben ricordo: l’ imbarazzante silenzio ipocrisia, il silenzio verità.
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Prendiamo anche atto di quel che scrisse D’Ambrosio secondo il quale i soldi li Craxi li prendeva per la politica e non per sè. Infine. D’accordo, occorre rispettare sempre le sentenze della magistratura. Ma perché non ci fu concesso di costituire una commissione di indagine parlamentare su Tangentopoli, in un paese in cui le commissioni si costituiscono anche su fatti di ben minore rilevo e conseguenze?
Ad una domanda di Francesco Cossiga che era andato a trovare Craxi ad Hammamet poco prima della sua scomparsa, quest’ultimo, a proposito dell’utilizzazione dei finanziamenti del Psi, rispose: “Io non posso mischiare le mie vicende giudiziarie con grandi cause di libertà e di liberazione”».
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avendo seguito con molto interesse questa discussione, come membro non del circolo (abito a piombino), ma della mailing list, vorrei dire poche cose anch'io.
ho 41 anni e nel 1989, prima del crollo del muro, mi sono iscritto al psi. provengo da una famiglia che ha sempre votato pci, con un nonno che è stato iscritto al pci dal 1945 ed anch'io, il primo voto, l'ho dato al pci.
mi sono avvicinato al psi leggendo un testo di filosofia del liceo approfondendo il pensiero socialdemocratico. quindi, prima sono diventato "intelletualmente" socialdemocratico e solo dopo, gurdando cosa faceva craxi, le sue "spallate" alla dc ed al pci, mi sono iscritto al psi.
ecco, ho citato questa mia storia personale perchè nella valutazione di craxi da fare oggi, 10 anni dopo la sua morte, non si può non inserire nel contesto in cui operava.
io ho molto apprezzato la discusione sulla mailing, ogni contributo è stato importante e sicuramente più completo del mio perchè fatto da compagni che quella storia l'hanno vissuta personalmente, craxi l'hanno conosciuto. e credo che la via migliore sia quella di riflettere, senza agiografie e senza demonizzazioni, sulla storia politica ed umana di craxi, evidenziandone le famose luci ed ombre. ma al netto ognuno consegna qualcosa alla storia. e quel netto, per craxi, credo sia il tentativo, fatto in quel contesto, commetendo quindi anche quegli errori che, comunque li si giudichi, lo hanno portato a morire lontano dal suo paese travolto dalle condanne e dall'indignazione popolare, quel qualcosa dicevo credo sia il tentativo di costruire in italia uno spazio politico per una sinistra socialista non comunista, ancorata alle socialdemocrazie europee (dalle quali il psi demartiniano era ai margini), che interpretasse un'italia che stava profondamente cambiando in un mondo anch'eso in rapida evoluzione. una sinistra quindi che alla fine del riequilibrio a sinistra, ridotto l'impresentabile fardello comunista a percentuali accettabili, sarebbe stata alternativa alla dc.
questo ha rappresentato più e meglio di nenni o di lombardi, perchè, con strumenti sicuramente discutibili (anche se utilizzati da tutti..), aveva dato al psi quella autonomia finanziaria che è la base per poter avere una autonomia politica.
senza craxi il psi probabilmente sarebbe stato risucchiato da un pci che ancora negli anni 80 parlava di fuoriuscita dal capitalismo e "quel netto" di cui parlavo prima non ci sarebbe mai stato.
vi ringrazio e vi saluto.
stefano ferrini
Io mi incazzavo con mio papà perchè mi raccontava quanto era bravo Craxi a destreggiarsi col PCI e la DC. Ma alla fine cosa ci rimase di socialista? la soddisfazione di
gestire (male) il potere, come tu dici:
"Per favore, metti i piedi per terra, e lascia stare i voli pindarici dei socialisti rivoluzionari. Quelli finirono tutti a lavorare la gleba, mentre Stalin e Lenin, molto più pratici, gestivano (male) il potere"
Di socialista c'era ben poco (dopo i processi subiti, innocente, mio padre strappò la tessera, perchè le mazzette correvano, altro chè se correvano !!!)
Inorridisco ancora al pensiero del Raphael, ma Craxi fu corresponsabile del clima di corruttela del periodo, e direttamente responsabile della sistematica decostruzione del socialismo italiano (andatevi a rileggere mondopoeraio e vediamo quanti articoli sottoscriveremmo ancora).
Giuliano
Basta con Craxi !!!
Alla fine hanno maggiore riapetto di Craxi i non craxiani, come la Gagliardi e
Franco Monaco o anche Ida Dominijanni di quelli che lo vogliono nel bene
precursore di Berlusconi. Comunque basta, ne abbiamo parlato troppo e con la
testa rivolta all'indietro, mentre nell'iconografia classica socialista il sol
dell'avvenire sta in fronte. Ha natura consolatoria parlare di 14%, ma io mi
acconteterei anche del 9,6% dell'ultima segreteria De Martino, mentre abbiamo
raggiunto a stento l'1% nel 2008 e ora sarebbe meno. Occupiamoci di impedire la
prossima scomparsa persino della trestimonianza socialista con grave danno
della sinistra italiana nel suo complesso. I socialisti come singoli son capaci
di salvarsi: si riciclano
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