venerdì 24 aprile 2009

segnalazione: 7 maggio Roma, New economy e socialismo

CONVEGNO SUL TEMA

"Vivere la recessione? Idee e proposte"
Lorenzo Romano presenterà il libro: "New Economy & Socialismo"
Edizioni Associate novembre 2008
alle ore 17.00 di giovedì 7 maggio 2009 presso la sede del Circolo di Via Andrea Doria, 79
Interverranno: Antonio Landolfi, Vincenzo Russo, Pier Luigi Sorti, Lanfranco Turci, Carlo Vallauri.
Coordina: Salvatore Rondello.

Un libro “New Economy & Socialismo” di Lorenzo Romano (Edizioni Associate 2008) propone di rivedere l'assetto delle politiche attuate dal Governo e impiantare nuovi modelli economici in grado di contrastare gli effetti nefasti della globalizzazione, senza ricorrere a politiche protezionistiche. Nel libro è ampiamente descritto come sia importante costruire il miglior Welfare possibile, ma senza ostacolare il liberal-capitalismo, necessario al continuo sviluppo di una società che vuole continuare nel suo progredire verso migliori condizioni, tutto questo in un innovativo ed interessate modello di politica economica comprendente un assetto statale in grado di garantire occupazione a tutti i cittadini, pur concedendo la massima liberalizzazione alle attività economiche private.
Il libro infine dispone di tre appendici nelle quali vengono esaminate anche le possibilità di realizzare - una sorgente energetica rinnovabile ed illimitata, - di individuare un assetto microeconomico col quale governare un'Azienda di Stato, infine una proposta per un nuovo metodo di prelievo fiscale orientato alla riduzione delle tasse.


Introduzione al libro "New Economy & Socialismo"
L'ambizioso progetto descritto nel libro "New Economy & Socialismo" avvierebbe una profonda trasformazione del settore produttivo nazionale che porterebbe numerosi vantaggi alla popolazione.
Le attività previste sono semplici ma difficili da comprendere perché sono impostate sul cambiamento d'epoca che si sta vivendo ("globalizzazione", informatica/telematica di 5a e 6a generazione, automazione industriale, "real time", micro tecnologie, ecc.) nella quale le teorie d'economia e di politica economica correnti sembrerebbero mostrarsi piuttosto inadeguate, superate dagli eventi tecnologici e dall'ampliamento dei confini commerciali posti a livello mondiale e oramai trasformatisi in un unico "mercato chiuso"!
Per chiarire questi aspetti il libro presenta tre chiavi di lettura:
· dal punto di vista sociologico: per interpretare i problemi connessi alle scarse possibilità di lavoro ed alle prospettive future con particolare riferimento alle prossime generazioni;
· dal punto di vista tecnologico: per mostrare il cambiamento d’epoca dovuto alle nuove tecnologie (terza industrializzazione – tecnologia dell’informazione) pervasive e trainanti tutti i mercati economici e finanziari, nonché gli ambienti artistici e culturali in generale;
· dal punto di vista dell’economia politica per chiarire il forte impatto sulle aziende rese “virtuali” grazie ai processi decisionali “real time” e alla delocalizzazione delle fabbriche.
E’ necessaria una interpretazione combinata delle suddette chiavi per comprendere quali sono in realtà i problemi che attanagliano le economie occidentali e quale sarà il futuro di una popolazione vessata da problemi legati all’andamento di una immaginaria congiuntura quando, invece, si dovrebbero adottare nuovi modelli di politica economica più confacenti alla realtà del III Millennio!
Poco più di quattro anni fa, l'analisi di taluni indicatori econometrici già mostravano l’approssimarsi di una crisi economica involvente l’intero mondo occidentale ma era cosa difficile da credere in quanto gli scambi finanziari nazionali, europei ed extra europei mostravano saldi giornalieri in euro ben oltre le 8 cifre. Da altre parti e dai quotidiani, però, si osservava la continua e lenta disgregazione del sistema produttivo nazionale iniziata negli anni ’70 quando le industrie motoristiche ed elettroniche giapponesi provocarono il fallimento di molte grandi marche europee. Ai giorni nostri si legge che anche grandi aziende statunitensi quali la Ford, Crysler e perfino la più che solidissima IBM hanno estromesso molte maestranze pur con blandi tentativi di riconversione. Addirittura il presidente USA neo eletto ha dichiarato che nel suo Paese in quest’ultimo anno sono andati persi oltre un milione di posti di lavoro!
Contemporaneamente la Cina compie passi da gigante nel mondo industriale con un particolare vantaggio nelle esportazioni al punto tale da raggiungere un notevole PIL la cui crescita è valutata intorno al 10% annuo.
Perché accade tutto questo?
Nel libro vengono analizzati alcuni fattori generatori della crisi economica occidentale dimostrandone l’ineluttabilità in quanto è proprio l’avvento della terza industrializzazione – cioè l’utilizzo massiccio delle tecnologie informatiche – che ha prodotto il risveglio di giganti quali la Cina ma anche di Paesi orientali molto più piccoli quali Twain, Vietnam, ecc. Quindi, non è più il solo Giappone a competere con le industrie europee e statunitensi ma tutto il mondo orientale, compreso l’India e un domani anche la ricchissima Africa!
All’Europa, area relativamente scarsa di risorse energetiche e minerali, rimane ben poco spazio per sopravvivere nel modello che ha portato nel tempo a ineccepibili primati culturali, specie se si continuerà ad adottare politiche economiche vetuste e risalenti a 2 (diconsi due) secoli fa!
Molti economisti attribuiscono questa sostanziale debacle industriale ed economica all’essere trascinati dalla finanza USA la quale sta subendo i medesimi nefasti influssi geopolitici finanziari creati anch’essi dall’adozione di una imprevidente “economia politica”, favorita da una “politica economica” improntata al liberismo assoluto che alla fine è sfociata in attività controproducenti sia verso il mercato interno, sia verso l’intero mondo economico occidentale (erroneamente ciò si attribuisce alla “crisi dei mutui e dei derivati finanziari” che, invece, come detto sono il risultato delle politiche adottate!).
L’unico modo per uscire da tale incresciosa situazione coinvolgente gran parte del ceto medio e di tutte le famiglie a scarso sostentamento è quello di adottare nuovi modelli strutturali finalizzati a ricostruire una società in grado di ristabilire buone condizioni di vita per tutti ma senza limitare il liberismo economico finora attuato il quale, comunque, tanto vantaggio ha portato alla società occidentale specie se la si confronta col passato e col presente del resto del mondo!

Si arriva così a prospettare una struttura sociale e politica che mette insieme capitalismo liberista e socialismo (quest’ultimo inteso politicamente deprivato delle componenti marxiane ma inteso coerente con le proposte di Henri de Saint Simon, Robert Owell per finire alle ultime tesi di Norberto Bobbio) la quale garantirebbe il cercato buon livello di vita per tutti, nell’ottica di una separazione netta tra Aziende pubbliche autonome aventi l’onere di garantire il Welfare e di sostenere l’occupazione e Aziende private gestite con criteri liberisti ancora più spinti al fine di garantire a queste aziende la massima possibilità di concorrere col mondo produttivo orientale, oggi cosa impossibile.
Nel titolo “New Economy & Socialismo” il simbolo “&” illustra efficacemente l’associazione tra questi due modelli economici da sempre in lizza tra loro: solo oggi e grazie proprio alla terza industrializzazione è possibile attuare detta trasformazione che si risolve nella parola: “sinergia”. Infatti, laddove le Aziende private, ad esempio, non risolvono il problema dell’occupazione, sarà compito dello Stato investire capitali per attrezzare strutture produttive in grado di assorbire l’eccesso di disoccupazione, di autofinanziarsi e di rendersi competitive almeno sull mercato interno. Basta coi prepensionamenti o con altri tipi di “ammortizzatori sociali”!
I vantaggi ottenibili dall’adozione di questo modello di politica economica sono molti, ad esempio l'eventuale capitale estero investito in Italia sulle Aziende pubbliche e/o private troverebbe enormi vantaggi derivanti dall'utilizzo di personale e d'infrastrutture d'ottima qualità, senza peraltro incappare nei soliti limiti dovuti all'elevato livello di tassazione e/o ai pesanti vincoli sindacali (sarebbero favorite le assunzioni/licenziamenti e ristrutturazioni in piena libertà ma nei limiti di alcune leggi per la salvaguardia dell'integrità fisica e legale delle maestranze).
La flessibilità del posto di lavoro e la stabilità sindacale conseguenti a tale impostazione nonché alla forte riduzione dei costi di produzione, sarebbe un fortissimo motivo d'attrazione per gli investitori esteri che rimane uno dei principali obiettivi.
Così facendo l'Italia potrebbe diventare il "motore" del sistema UE
Il problema dell'occupazione si risolverebbe a livello locale attraverso un adeguato numero delle suddette Aziende finanziate dallo Stato. Esse dovrebbero versare allo Stato solo una minima parte dell'utile ed impiegherebbero il resto per la rigenerazione dei loro processi produttivi.
Le Aziende di Stato, oltre a risolvere il problema dell'occupazione, produrranno i cosiddetti "beni primari" destinati in prevalenza al mercato interno, ad un prezzo congruo e dovranno mantenersi attive e con un bilancio adeguato. La gestione interna dovrà essere effettuata con una specie di "bonus"/malus", in altre parole premiando i lavoratori più solerti e viceversa anche licenziando!
Tutto l'apparato statale dovrà essere sostenuto da imposizioni fiscali solo su tutte le persone fisiche con qualche variante per i residenti esteri, preferibilmente con una tariffa quasi unica e dai già detti introiti delle Aziende di Stato.
L'adozione del sistema testé sintetizzato, oltre a consentire la concorrenza pressoché paritetica tra le Aziende pubbliche e private (superando l'atavico conflitto tra statalismo e capitalismo), produrrebbe molti altri vantaggi nei settori di competenza pubblica quali la ricerca scientifica, le infrastrutture logistiche, ecc. Tutto questo grazie all'aumento dei possibili finanziamenti provenienti dall'estero invogliati, come detto, dalle nuove ed eccezionali condizioni di stabilità politica ed economica.
E' importante sottolineare che tale sistema, ricreando le condizioni di tranquillità economica delle famiglie e la possibilità d'occupazione tempo pieno, rigenererebbe quei circuiti commerciali ora interrotti a causa della forte diminuzione del potere d'acquisto che si è avuta in questi ultimi anni. In realtà, i commercianti si troverebbero ad operare con un'offerta più numerosa ma a prezzi calmierati. Dal punto di vista del loro bilancio, aumenterebbe la quantità dei beni scambiati con vantaggi per tutti.
Una nota simpatica: il sistema proposto consentirebbe ai giovani lavoratori desiderosi di "bruciare le tappe" e di guadagnare molto facendosi assumere da un'Azienda privata alle suddette condizioni. Chi, invece, vorrà vivere una vita d'impegno ordinario, troverà lavoro presso un'Azienda di Stato.
Tutto il progetto potrebbe sembrare utopico o non realizzabile proprio perché si discosta molto dalla politica economica convenzionale ma è solo un problema apparente e, ovviamente, limitato alle convinzioni che si hanno in merito alle Aziende di Stato di "...vecchio stampo".
Tuttavia l'attuazione di questo progetto è un'attività delicata che prevede una serie progressiva di fasi diversificate tra loro e scaglionate in tempi opportuni secondo un piano ben preciso.
Inoltre, è già stato predisposto un efficace e flessibile sistema informatico "real time" per il successivo controllo generale dell'andamento dei conti delle nuove Aziende di Stato. L'utilizzo del medesimo è necessario al fine prevenire qualsiasi deviazione dal progetto base, fugando in questo modo gli eventuali dubbi residui sulle possibilità reali di realizzare il progetto medesimo.
Lorenzo Romano

2 commenti:

claudio bellavita ha detto...

mah...sarò molto interessante leggere cosa Turci ci dirà di questo convegno.
Per conto mio, e non è una battuta, un'azienda pubblica dove si lavora con serenità la ho già trovata: gli enti locali, dopo la riforma Bassanini, che ha tolto il potere ai politici e lo ha trasferito ai dirigenti, senza le cui "determine" un assessore può solo leggere il giornale. Così i comuni si sono riempiti di dirigenti, che impiegano la maggior parte del tempo a elaborare regolamenti, applicando i quali per le loro determine hanno sempre il sedere al riparo. Peccato che in genere , quando dopo 2 anni han fatto un regolamento, in genere è già superato dalla realtà sociale in cui si dovrebbe operare, e che, per l'appunto, sarebbe compito del politico eletto interpretare.
Aveta mai provato a entrare in un comune piccolo, dove trovate uno strabilante numero di dipendenti in rapporta alla popolazione, e si respira un clima di pace come quello dei conventi nell'alto Medioevo, mentre fuori infuriavano guerre, pestilenze e carestie... .

rolo7 ha detto...

Per Claudio Bellavita:

Scusami Claudio ma non sono d'accordo! In oltre 40 anni ho lavorato in Aziende multinazionali, piccole Imprese private e Pubbliche di grandi dimensioni. Nelle peggiori il MCD è sempre stato l'impossibilità dei dirigenti a prendere "decisioni" proprio perché caratterizzati dalla mancanza di un loro potere forte, competente e decisionista, responsabilizzato al punto di rimetterci di tasca propria se le cose andavano male. Tutto questo, però, è valido solo nel settore privato e non nello Stato dove le cariche, invece, proprio perché elettive spesso sono caratterizzate dalla profonda incompetenza della materia oggetto della propria "Azienda" e dall'impossibilità d'imporre una "personale" politica perché talvolta troppo dipendenti dai partiti. Allora è necessario dotare le suggerite Aziende di Stato della strumentazione tipica in uso nelle Aziende private e - finalmente - licenziare gli incompetenti!

Ciò è quanto proposto e discusso in "New Economy & Socialismo".

Saluti.
Lorenzo Romano
(rolo7@tiscali.it)

PS vi sono Enti nei quali le firme sulle "determine" sono collegiali, ovvero "tutti responsabili o nessuno". E' ovvio che tali documenti divengono assolutamente innocui dal punto di vista dell'assunzione di responsabilità!