Da Aprile
Palach era uno di noi
Ma.Bo., 12 gennaio 2009, 17:30
Memoria Alcuni ex leader del movimento studentesco italiano si recheranno a Praga per ricordare il ventenne cecoslovacco che 40 anni fa si diede fuoco in segno di protesta contro l'invasione russa. Allora l'agitazione giovanile italiana non comprese la forza di quel gesto
Uno di loro. Purtroppo, però, non adeguatamente riconosciuto all'epoca del suo eroico gesto. Quell'atto di immolarsi, bruciandosi vivo, così intenso, così radicale, così semplicemente giovanile, è stato fin da subito uno scuotimento delle coscienze singole dei tanti studenti italiani impegnati nella rivolta, ma non seppe prodursi, questo stesso scuotimento, in consapevolezza politica più generale. Perciò, a distanza di quarant'anni, alcuni esponenti del movimento che infuocò l'università statale di Milano hanno scelto di recarsi oggi a Praga, per celebrare l'anniversario della Primavera e in particolare il ventenne cecoslovacco Jan Palach, che il 16 gennaio del 1969 si diede fuoco per protestare contro l'invasione dell'Armata Rossa, risposta repressiva al "socialismo dal volto umano" predicato dal segretario del Partito comunista ceco, Alexander Dubcek, nella speranza di riformare quello reale che spirava, come vento di oppressione, dalla vicina Russia.
Saranno dunque in piazza Venceslao per dare il giusto riconoscimento ad un gesto politico che allora non seppero cogliere in tutta la sua forza. Mario Capanna, Nando Dalla Chiesa, Mario Martucci e Giovanni Cominelli sono alcuni fra gli ex militanti del '68 italiano che faranno parte della delegazione che volerà a Praga, la quale oltre a commemorare Palach con una cerimonia ufficiale, incontrerà anche una rappresentanza di Charta 77, il movimento guida della lotta contro il regime cecoslovacco che aveva come protagonista Vaclac Havel. Un' iniziativa nata da un messaggio veicolato da Facebook che rappresenta un saldo verso il debito contratto da chi lottava per la libertà in Italia ma non seppe, almeno integralmente, capire quanto quella stessa lotta, ad Est, fosse compagna e vicina.
"Una sottovalutazione" che impedì al movimento studentesco nostrano di fare "quanto si poteva e doveva", ammette Capanna, che però di questa miopia passata ha anche chiara la motivazione. "Eravamo impegnati a capire le novità che noi stessi stavamo producendo con le nostre stesse mani", dice, ricordando come inoltre allora "stava maturando una posizione per la quale a Est c'era un capitalismo di Stato quindi l'invasione sovietica era maledettamente coerente con la politica imperiale degli Usa". Troppi gli eventi di quegli anni caldi, troppa l'attività di quella stagione perché i giovani studenti italiani potessero volgere lo sguardo anche ad Oriente, come pure in parte fecero nel cercare un riferimento ideale alla loro lotta, scavando e attualizzando le esperienze del Novecento che sconvolsero la Russia e con essa l'intero mondo.
Ma la miopia verso Praga e verso Palach, specifica Martucci, non fu totale. Secondo l'ex capo della propaganda, infatti, l'atto del giovane cecoslovacco comunque scosse gli animi dei giovani studenti milanesi e non, ma fu incapace di tradursi in messaggio politico di bandiera, in monito generale. "Ci fu un immediato momento di consapevolezza", afferma, "ma non riuscimmo a sintetizzarla dal punto di vista politico", perché inoltre "ci fu il tentativo, da parte di forze conservatrici o addirittura fasciste, di mettere il cappello su quel gesto". Il movimento della Statale era ancora "un ibrido" che si muoveva "sulla scorta del rifiuto del capitalismo e dell'imperialismo americano", sostiene Martucci, così da privilegiare un solo nemico politico, quello a stelle a strisce, portando alla distrazione verso quanto accadeva ad Est. Verso cui, fa eco Cominelli, ex capo della cultura, "c'era una certa sufficienza", perché se esisteva "un forte interesse per le lotte di liberazione", meno attenzione si rivolgeva "per quelle della libertà".
Dunque a Praga per fare oggi ciò che allora non si fece. "Ma non con la coda tra le gambe" bensì "con dignità e fiducia nel futuro", dice Capanna, che pure nell'immediato dell'invasione russa tentò, inutilmente, di varcare i confini cecoslovacchi per solidarizzare con la rivolta. Un modo, secondo Cominelli, per offrire "una testimonianza personale, di riparazione e di risarcimento per l'atteggiamento di distrazione complessivo del '68 italiano".
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