martedì 27 gennaio 2009

vittorio melandri: arbitraria rassegna stampa

27 gennaio 2009



Chi ricorda l’olocausto, chi nega l’olocausto……. e chi cerca anche di guardare dove si può ancora annidare il germe che l’ha fatto a suo tempo germogliare, per estirparlo prima che “ri-fiorisca”.



Consapevoli che i “tabù”, anche quelli solo lessicali, sono spesso la prima causa di morte del senno, l’unico antidoto di cui come specie disponiamo contro il peggiore dei nostri nemici: “l’uomo”!



Buona (si fa per dire) lettura, vittorio









Chi ricorda e chi nega l’olocausto



la Repubblica martedì, 27 gennaio 2009




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Il Giorno della Memoria verrà quest'anno celebrato in comunione ecclesiale con il vescovo Williamson, successore degli Apostoli (!), negatore della Shoah e sostenitore della verità dei Protocolli dei Savi di Sion.

Marco Morselli morselli5714@yahoo.it



Da credente, ritengo che il Papa abbia sbagliato a riammettere nella Chiesa il vescovo Richard Williamson. Il suo pensiero negazionista sull'Olocausto è contrario alla verità e alla giustizia. Sono deluso dalla scelta del Santo Padre, ma non confuso. Ho memoria di ebrei senza vita, prosciugati dalla fame prima che dal gas.

Massimo Marnetto massimo.marnetto@gmail.com



Ho letto sull'Unità un intervento di Bruno Gravagnuolo, che parafraso: in questa Italia di destra che rifiuta l'antifascismo, si fa drammatico il"rischio di una memoria liofilizzata e cordiale" mentre servirebbe per riconoscere le vittime di ieri come "nostre", esplicitare una lotta contro l'omologazione cordiale delle memorie, le convenienze politiche che stemperano il tragico in diplomazia dei sentimenti.

Vittorio Melandri vimeland@alice.it



Corrado Augias



Ritengo che anche questa progressiva e sempre più accentuata 'cordialità' della memoria abbia indotto il papa tedesco a sottovalutare la vergogna e il rischio di riammettere il vescovo negazionista Richard Williamson nel seno della sua Chiesa. Le 'giornate della Memoria', che ogni anno vengono celebrate, non sono sufficienti a ravvivare il ricordo di quella tragedia, voglio dire a restituire davvero al ricordo la crudezza, l'atrocità di quanto avvenne. Doverose che siano, queste Giornate ufficializzano l'Olocausto e per conseguenza inevitabilmente lo consegnano alla ritualità e all'abitudine. D'altra parte non celebrare il massimo crimine del XX secolo e uno dei massimi nella storia umana, sarebbe peggio e in poco tempo ai negazionisti come il vescovo Williamson si aggiungerebbero coloro che di quei fatti non avrebbero nemmeno sentito parlare. Al punto in cui siamo, sessanta e più anni dopo la fine della tragedia, questo è il cuore del dilemma. Proprio a questo infatti David Bidussa (Storico delle idee) ha dedicato il suo "Dopo l'ultimo testimone" appena uscito per Einaudi. Nell'esaminare il fenomeno, Bidussa ricorda in primis come il genocidio ebraico "Abbia avuto tempi lunghi prima di rendersi autonomo e 'visibile' nella coscienza pubblica". Io stesso ricordo di essere stato per anni il solo a raccontare della Shoah, di cui ero a conoscenza per ragioni familiari, nell'incredulità dei miei compagni adolescenti. Scrive Bidussa che quando l'ultimo testimone diretto dell'orrore sarà morto, il problema si riproporrà e sarà allora necessario superare i riti consolatori per potersi affidare ai più solidi strumenti della storia. Potrebbe non bastare, come dimostra tra gli altri il vescovo ora riabilitato dalla chiesa di Roma.





Il concilio cancellato la Repubblica martedì, 27 gennaio 2009



di ADRIANO PROSPERI


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Domenica scorsa ricorrevano cinquant´anni esatti dall´annuncio del futuro concilio dato da papa Roncalli in una celebre allocuzione. È stata una ricorrenza importante. Come l´abbia celebrata il mondo vaticano risulta dalla prima pagina dell´Osservatore Romano, appunto di domenica. Il commento del suo direttore aveva questo titolo: «Il Vaticano II e il gesto di pace del Papa». Nel breve spazio di una smilza colonnina erano messi insieme il ricordo dell´annuncio di cinquant´anni fa e il «gesto di pace» con cui il papa regnante ha cancellato la scomunica del plotoncino dei vescovi ordinati da monsignor Lefebvre. Dopo avere legato insieme le due cose l´articolo si concludeva così: «A mezzo secolo dall´annuncio, il Vaticano II è vivo nella Chiesa». Singolare affermazione, visto che la ragione della scomunica «latae sententiae» fulminata nel 1988 da papa Giovanni Paolo II era stato il rifiuto di quei vescovi di accettare il Concilio. E non sembra che i seguaci di monsignor Lefebvre abbiano cambiato idea al riguardo.

Dunque chi ha cambiato idea è il Vaticano. Quel che se ne ricava è una semplice constatazione: non accettare il Concilio non costituisce una frattura con la Chiesa. Buono a sapersi per tanti cattolici: c´è ancora fra di loro qualcuno che non accetta il dogma dell´infallibilità papale stabilito dal Concilio Vaticano I? Bene, potrà prendere argomento da questa storia per mantenere le sue riserve, per fare per così dire «obiezione di coscienza», quella che secondo il vescovo Poletto dovrebbero fare i medici negli ospedali pubblici italiani per disobbedire alla sentenza della Cassazione sul caso Englaro.
Adesso possiamo mettere in serie tutti gli atti che hanno preparato questa scelta. Sono stati molti. E qui potremmo anche lasciare ai cattolici di tutto il mondo il compito di fare i conti con le svolte ad angolo acuto che il supremo timoniere imprime alla navicella di San Pietro. Ma non ce lo possiamo permettere. E non solo perché il modo in cui la Chiesa cattolica volta le spalle all´eredità del Concilio Vaticano II comporta conseguenze pesanti per i valori della tolleranza e per il rispetto dei diritti di libertà. In questa decisione di abbracciare come fratelli quei quattro vescovi c´è qualcosa che iscrive d´ufficio le autorità della Chiesa cattolica tra coloro che Pierre Vidal-Naquet ha definito «gli assassini della memoria». Lo capiremo meglio se si terrà conto della singolare coincidenza tra questa decisione papale e la doppia ricorrenza non solo del cinquantenario del Concilio Vaticano II ma anche dell´appuntamento annuale del «giorno della memoria». È proprio la memoria della Shoah che subisce un´offesa diretta e frontale da questa decisione di papa Ratzinger. Non è certo un caso se proprio un vescovo di quel gruppetto di lefebvriani, monsignor Richard Williamson, ha scelto questa ricorrenza annuale per fare pubblica professione di negazionismo. Come abbiamo letto sui giornali nei giorni scorsi, il vescovo ha dichiarato al canale televisivo svedese Svt1 che secondo lui «le camere a gas non sono mai esistite». Il monsignore si è addentrato con passione in calcoli precisi ai quali aveva evidentemente dedicato molto tempo: ha parlato di altezza e forma dei forni crematori dei lager e ha sostenuto che gli ebrei uccisi sarebbero stati non sei milioni ma «solo» due o trecentomila. Ma il suo non è un deprecabile caso privato, come vorrebbe far credere l´ineffabile direttore dell´Osservatore Romano. Monsignor Williamson non è un negazionista occasionale. Lui e i suoi compagni di ventura � lo svizzero Bernard Fellay, il francese Bernard Tissier de Maillerais e lo spagnolo Alfonso de Galarreta � seguirono monsignor Lefebvre sulla via del rifiuto del Concilio per ragioni che hanno a che fare proprio con la questione del giudizio della Chiesa cattolica sugli ebrei. Per questi uomini e per la piccola chiesa che hanno guidato finora Papa Giovanni XXIII era un infiltrato di una congiura giudaica, il suo concilio era il prodotto di un complotto contro la vera Chiesa, quella di San Pio V, quella della guerra senza quartiere agli eretici e agli ebrei. Forse non tutti sanno che le ragioni della scissione di monsignor Lefebvre hanno un rapporto molto preciso con lo sterminio degli ebrei. Ciò che spinse il prelato francese a ribellarsi alla Chiesa fu la dichiarazione sulla libertà religiosa e l´apertura verso l´ebraismo. Cercheremmo invano la sua firma sotto la «Nostra aetate», il documento fondamentale sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e le altre religioni: un documento che si apriva con queste parole: «Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l´interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane». E proseguiva con giudizi positivi sulla religione mussulmana e soprattutto su quella ebraica, voltando le spalle a secoli di aggressioni contro gli ebrei e affermando solennemente che «gli Ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura».
Quei documenti sono diventati sempre più desueti negli ultimi anni grazie a una serie continua di atti papali e di decisioni della Congregazione per la Dottrina della Fede. E la marcia di avvicinamento alle posizioni del nucleo dei lefebvriani si era resa evidente in molte scelte simboliche oltre che nell´impulso dato a quella Congregazione, dove si è rinverdita la radice antica dell´Inquisizione. Ma il direttore dell´Osservatore Romano si sbaglia se crede di potersela cavare con quelle parolette finali: secondo lui la bontà della scelta fatta «non sarà offuscata da inaccettabili opinioni negazioniste e atteggiamenti verso l´ebraismo di alcuni». E invece lo sarà, anzi lo è già, irrimediabilmente. Quella che è stata offuscata dalla decisione papale è l´immagine della Chiesa cattolica nella coscienza civile del mondo intero.





Il Bisturi e il machete l’Unità 27 Gennaio 2009

Filo rosso

di Giovanni Maria Bellu



La memoria è uno strumento di lavoro. Una settimana fa, nel suo discorso d’insediamento, Barack Obama ha impugnato un frammento doloroso della memoria americana, la guerra civile, e l’ha usato per dire al mondo musulmano questo: siccome noi «siamo emersi da quel buio capitolo della nostra storia più forti e più uniti» possiamo credere che anche gli atroci odi che oggi ci dividono un giorno «possano dissolversi». Il fatto che a dire quelle parole fosse un afroamericano, cioè discendente di quegli schiavi che furono tra le cause di quella guerra, ha dato letteralmente «corpo», cioè concretezza e senso, alla speranza. La memoria, infatti, è uno strumento di lavoro che va continuamente forgiato, altrimenti si arrugginisce e non serve più a niente. È questa, in estrema sintesi, la ragione per cui nove anni fa è stata istituita la Giornata della memoria della Shoah. Si tratta di una ricorrenza civile della Repubblica italiana. Altri Stati, quindi anche quello Vaticano, possono tranquillamente ignorarla. Come, infatti, è avvenuto. Sia chiaro: sicuramente è stata solo una sfortunatissima coincidenza temporale ad aver avvicinato la giornata di oggi alla riabilitazione del vescovo negazionista Williamson, uno secondo il quale la Shoah è un’invenzione. Ma - come spesso accade alle coincidenze - ha prodotto un messaggio. Un messaggio che certo non aiuta il processo di consolidamento e l’armonizzazione della nostra memoria collettiva. Anche perché - è difficile considerare pure questa una coincidenza - il messaggio s’intreccia con altri ed è inevitabile ricavarne una gerarchia. Cioè confrontare i sottili distinguo attorno al fatto che la revoca della scomunica non implica la condivisione dell’intero pensiero del suo beneficiario, con i metodi tutt’altro che sottili utilizzati dai referenti istituzionali dello Stato vaticano nella vicenda di Eluana Englaro. È molto difficile apprezzare questo tagliare col bisturi le norme del diritto canonico mentre si assiste a tentativi di tagliare col machete quelle del diritto civile. Nel modo più grossolano: impedendo l’applicazione di una sentenza. Ieri per l’ennesima volta le ragioni della famiglia Englaro sono state riconosciute da un tribunale. Ma per la difesa della memoria non è possibile rivolgersi a un Tar. Bisogna usare la ragione, la pazienza, tutto ciò che c’è di meglio nella politica. Chissà, forse verrà il giorno in cui l’Europa - ricordando il nazismo e il fascismo - potrà rivolgersi al mondo musulmano con le stesse parole di Barack Obama: «Siamo emersi da quel buio capitolo della nostra storia più forti e più uniti». Quasi certamente anche questa è una coincidenza ma fa riflettere il fatto che, in quel suo discorso, il presidente americano non abbia mai nominato l’Europa e ne abbia indicato solo, in un fugace passaggio, una piccola regione, la Normandia, come se volesse ricordarci quanta strada dobbiamo fare ancora. Quelle parole, infatti, potranno avere «corpo», sostanza, solo se a pronunciarle sarà qualcuno che porti con sé la memoria delle vittime. Non si possono lanciare messaggi ambigui sulla Shoah.











IL BUIO OLTRE GAZA la Repubblica martedì, 27 gennaio 2009



di LUCIO CARACCIOLO


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La farsa dei due Stati finisce nella tragedia dello Stato con due ghetti. La guerra di Gaza sigilla questa provvisoria realtà. Fra Mediterraneo e Giordano regna un solo Stato, quello ebraico. Alla sua periferia Sud, la gabbia di Gaza. O meglio le sue macerie, amministrate da quel che resta di Hamas e contese fra bande rivali. A cominciare da al-Fath, titolare del tragicomico marchio "Autorità nazionale palestinese". A tale non autorevole autorità di una non-nazione Gerusalemme ha subappaltato la pseudo-Palestina orientale: i coriandoli della Cisgiordania tagliati dal Muro, sminuzzati da 630 posti di blocco israeliani, pressati dalle colonie ebraiche in espansione. Israele spera di reinsediare prima o poi nella Striscia il pallido leader dell´Anp, Abu Mazen, che durante la battaglia di Gaza tifava per il nemico israeliano contro i "connazionali" di Hamas. Ossia contro coloro che Israele oggi considera terroristi e che a suo tempo incentivò come spina nel fianco dell´allora terrorista Arafat.

Da tale intreccio di contraddizioni deriva un paradosso geopolitico. Nell´ex Mandato britannico domina un Grande Israele - informale e più che imperfetto - vestito da Piccolo Israele, peraltro incompiuto. (…) Resta il dilemma esistenziale: se Gerusalemme formalizzasse il Grande Israele "dal fiume al mare", in quanto territorio che Dio ha assegnato agli ebrei, sancirebbe la morte del sionismo, dato che in quello spazio gli abitanti di ceppo ebraico stanno diventando minoranza; se battezzasse una mini-Palestina in tutta la Cisgiordania o quasi più Gaza, rischierebbe la guerra civile, con i coloni a difendersi dalle truppe chiamate a sgombrarli, sulla cui fedeltà in un simile frangente nessuno potrebbe giurare. (…)

Come disegnare un orizzonte di speranza? Dai palestinesi c´è poco da aspettarsi, finché non avranno suturato le ferite intestine e scelto un solo capo per tutti, autorevole e credibile. Nell´attesa, la questione palestinese resterà un dramma umanitario. Non una priorità geopolitica per gli attori che contano. Invece di ottenere uno staterello, quel popolo disperato finirà forse sotto un protettorato internazionale. Perpetuando il senso di un´ingiustizia che oggi può commuovere ma non mobilita davvero nessun governo. Mentre nella regione e nel mondo si diffonde l´epidemia di antisemitismo e di contrapposta (talvolta parallela) islamofobia. A meno che.

A meno che Israele - la parte oggi più forte che domani rischia di diventare più debole, se non di scomparire - si assuma le responsabilità che gli spettano. Gli israeliani potrebbero capire che se i palestinesi hanno perso loro hanno vinto. E come tutti i vincitori sono responsabili dei vinti. Con i quali conviene essere generosi finché sono deboli, anziché doverli poi fronteggiare come avanguardia di un nemico che volesse liquidare lo Stato ebraico.

«Il tempo è venuto di dire queste cose. Israele è il paese più forte nel Medio Oriente. Possiamo affrontare ciascuno dei nostri nemici o tutti i nostri nemici messi insieme e vincere. Ma io mi chiedo, che cosa succede quando vinciamo? Prima di tutto, dobbiamo pagare un prezzo doloroso. Dobbiamo trovare un accordo con i palestinesi, ritirandoci da tutti, o quasi tutti, i Territori. Una percentuale di quelle terre rimarrebbe nelle nostre mani, in cambio dobbiamo dare ai palestinesi la stessa percentuale (di territorio israeliano, ndr). Senza di questo non c´è pace». Così parlava Ehud Olmert, da anatra più che zoppa, pochi mesi prima di Piombo Fuso. E spiegava che Israele dovrebbe permettere alla Palestina di installare la sua capitale a Gerusalemme, divisa perché lo Stato ebraico non vuole integrarne gli arabi, mentre il Golan tornerebbe alla Siria. Un sogno di pace. Impossibile finché prevarranno quei generali che secondo Olmert «non hanno imparato nulla» e «continuano a vivere ai tempi della guerra d´indipendenza e della campagna del Sinai. Con loro è tutta questione di carri armati, di controllare territori o di territori controllati, di tenere questa o quella collina. Roba senza valore».

Se il nuovo leader israeliano parlerà così e agirà di conseguenza, all´inizio e non alla fine del suo mandato, oltre Gaza torneremo forse a intravvedere una luce. Forse.



le Radici dell´olocausto la Repubblica lunedì, 26 gennaio 2009



lo storico Bensoussan indaga su antichi pregiudizi e condotte criminali quei germi nell´europa del ´600



Dall´uso distorto del darwinismo fino alla guerra come "igiene del mondo". Ecco dove si annida il razzismo che porta allo sterminio

"L´idea di selezione è inseparabile dalla rivoluzione urbana e industriale"

"Ogni europeo è nutrito fin da bambino di un antigiudaismo dottrinario"



SUSANNA NIRENSTEIN


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Una genealogia della Shoah. La traccia arditamente Georges Bensoussan nel suo Genocidio. Una passione europea (Marsilio, pagg. 388, euro 21), individuando i semi già attivi nell´Ottocento e nel Settecento, i secoli della ragione e del progresso, da cui è nata la pianta totalitaria e omicida del Novecento. Un´operazione complessa, anche se lui stesso avverte, riprendendo un proverbio cinese, come «conoscere la fine non aiuti a comprendere l´inizio». Ma troppo grande è lo sconcerto per la distruzione degli ebrei nel cuore del mondo occidentale e questa opera di archeologia alla ricerca delle fonti della barbarie è generosa e piena di spunti.

Andando a ritroso dunque, tre sono i filoni che lo storico delle idee, già autore di un monumentale lavoro sul sionismo a cui è stato conferito a Parigi il "Prix Mémoire de la Shoah", segnala ed esplora: la natura di guerra totale del primo conflitto mondiale, concepita dai suoi protagonisti, primi fra tutti i tedeschi - ma non solo -, come una via per "l´igiene del mondo" da percorrere attraverso tutti i mezzi possibili (la Germania vi introdusse gas, campi di concentramento dove affamare e picchiare i prigionieri, utilizzo dei cadaveri per riempire i fossati...). Una visione, argomenta Bensoussan, resa possibile (e qui andiamo di nuovo all´indietro) dal darwinismo sociale sviluppato nell´XIX secolo che indica via via classi, gruppi (i malati), popoli, razze inferiori che devono soccombere: teorie nate all´interno dell´anti-illuminismo da cui derivano in generale un colonialismo predatore e razzista (vedi la soppressione degli Herrero, piuttosto che degli armeni), l´eugenetica della sterilizzazione dei malati gravi (già votata ad esempio nella Repubblica di Weimar).

L´antisemitismo infine: che Bensoussan giustamente associa all´antigiudaismo coltivato e agito secolarmente dalle Chiese cattolica e protestante, radicato sì nell´idea del "popolo deicida" ma, fin dalla fine del I millennio, evoluto in una dimensione razziale come dimostra l´ossessione per la purezza del sangue che perseguitò gli ebrei anche se convertiti.

Monsieur Bensoussan, dunque per lei esiste una sorta di gestazione unica, intellettuale ma non solo, dello sterminio biologico degli ebrei d´Europa. È così?

«No, non esiste una causalità lineare che conduca alla Shoah. Non esistono delle "cause". Ma un terreno culturale che prepara gli intelletti e li condiziona».

La prima matrice del "disastro" è la Prima Guerra Mondiale, ma non tanto per il risentimento e la sete di riparazione che lasciò in Germania, quanto per come venne concepita e condotta.
«Fu una tappa verso la guerra totale che non distinse tra militari e civili. Questa concezione del conflitto come "igiene del mondo" si coniugava con il sogno di un´umanità sottomessa unicamente alle leggi della scienza. Non fu appannaggio della sola Germania che però, per prima in Europa, ha introdotto alcune forme di annientamento totale. Ed è sempre la Germania che fin dal 1925 ha accolto l´insegnamento dell´igiene razziale nelle università tedesche»

La Germania durante la Prima Guerra concepì già l´Europa orientale come il suo "spazio vitale", il lebensbraun nazista, abitato solo da barbari e primitivi?

«Da tempo la Germania, attraverso le Leghe pangermaniste nate alla fine del XIX sec., pensava l´Est come un suo spazio naturale di espansione. Il disprezzo verso gli slavi era radicato. Allo scoppio del conflitto lo sguardo dei tedeschi su di loro è come quello del colonizzatore bianco che sbarca in Africa. Slavi ed ebrei gli appaiono popoli degenerati. Gli ebrei, per di più, vengono percepiti come pericolosi, specie dopo l´enorme flusso migratorio che li aveva condotti in Germania e Austria nell´ultima parte dell´Ottocento».
Nel riavvolgimento di questo nastro dell´orrore, lei rammenta lo sterminio degli Herrero (nelle colonie africane tedesche), ma più in generale il capitolo del colonialismo come un´altra tappa verso la concezione dell´esistenza di sotto uomini la cui vita non aveva alcun valore. E parla molto della responsabilità del darwinismo sociale. Ci può spiegare meglio?

«Ci fu un uso distorto della scienza. I successi ottenuti dalla biologia non furono sinonimi della costituzione del biopotere che considera l´uomo innanzitutto un essere vivente e non pensante, segnando così la fine della sua centralità. Anche se il darwinismo sociale e razziale ha impregnato i paesi sviluppati di quest´epoca, solo alcuni di loro hanno spazzato via le barriere etiche che fondano la nostra civiltà».
Al di là dei principi di selezione e sterminio che presero piede in Europa tra Ottocento e Novecento, cosa scattò perché questi divenissero realtà massificata, Shoah?

«L´idea di selezione, ovvero di sterminio, è all´origine di un razzismo moderno che si basa su studi scientifici distorti. Quest´idea è inseparabile dall´Europa della rivoluzione urbana e industriale e del colonialismo che rimette in discussione l´eredità biblica e dell´Illuminismo per giustificare la sua impresa di dominio. Se si dimentica questa realtà, il trionfo del nazismo appare come un incidente incomprensibile. Come un sotto prodotto del periodo 1914-1918, della pace di Versailles o della Depressione. Una spiegazione davvero riduttiva anche se quei fatti storici hanno contribuito a tessere il dramma. Ma senza quel contesto anti-illuministico che in Germania assunse una forma più violenta che altrove, senza il movimento völkisch, il pangermanesimo, il luteranesimo non si capirebbe Hitler. E nemmeno senza lo studio della tradizione di obbedienza all´autorità, qualunque essa sia, o delle strutture del potere e della famiglia che caratterizzano la società tedesca. Nessuna spiegazione vale senza genealogia, che non costituisce da sola una interpretazione: perché il nazismo resta una rottura nella tradizione politica dell´Occidente. Fare l´archeologia del disastro non deve nascondere questa verità».
Dal Settecento all´anno Mille e prima, sono le Chiese a portare lo stendardo della demonizzazione di ebrei, omosessuali, streghe...

«Ogni piccolo europeo si è nutrito fin dalla più tenera età di un antigiudaismo dottrinario che si è depositato strato dopo strato negli intelletti. Un gruppo esiste solo a condizione di espellere da sé il proprio odio per proiettarli su un gruppo-vittima. I lebbrosi, gli ebrei, i devianti sessuali e le donne, costituiscono delle declinazioni di un´identica cultura del diavolo».

C´è differenza tra antigiudaismo e antisemitismo?

«Il termine antisemitismo fu coniato nel 1879 in Germania, e lascia intendere che esista una razza semita, quando invece esistono solo delle lingue semitiche. È una versione secolarizzata della giudeofobia. L´antisemita cammina nel solco della tradizione antiebraica della Chiesa, dalla quale si discosta appena. Se il rigetto basato sulla fede lascia una porta aperta all´ebreo perseguitato, il rifiuto basato sulla razza chiude tutte le vie d´uscita. Il sangue non si può cambiare. Rimane il fatto che dal XV secolo, la tradizione spagnola, l´interrogativo sull´ascendenza famigliare del convertito costituisce il primo passo verso il razzismo moderno».

Perché la teoria cospirativa che ha perseguitato l´ebreo europeo oggi è passata, più o meno tale e quale, nel mondo islamico?

«Numerosi modelli anti-ebraici propri del mondo cristiano sono passati oggi al mondo musulmano che nel XIX secolo ignorava l´accusa del crimine rituale, dell´avvelenamento dell´acqua, del complotto. Sono stati introdotti dalle congregazioni cristiane, e infatti allora erano gli arabi cristiani i più ostili agli ebrei. Ma le frustrazioni e i risentimenti che i paesi arabi islamici svilupperanno nei confronti del mondo occidentale nel XX secolo favoriscono la cristallizzazione di un potente antisemitismo. L´assenza di una rivoluzione illuministica, in grado di cambiare le mentalità che continua a ignorare la secolarizzazione e la laicità, rafforzata da un sentimento di umiliazione di una cultura a lungo dominatrice, sono elementi che spingono a non sopportare l´idea che l´"ebreo", creatura disprezzata, si emancipi dalla condizione di dhimmi, inferiore, a cui era relegato negli stati musulmani. La sua "uguaglianza" è vissuta come un´arroganza insopportabile. Il sionismo e Israele verranno a sovrapporsi a questo sentimento di umiliazione, dando il colpo di grazia a questo ethos dominatore. Così come l´hitlerismo aveva fatto dell´ebreo lo specchio dello smarrimento esistenziale dello spirito tedesco, e al contempo l´opposto della propria identità, il musulmano di oggi ha bisogno di Israele per esprimere le proprie contraddizioni verso il mondo moderno».

Quanto è pericoloso tutto questo?

«La letteratura politica di quel mondo, penso a Hamas e Hezbollah in particolare, all´Iran, è un incitamento al genocidio. Se preferiamo dar retta a quel potente bisogno che ha l´essere umano di essere rassicurato, ci si può persuadere che "tanto le cose finiranno per sistemarsi". Ma la storia è tragica e radicale».



Ed arrivati in fondo a questa arbitraria rassegna stampa, con preghiera a tutti (fans e antipatizzanti) di considerare la firma del pezzo che segue una citazione obbligata, ma di dedicarsi con animo sgombro da pregiudizi alla lettura del testo, ecco un esercizio di memoria che noi italiani non possiamo permetterci il lusso di saltare.





Zorro l’Unità 27 Gennaio 2009



Eppure



di Marco Travaglio



Andreotti tiene un archivio segreto, e fa sapere che «qualche mistero me lo porterò nella tomba». Eppure viene celebrato da tutti i politici, o forse proprio per questo. Cossiga ogni tanto tira fuori una rivelazione o un’allusione sulla strategia della tensione anni 70-80, lasciando intendere di sapere molto di più. Eppure nessuno gliene chiede mai conto, o forse proprio per questo. Craxi, da Hammamet, distillava fax per fulminare questo o quel politico ostile («potrei ricordarmi qualcosa di lui») e conservava dossier, «poker d’assi» e intercettazioni su colleghi e magistrati. Eppure la Casta lo beatifica ogni giorno, o forse proprio per questo. Tre anni fa, in un ufficio di via Nazionale a Roma, fu rinvenuto l’archivio segreto di Pio Pompa, braccio destro del capo del Sismi Niccolò Pollari, con migliaia di dossier su cronisti, pm e politici sgraditi a Berlusconi, da «neutralizzare e disarticolare anche con azioni traumatiche». Pompa e Pollari sono imputati per quell’archivio illegale, eppure i governi di destra e sinistra li coprono, o forse proprio per questo. All’ombra della Telecom di Tronchetti Provera, il capo della security Giuliano Tavaroli è imputato per aver accumulato migliaia di dossier su giornalisti, politici, imprenditori spiati illegalmente. Eppure nessuno ne parla, o forse proprio per questo. Gioacchino Genchi lavora su intercettazioni e tabulati legalmente acquisiti da giudici in indagini su gravi reati. Eppure dicono che il delinquente è lui, o forse proprio per questo. Il problema in Italia non sono le intercettazioni illegali. Ma quelle legali.







E a proposito di Genchi, (e qui finisco davvero) la sua difesa proposta da un “pericoloso eversore” dell’ordine costituito.







Genchi, un uomo da difendere

di Salvatore Borsellino, da 19luglio1992.com

Ma può un uomo mentire spudoratamente usando affermazioni false per cercare di distruggere la reputazione di un uomo come Gioacchino Genchi che ha sempre servito e continua a servire lo Stato? Lo Stato, quello vero, quello per cui è morto Paolo Borsellino e non l'antistato che ormai all'interno del primo si è saldamente annidato grazie proprio a quella trattativa per la quale Paolo Borsellino ha dovuto essere eliminato.

Un uomo forse no, ma non se è qualcuno che ha dovuto essere indicato come "alfa" nel corso delle indagini di uno dei processi sui mandanti esterni di quella strage che finora sono stati sempre bloccati quando stavano per arrivare dove non si può arrivare, cioè alla verità.

Non se è qualcuno che insieme con l'altro indagato in quel processo, "beta", proclama pubblicamente "eroe" un essere bestiale e un assassino come Mangano, se è qualcuno che ha più volte spergiurato sui suoi figli per fare meglio passare come vere le sue menzogne, se è qualcuno capace di raccontare oscene barzellette su una delle più grandi tragedie dell'umanità come lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento nazisti.
Non se è qualcuno che ha l'impudenza di dire che andrà a trovare il padre di una famiglia di martiri, come il papà dei fratelli Cervi, senza neanche sapere che è già morto.

Non se è qualcuno che si può fidare della completa assuefazione di gran parte degli italiani a qualsiasi tipo di menzogna e di vergogna.

Non se è qualcuno che non ha bisogno, mentendo, di simulare un'espressione adatta del viso, tanto quell'espressione, quel ghigno che avrebbe dovuto essere un sorriso accattivante è ormai consolidato da decine di interventi chirurgici.

Allora sì, se è qualcuno così può farlo e, a questo punto non possiamo sapere quanto profondo sia il baratro nel quale sta trascinando il nostro paese con la complicità e il silenzio, nel migliore dei casi, di quella che una volta si chiamava opposizione e senza la quale la vita democratica di una paese è irrimediabilmente compromessa.

Quello dell'opposizione è un tasto tragico.

Dopo il risultato disastroso delle ultime elezioni politiche, durante la cui campagna elettorale Veltroni ha più pensato ad eliminare la sinistra piuttosto che pronunciare anche il solo nome dell'avversario, l'intera dirigenza di quel partito avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni riconoscendo il proprio fallimento nei confronti di chi, pur essendo nemico dichiarato della democrazia invece, i meccanismi e i difetti della democrazia sa bene sfruttare a proprio vantaggio per acquisire il potere.
Ma dopo avere fatto vane profferte di dialogo a chi come dialogo intende soltanto il dare ordini a chi deve solo obbedire senza discutere.

Dopo avere chiaramente dimostrato come la questione morale che avevano sempre agitata non era altro che vuote parole da parte di chi non aveva nell'armadio solo scheletri ma anche cadaveri ancora caldi.
Dopo essersi dimostrati incapaci di condurre la benché minima forma di opposizione, preoccupati solo di appoggiare quelle leggi che potevano essere utili anche alla loro parte, come appunto il divieto delle intercettazioni e la "soluzione finale" per l'eliminazione dei magistrati con la complicità di un CSM indegno di essere definito come organo di autogoverno della magistratura.

Dopo tutto questo oggi si è passati ad un'altra fase come risulta evidente dalle dichiarazioni di Rutelli di fronte a Bruno Vespa, il servo dei potenti, che si è prestato a fare da apripista per le dichiarazioni del giorno dopo in Sardegna del presidente del consiglio. Chi non è capace di agire da uomo cerca almeno di procurarsi un buon posto da servo. Un altro tasto tragico è quello del Presidente della Repubblica che con il suo silenzio tombale in un momento così grave per la nostra Repubblica continua a tacere in maniera tale da fare dubitare se sia ancora in vita, non assume nessuna posizione dimenticando di essere il presidente di quello che si può ormai considerare un organismo eversivo, il CSM.



Gioacchino Genchi va difeso con ogni mezzo da chi oggi ha a cuore le sorti della Giustizia in Italia.
Gioacchino Genchi è la persona che più di ogni altra si è avvicinato alla verità sulle stragi del 1992, è per questo che è pericolosissimo ed è per questo che si tenta di eliminarlo con ogni mezzo, anche attraverso le menzogne più spudorate.

L'opinione pubblica in Itala ha ormai dimostrato di essere in grado di assorbire tutto, anche l'evidente contraddizione di un Presidente del Consiglio che afferma pubblicamente l'approssimarsi di "Uno scandalo sconvolgente, il più grave scandalo della Repubblica" e poi a richiesta di chiarimenti risponde "Non so nulla di preciso e di concreto. Ma se è tutto vero come sembra, è una cosa che ha dell'incredibile".
Quello che è veramente incredibile è come questo personaggio lanci pubblicamente degli allarmi così gravi e poi affermi di non saperne nulla, forse che i suoi esperti di disinformazione non gli hanno ancora comunicato la strategia precisa per l'eliminazione di Gioacchino Genchi e quindi, prima di rispondere, deve attendere di sapere maggiori dettagli ?

Se ha bisogno di saperne di più sui veri spioni perché non chiede aiuto a Pio Pompa che nel novembre del 2001, dopo essere entrato al SISMI come consigliere del direttore, il generale Niccolò Pollari, gli scriveva "Sarò, se lei vorrà, il suo uomo fedele e leale... Desidero averla come riferimento ed esempio ponendomi subito al lavoro. "Il lavoro" era quello di schedare politici e magistrati, colpire, screditare, creare falsi dossier, costruire falsi indizi e finte prove.


Allora il Vicepresidente del Comitato di controllo sull'attività dei sevizi segreti dichiarò: "Fra i documenti sequestrati in via Nazionale ci sono dossier che riguardano magistrati, uomini politici dell'opposizione e addirittura militari di alto grado. Essi erano tenuti sotto controllo e contro di loro si costruivano dossier e false informazioni. Nei documenti si progettavano interventi contro di loro e l'obiettivo era "disarticolare. Una parola che non può non evocare finalità eversive".
Non sono forse i dossier di Pio Pompa la vicenda Sismi-Telecom uno dei più gravi scandali della nostra Repubblica? Ma allora lo stesso Presidente del Consiglio cercò di minimizzare tutto, ora preannuncia uno scandalo senza saperne ancora nulla, forse che i questo caso le cose potrebbero riguardarlo più da vicino?
Qualunque indagine sul "terzo livello" o sui "mandanti occulti", non potrebbe fare a meno di Gioacchino Genchi, non del suo "archivio" che non esiste, che, nei periodi in cui dai PM gli sono stare affidate delle indagini, non ha mai riguardato intercettazioni ma solo tabulati telefonici, ma delle sue conoscenza e del suo metodo.

E forse per questo che si è deciso di eliminarlo, non dico fisicamente, oggi sono altri i metodi usati, ma da qualsiasi contatto e possibile utilizzo da parte del contesto giudiziario?

C'è già in fase avanzata il progetto di ridefinire il legame del PM con la polizia giudiziaria, ma magari ci vuole ancora un po' di tempo e l'eliminazione di Gioacchino Genchi potrebbe essere diventata una cosa urgente. Magari per qualche indagine in atto a Caltanissetta, a Palermo, a Firenze, alla quale le recenti deposizioni di Massimo Ciancimino hanno dato nuovo slancio, e in una certa direzione, che rende necessario di agire in fretta, molto in fretta...

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