Gad Lerner
Oggi 18 gennaio 2009, 1 ora fa
Fermiamo la guerra d’importazione
Oggi 18 gennaio 2009, 1 ora fa | Gad
Questo articolo è uscito su “Repubblica”.
Arriva il cessate il fuoco in una guerra che a Israele risulterà impossibile vincere perché non tanto i suoi nemici, ma soprattutto chi gli vuole bene, esprime una sana ripulsa di fronte ai suoi prevedibili effetti: la morte dei bambini, la sofferenza della popolazione civile.
Non tutti reagiamo allo stesso modo di fronte al racconto delle atrocità. Oggi le nostre coscienze reputano insopportabile quel male che pure nel passato tolleravamo come necessario; ed è un dato di civiltà da cui non vorremmo più arretrare. Ma non dobbiamo ignorare la diversa percezione di chi nella guerra manipola fede e dolore per fare della religione uno strumento di dominio.
Venerdì scorso, al vertice di Doha, il presidente siriano Bashar el Assad ha fatto questa proposta: “Le foto dei bambini uccisi a Gaza devono essere messe sui giocattoli dei nostri figli per far imparare loro che quel che è stato portato via con la forza sarà recuperato con la forza”. Un macabro proposito di educazione alla violenza di cui sono già vittime tanti bambini immigrati che sfilano nei cortei di solidarietà con Gaza recando tra le mani fagotti bianchi di tela macchiati di vernice rossa.
Ecco perché non possiamo tollerare come un dettaglio marginale –nè tanto meno come una innocente forma di devozione- il rituale della preghiera islamica posto a sigillo delle manifestazioni indette con finalità di protesta politica. Il dispositivo replicato ieri a Roma di fronte al Colosseo, piuttosto che un improbabile fantasia di “califfato universale”, denota un ben più concreto progetto egemonico: la conquista della leadership sulle comunità immigrate.
La religione che inneggia alla guerra e santifica le povere vittime come martiri offerti ad Allah, prende così il sopravvento sulla politica. Le impone il riconoscimento di un nemico assoluto cui oggi si deve resistere con le armi, per annientarlo un domani. I pacifisti e la sinistra radicale vengono retrocessi a comparse di una sfida tra civiltà contrapposte, come prevede il copione fondamentalista. Un copione speculare a quello inscenato dai pseudo-cristiani leghisti che a Varese hanno insolentito il cardinale Tettamanzi definendolo “vescovo di Kabul”; solo perché ha riconosciuto che i musulmani devono avere luoghi dignitosi in cui pregare. Sembrano fatti gli uni per gli altri.
Dobbiamo fare il possibile perché tale perversione dell’islam non prenda piede anche in Italia, conquistando l’unica rappresentanza visibile di più di un milione di cittadini arabi insediati da decenni nella penisola. Col risultato, oltretutto, di abbandonarli privi di forza contrattuale quando il governo vara provvedimenti manifestamente ostili alla loro integrazione come nel caso dell’imposta sul permesso di soggiorno più che raddoppiata, e senza garanzie di ottenerlo in tempi certi. Finchè l’unica organizzazione pubblica degli immigrati sarà appannaggio di imam che mercificano e stravolgono la religione mescolata alla politica -altro che diritti di cittadinanza!- potremo solo attenderci un’escalation di razzismo, frutto del trapianto del conflitto mediorientale nelle città italiane.
E’ la mesta parodia della guerra rappresentata ormai anche nel linguaggio televisivo, come abbiamo visto a “Annozero”: dove l’abuso dei richiami al martirio e la guida islamica della protesta venivano dati per acquisiti senza alcun rilievo critico, solo perché i loro burattinai parlano in nome delle vittime di Gaza.
A questo rischiamo di abituarci: l’equazione bambini-palestinesi- Hamas, tollerata ormai nei rituali pubblici che l’integralismo sta imponendo fin sulle nostre piazze. Con le grida ostili rivolte ai “yehoud”, cioè agli ebrei tutti senza neppure distinzione di cittadinanza; perché la guerra viene considerata globale e assoluta, dunque estende alle sinagoghe la minaccia limitata un tempo ai bersagli israeliani.
Il sangue di Gaza costringe anche la democrazia italiana a fare i conti con un lascito d’odio tale da imporle scelte delicate che richiedono fermezza e saggezza. Fermezza nella sfida culturale a un integralismo che avrebbe solo da guadagnarci da una politica limitata a ottusi divieti. Saggezza per non demonizzare i leader musulmani rappresentativi cui oggi la situazione sta sfuggendo di mano, e che avvertono il pericolo. Per contrastare la guerra d’importazione, ricordiamo agli arabi italiani che la democrazia si fonda sulla separazione fra politica e religione. I loro diritti di cittadinanza, troppo spesso calpestati, si legittimano proprio con questa distinzione.
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