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Europee, dal Pd un riparo ai "riformisti"
Jacopo Matano, 30 gennaio 2009, 19:00
Politica Veltroni contestato da una cinquantina di militanti di Rifondazione e Pdci a Torino, ribadisce l'auspicio che la sinistra radicale si unisca in vista delle elezioni perché così facendo "supererà ampiamente il 4 per cento" mentre Bettini e Sereni aprono ai Socialisti e a Sinistra democratica. Acque agitate nella sinistra. Il Nazareno è assediato dall'esterno e dall'interno, con le faglie che stanno emergendo nei settori dalemiani e prodiani
La giornata si è aperta con la bagarre nel Consiglio regionale dell'Umbria, dopo che i gruppi di Rifondazione comunista e dei Verdi hanno esposto in aula cartelli contro l'accordo raggiunto a Roma tra il Partito democratico e il Popolo della libertà sulla soglia di sbarramento del 4 per cento per le elezioni europee. Ed è solo l'antipasto, nonostante sia il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero che il leader "scissionista" Vendola (a capo di un governo di coalizione in Puglia) si sono spesi per tenere ben distinti la diatriba nazionale dalle giunte locali difendendo le amministrazioni nate dall'intesa col Pd.
Ma le proteste montano, fino ad arrivare al faccia a faccia tra Veltroni e una cinquantina di militanti di Rifondazione e Pdci a Torino, dove il segretario democratico si è recato ad inaugurare la nuova sede del Partito democratico piemontese. Un'occasione che serve a Veltroni per ribadire l'auspicio che la sinistra radicale si unisca in vista delle elezioni perché così facendo "supererà ampiamente il 4 per cento", e
spiegare la linea scelta dal Nazareno: che la legge italiana deve essere come quella degli altri paesi europei. Se in Francia e in Germania c'è una soglia al 5 per cento, se in Inghilterra lo sbarramento reale è al 9 per cento, l'Italia non può arrivare, a Strasburgo, con decine di gruppi politici. Quanto alle contestazioni, il segretario Pd minimizza: "Abbiamo avuto uno scambio sincero e amichevole".
La pace è lontana dall'essere raggiunta. Il Pd è assediato dall'esterno - e non solo metaforicamente, come dimostra la conferenza stampa tenuta mercoledì scorso dal segretario del Prc sulla soglia del Nazareno - e dall'interno. Più destabilizzanti, per lo stato maggiore dei democrat, sono le faglie che stanno emergendo all'interno del partito, nei settori dalemiani e prodiani.
Se l'ex ministro degli Esteri non si è finora pronunciato sull'argomento, un suo fedelissimo come il senatore Nicola Latorre ha parlato a caldo di "compromesso accettabile", ma ieri ha rilevato che "la soglia del 3 per cento sarebbe stata più giusta". Riserve emerse con più nettezza in una riunione dell'associazione Red svoltasi mercoledì scorso, quando il presidente di Red, Paolo De Castro, ha addebitato a Veltroni un "errore grave che non aiuterà il Pd a prendere più voti", avvertendo il leader che deve smetterla di "dire che, quando le cose vanno male, è sempre colpa degli altri".
Quanto alle file uliviste - sostenitrici di un centrosinistra di governo che l'imposizione dello sbarramento metterebbe a rischio per il futuro -, oggi Franco Monaco torna alla carica diffidando da "un'operazione tutta in perdita per il Partito democratico" e lamentando che "la prepotenza sulla legge elettorale, da parte del Pd, è figlia della paura e della debolezza del partito e della sua leadership". Monaco trae acidamente le somme: "La legge serve a Veltroni e dunque a Berlusconi". Meno astiosa ma non priva di riserve Rosy Bindi: "Non sono così sicura che uno sbarramento così alto, nel momento in cui c'è, e nel momento in cui si muove qualcosa di significativo a sinistra, finisca per premiare il Pd".
Lo stato maggiore del Pd risponde ai critici - interni ed esterni - anche attraverso la ricerca di mediazioni politiche a riprova che dietro a quel 4 percento non si cela nessun istinto omicida verso la sinistra. Così il coordinatore Goffredo Bettini smentisce "inciuci" col centrodestra ("tutto si è svolto alla luce del sole", assicura), difende le ragioni della scelta e lancia un segnale ai contestatori spiegando: "Il Pd deve mettere in campo un tentativo per dare rappresentanza ad altre forze della sinistra riformista, come i socialisti, o che comunque hanno fatto la scelta di combattere per un governo alternativo del paese, come la Sinistra democratica". Insomma, per Bettini "la vocazione maggioritaria in nessun momento deve significare solitudine o pretesa di annessione o di prepotente egemonia".
Un messaggio reso più esplicito da Marina Sereni, vicecapogruppo del Pd alla Camera che manda segni di pace - e di propensione all'ospitalità verso forze compatibili col Pd che non possono farcela a superare l'asticella del 4 per cento: "Anziché attaccarci, le forze alla sinistra del Pd dovrebbero costruire le condizioni di un'aggregazione che possa dare voce al loro elettorato. Per parte nostra, se sarà introdotto lo sbarramento, credo dovremo essere disponibili - sottolinea - ad aprire le nostre liste ad altre forze riformiste".
Dalle parti del Partito socialista e di Sd, fischiano le orecchie, tanto più che il collante, a sinistra, è un bene sempre più raro, ma è presto per scoprire le carte: Riccardo Nencini, segretario dei Socialisti, avanza l'ipotesi di una "alleanza che vada dai Radicali al movimento di Vendola, dai Verdi a Sinistra Democratica", ma intanto non chiude al Partito democratico col quale da tempo si discute la road map del riavvicinamento. Claudio Fava, coordinatore nazionale di Sinistra democratica continua a ribadire "l'errore politico" dell'accordo sancito tra Pd e Pdl e denuncia "il baratto" con merci di scambio che va dal federalismo alla "lotta alla mafia". Accuse pesanti, che ampliano le distanze tra gli ex compagni diessini.
La verde Grazia Francescato si smarca da Rifondazione e dai vendoliani e invita a mettere il Partito democratico "di fronte alle conseguenze di questo accordo innaturale con Berlusconi" chiedendo "ai nostri rappresentanti sui territori di sospendere i tavoli per le prossime elezioni amministrative".
Oliviero Diliberto sottolinea che "sono in corso intensissimi colloqui con i dirigenti di altri partiti (l'area grassiana del Prc, ndr)" e si dice "ottimista" riguardo all'ipotesi di correre sotto un unico simbolo alle prossime elezioni europee. Il verde Paolo Cento fa sapere che il Sole che ride non starà mai all'interno di una colazione che abbia come simbolo la falce e il martello e boccia come "vetusta" la proposta di Diliberto, fa arrabbiare i comunisti (tanto più che il Sole che Ride non aveva disdegnato l'alleanza con il Pdci quando si è trattato di eleggere 11 senatori tre anni fa) e viene da quest'ultimi liquidato con un secco "nessuno ti ha chiamato".
Insomma, la confusione è grande sotto i cieli e in queste condizioni, la proposta lanciata da Il Manifesto di "saltare un giro elettorale" potrebbe tramutarsi nell'unica soluzione onorevole.
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