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“Per noi socialisti l’idea di una comune patria europea non potrà essere mai un simbolo puramente retorico. Essa si sposa con tutte le buone cause di pace, di democrazia, di progresso e di maggiore eguaglianza nelle quali siamo impegnati e si unisce alla consapevolezza di tutto ciò che comporta per i diritti e i doveri di tutti, i diritti e i doveri dei cittadini, e i diritti e i doveri delle nazioni”. Non sono parole pronunciate da Josè Zapatero, Gordon Brown o da Martin Schulz, alfieri del socialismo europeo agli albori del Terzo Millenio. Sono le parole con cui si chiude “Quattro anni di governo”, l’opera nella quale Bettino Craxi, primo ed unico presidente del Consiglio socialista che l’Italia abbia avuto in sessant’anni di Repubblica, riepiloga la sua attività politica a Palazzo Chigi.
Perchè questa citazione d’apertura? Perchè sia che si voglia ricordare, commemorare, valutare o rivalutare la figura di Craxi, forse più delle mille parole spese in questi anni per infangarne o esaltarne la memoria, sarebbe il caso di far parlare lui, alfiere italiano di un socialismo moderno e veramente riformista per spiegarne l’attualità ma anche le contraddizioni che avvolgono la sua figura.
Bettino Craxi, uno degli uomini politici più autorevoli e controversi della cosiddetta Prima Repubblica, morto nove anni fa lontano dal Paese che egli aveva amato e governato. Subito il primo interrogativo: morto esule o morto latitante? L’approdo in Tunisia: anelito alla libertà o volgare fuga per sfuggire alle patrie galere? Bettino Craxi: vittima di un complotto mediatico-giudiziario o vittima di se stesso, della sua smisurata ambizione per il potere? Domande. Interrogativi senza risposte o forse con fin troppe risposte, tutte diverse, tutte contrastanti. E l’opinione pubblica si divide. I detrattori non mancano. Del resto, il personaggio è di quelli che hanno lasciato il segno, così che in tanti (in troppi?) non resistono alla tentazione di aggiungere parole a parole.
Ma i più giovani, a nove anni dalla scomparsa del socialista italiano più famoso dell’ultimo trentennio, che idea hanno di Craxi? E i giovani socialisti, quelli che all’epoca del declino politico di Craxi erano ancora bambini, come si rapportano all’idolo dei loro padri?
Volendo partire dalle immagini, quella che di certo riecheggia di più nelle nostre memorie è quella di Bettino che esce dall’Hotel Raphael di Roma insultato e ricoperto di monete da una folla inviperita ed esasperata dai resoconti giudiziari che in quei giorni vedono indagati un numero sempre più elevato di autorevoli esponenti socialisti. Ma le grida spagnolesche di piazza Navona non rendono giustizia al personaggio. Craxi non è quello. Per lo meno non è solo quello. Ma poiché fa più rumore un albero che cade, piuttosto che una foresta che cresce è allora il caso di ricordare quella florida foresta che è cresciuta attorno a lui. Grazie a lui. Non per mero spirito di rivisitazione ma perchè la storia insegna e prima di tutti ad imparare dovrebbero essere quelli che oggi a Craxi pretendono di ricollegarsi.
Stiamo parlando dell’uomo che ha ridato dignità al più antico e glorioso partito della sinistra italiana, proprio nel momento in cui quel partito era ai minimi storici e vedeva all’orizzonte la prospettiva di essere fagocitato nel Partito Comunista. Insomma, saranno i corsi e ricorsi storici o semplici coincidenze. Ma oggi non può sfuggire lo stato comatoso in cui le forze socialiste versano e la prospettiva (se possibile oggi ancora più terrificante di trent’anni fa!) di essere inglobati in forze che si definiscono politiche e che, invece, non sono né carne né pesce. Trenta anni fa Craxi disse no. Rilanciò il progetto socialista. Diede a quel progetto nuova linfa. Gli diede quello slancio innovatore e riformista che avrebbe giovato all’intero Paese, portandolo tra i primi otto Paesi più industrializzati del pianeta. Non ebbe paura di correre da solo. In questi giorni ci hanno ricordato che la sua vita è stata una corsa. In tanti l’hanno rincorso. Nessuno l’ha mai raggiunto. O quasi.
L’aver avuto il coraggio di non ammainare la bandiera socialista ha regalato all’Italia l’unico Presidente della Repubblica socialista, il quale si rivelerà poi, di gran lunga, il più amato di sempre nella storia repubblicana. E poi l’esperienza di governo. Quattro anni di cambiamenti. L’unico grande governo riformista che il Paese abbia avuto. E i risultati si sono visti. Inutile ricordarli qui.
La sua vita è stata una corsa. Ma si sa che anche le galoppate più avvincenti ed esaltanti rischiano di interrompersi bruscamente dinanzi ad ostacoli imprevisti. L’ostacolo che si frappose tra Bettino e il compimento del suo progetto socialista si chiamò questione morale. A questo punto, l’analisi non può che farsi complessa e delicata. I fatti sono ancora in parte oscuri e forse troppo vicini a noi perché i loro protagonisti possano essere giudicati con la dovuta serenità. Eppure con l’irriverenza e – forse - l’ingenuità che nei più giovani non possono mancare, una chiave di lettura provo a darla. Ho sempre diffidato di chi mi voleva convincere che Craxi sia stato vittima di un complotto teso da forze comuniste, che si sarebbero servite di pm forcaioli per inchiodarlo e frenarne una volta e per tutte una corsa che ormai stava diventando pericolosa perchè in grado di esaltare sempre più spettatori. Ho sempre pensato che un personaggio di tale statura non potesse essere distrutto da un manipolo di magistrati che stavano scoprendo l’acqua calda. Eppure la corsa si è arrestata. Possibile che bastasse la “gioiosa macchina da guerra”, guidata da post-comunisti e giudici? Evidentemente no. A fermare Craxi ci ha pensato l’unico che potesse farlo. Craxi stesso. Come scriveva già diversi anni un maestro del giornalismo, Emanuele Macaluso, la questione morale esplode ad inizio anni Novanta proprio nel momento in cui si pone una questione politica enorme: il crollo del Muro di Berlino, simbolo del mondo che cambia. Ma il sistema politico italiano non cambia. Craxi, grande ed indiscusso vincitore del duello col Pci, “anziché sfidare il Pci-Pds sul terreno dell’unità della sinistra nel socialismo democratico, cerca con tutti i mezzi di tornare a Palazzo Chigi con la Dc”. Nel perseguimento di quel progetto Craxi non può occuparsi della questione morale, che avrebbe significato rinunciare a quei (tanti) finanziamenti illegali (definiti da Macaluso stesso “avventuristici”) che porteranno il Partito Socialista ad un allargamento smodato fino a ricomprendere i celeberrimi “nani e ballerine”. E allora si lasciò totalmente la questione morale alla magistratura, che l’affrontò con inevitabili approssimazioni.
E allora torna in mente il discorso di Craxi in Parlamento del 3 luglio 1992, altra immagine che nelle menti di noi giovani resta indelebile. Anche in quel caso Bettino non smentì se stesso. Assunzione di responsabilità piena ed incondizionata. E quel tuono finale… Per la serie “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Forse era troppo tardi. Sicuramente per salvare se stesso e quella classe politica che aveva trainato per quindici anni. Ma, come precisato, quest’articolo si propone di gettare luce sulla figura di Craxi perchè illumini chi oggi è dinanzi a questioni ancora irrisolte e a nodi non sciolti. Quel discorso sarà stato tardivo per salvare Craxi e la classe politica del suo tempo ma oggi può essere la via d’uscita per chi saprà ascoltare. Oggi la classe politica non può tapparsi ancora le orecchie ed evitare ancora di affrontare “con serietà e con rigore, senza infingimenti, ipocrisie, ingiustizie, processi sommari e grida spagnolesche” una questione morale che la sta dilaniando per allontanarla sempre più dagli italiani. Eppure, diciassette anni dopo quel discorso, non possono venirci a dire solo che c’aveva ragione Berlinguer con l’accento posto sulla questione morale e l’invocata diversità comunista. Proprio in questi giorni che le vicende giudiziarie ci dimostrano che la diversità comunista era poco più che una chimera, il vero riferimento del passato cui attingere non può che chiamarsi Bettino Craxi, il cui appello non possiamo ancora far cadere nel vuoto. La politica eviti di affidare di nuovo la propria questione morale al potere giudiziario. Ne uscirà ancora distrutta. Se saprà farlo, Bettino potrà davvero considerarsi riabilitato (ammesso che ne abbia davvero bisogno). Lui, la cui vita è stata una corsa. Solitaria. Da solo ha corso. Da solo si è distrutto. Da solo si riabiliterà.
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